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Una campagna agricola a nord di Roma, al cui orizzonte si profilano le pulsioni insediative della metropoli, rivela tutte le fragilità e le antinomie di un territorio debole. La ricerca entra nel merito della dialettica non risolta, e spesso drammaticamente evidente, che contrappone la città al territorio esterno abitato. Di questa estensione geografica sono esplorate le criticità e commentate le potenzialità, mentre si sostiene l’urgenza di rivedere i profili delle nostre attrezzature disciplinari, liberando insieme un nuovo immaginario urbano e territoriale.
Lo studio suggerisce un avvicinamento integrato e molteplice al problema di come interpretare, secondo modalità non riduttive e schematiche, le consuetudini insediative in aree esterne alla città di Roma, rimarcandone insieme criticità e antinomie, spesso drammaticamente evidenti, che contrappongono la città al territorio esterno abitato. Il fenomeno assume un particolare rilievo se riferito alla progressiva occupazione del suolo dovuta a modelli casuali, che sfuggono agli schemi virtuosi del progetto urbano e alle sue correlate analisi e teorizzazioni. Nel caso indagato la città sembra perdere il suo tradizionale logocentrismo, la sua natura sostantiva per diluirsi nella proliferazione degli aggettivi che la qualificano: città diffusa, città mutante, città rimossa, dispersione insediativa, campagna urbanizzata, paesaggio abitato, nebulosa metropolitana. La proliferazione terminologica è tuttavia figlia di un’unica ragione, che vede la città urbano-centrica come il presidio concettuale e l’approdo terminale di un pensiero che a lei subordina la periferia, il territorio aperto, la campagna. Viceversa l’ambito di applicazione della ricerca, circoscritto a una porzione definita di territorio a 45 km a N-E di Roma, nei Comuni attraversati dalla via Salaria tra Fara Sabina e Scandriglia in provincia di Rieti, costituisce un campione espressivo per l’applicazione dell’ipotesi di lavoro: che intende lo spazio geografico come una potenziale città aperta nel territorio e come laboratorio sperimentale per la verifica degli strumenti di conoscenza e progetto, specifici del nostro recinto disciplinare. Si tratta ancora di mettere alla prova un nuovo immaginario urbano e territoriale che propone, muovendo da condizioni formali e d’uso in luoghi determinati, la revisione e il controllo di modelli interpretativi preordinati e degli stessi schemi concettuali che li presuppongono (Amin, Thrift, 2011).
L’interesse per l’ambito geografico prescelto discende ancora dalla sua articolata eterogeneità, in ordine ai fenomeni di urbanizzazione, ai modi della dispersione insediativa o viceversa della concentrazione, alla presenza di presidi stanziali storici come i centri minori e i nuclei archeologici, alle caratteristiche morfologiche degli spazi aperti, alle scritture della campagna agricola, all’influenza del sistema viario e ferroviario. Ci troviamo di fronte ad un potenziale e inedito soggetto urbano, che sollecita a ripensare la città a partire dai suoi luoghi-spazio nel territorio aperto, dalle sue dimensioni, dai codici proporzionali latenti, dalle sue relazioni, dalla sua forma. Simmetricamente, il procedimento euristico, necessario alla strutturazione del problema, si accompagna all’investigazione degli strumenti e dei fondamenti di una tecnica progettuale che dovrebbe agire “sugli insiemi ambientali a tutte le scale dimensionali, per la trasformazione del paesaggio antropogeografico dal punto di vista dell’architettura” (Gregotti, 1991, 2).
Lungo il doppio asse delle Salarie (Salaria Nuova SS 4 e Salaria Vecchia SP 20 ) si registra una recente formazione di spazi architettonici aperti sulla campagna abitata, consolidatasi per mezzo di formulari insediativi casuali, a partire dagli anni ’50. Tale formazione è compresa tra Passo Corese e Osteria Nuova, con un’estensione di 18 km in direzione Ovest/ Nord Est. Si tratta di una porzione circoscritta di una regione storico-geografica, la Sabina, dove si riconosce la compartimentazione dello spazio aperto in ambiti morfologici di piccola dimensione, identificabili per differenze caratteristiche e descrivibili per sequenze. Tali ambiti sono qui indicati anche come luoghi-spazio, per suggerire come entrambi, i luoghi e lo spazio, siano istituiti, nel loro rapporto con il soggetto interpretante, da operazioni di delimitazione e da compilazioni descrittive (De Certeau, 2001, 182). Un procedimento che sconta già in anticipo la provvisorietà e lo sperimentalismo delle narrazioni, mentre ricerca modelli di spiegazione appropriati e forme di pertinenza per il progetto.
Inoltre, per non restare imbrigliati nella gabbia delle nostre rappresentazioni disciplinari, è stato poi opportuno correggerle ed emendarle attraverso una pratica diretta dei luoghi: l’analisi è allora interrogata dall’esperienza, accogliendo la molteplicità e la contemporaneità degli sguardi, perdendosi nelle strade e nei sentieri, dove il linguaggio si fa corpo mentre le cose si vedono, si toccano, si ascoltano, e così si danno alla nostra coscienza (Secchi, 1995; Munarin, 2012, 32-37). La descrizione e il riconoscimento delle parti sono subordinati all’insieme composito di relazioni e dipendenze interne, innestatesi storicamente nella piega tettonica che asseconda il dissolversi del sistema appenninico nella piana del Tevere. La lettura del territorio aperto, in vista della sua trasformabilità o viceversa della sua tutela, è così ricondotta all’architettura più grandiosa e contrastata dei dispositivi originari, natura-ambiente-paesaggio, che impongono la loro giurisdizione e determinano specifiche regolazioni spaziali. La “dittatura dell’orientamento naturale dell’impianto orografico”, imprimendo i suoi sigilli sul paesaggio e sulla rete delle comunicazioni, determina un individualismo figurativo d’insieme pur nella “compartimentazione e nello spezzettamento delle cellule fisiologiche“ che ne compongono la distesa geografica (Farinelli, 2000, 128).
L’ordinamento di questa potenziale “città in estensione”, compresa tra le due polarità di Passo Corese e Osteria Nuova, è riferito ai fattori divergenti e multiformi che ne hanno determinato le caratteristiche. Si tratta di soggetti eterogenei, di varia natura e ruolo nella vita organica del sistema, che rimandano alla pluralità dei registri interpretativi. Gli elementi in gioco sono le due Salarie, vecchia e nuova, che riassumono le necessità funzionali della mobilità, ma costituiscono insieme una sorta di architettura territoriale, caratterizzata morfologicamente perché racchiude le scritture narranti della formazione di aggregazioni spontanee, mentre instaura, con la rete ausiliaria dei percorsi, un dialogo con i luoghi, rivelatore di una realtà sospesa tra linearità e frammentazione. Dai segni e dalle grafie si determinano le regole costitutive del territorio che le raccoglie, e si apprende una lezione sulla grammatica compositiva del “paesaggio della diffusione urbana”. Intervengono poi ulteriori componenti endogene come la campagna agricola abitata, che qui è segnata dall’antica tradizione locale dell’olivicoltura ma insieme subisce una progressiva riconversione residenziale; i centri minori nel loro silenzioso equilibrio o abbandono; i lasciti della storia che ci avvertono di un tempo lontano del quale siamo ancora gli eredi (Cures, Farfa, la Via Francigena); le recenti urbanizzazioni senza qualità; le localizzazioni industriali e artigianali, e infine il carattere locale del paesaggio. Tutto questo costituisce una sovraccarica realtà, la cui figura unitaria sfugge e forse non è necessaria, poiché sono molte le descrizioni e le rappresentazioni possibili, anche se tra loro congiunte.
Di questo territorio leggiamo le criticità: dovute alla dispersione insediativa, che si rivela con modi differenti lungo la Salaria, o nella campagna, o negli addensamenti edilizi delle due polarità; dovute ancora all’architettura della residenza e al suo rapporto con il suolo, alle modalità della produzione agricola, alle dislocazioni industriali generate da una frammentazione amministrativa e dalla mancanza di una visione di insieme. In questo quadro i centri minori rientrano come elemento debole, da reinserire in un delicato equilibrio giocato tra tutela e rigenerazione.
La ricerca si rivolge tuttavia a cogliere le potenzialità misconosciute e da reinventare per questo territorio. E lo fa cercando di mantenere una ragionevole distanza dalle pratiche tradizionali della pianificazione, che impongono una visione prevalentemente regolatrice, per affermare viceversa una necessaria dimensione progettuale.
Riferimenti bibliografici
Agnoletto, M., Guerzoni, M. (a cura di) (2012). La campagna necessaria. Un’agenda di intervento dopo l’esplosione urbana. Macerata: Quodlibet.
Amin, A., Thrift, N. (2005). Città. Ripensare la dimensione urbana. Bologna: Il Mulino.
De Certeau, M. (2001). L’invenzione del quotidiano. Roma: Edizioni Lavoro.
Falzetti, A. (2013). Progetti oltre i confini delle strade. Trasporti & cultura, 35, 40-45.
Falzetti, A., Ramazzotti, L. (2012). Paesaggi da decifrare. Gli sguardi del progetto. Roma: Gangemi.
Farinelli, F. (2000). I caratteri originali del paesaggio abruzzese. In Costantini M., Felice C. ( a cura di ), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Abruzzo. Torino: Einaudi, 123-153.
Gregotti, V. (1991). Progetto di paesaggio. Casabella, 575-576, 2-4.
Samonà, G. (1976). La città in estensione. Conferenza tenuta presso la Facoltà di Architettura di Palermo il 25 maggio 1976, 1-13.
Samonà, G. (1980). Come ricominciare: Il territorio della città in estensione secondo una nuova forma di pianificazione urbanistica. Parametro, 90, 15-16. Ripubblicato in: Amistadi, L. (2012). La costruzione della città. Padova: Il Poligrafo.
Secchi, B. (a cura di) (2012). On mobility. Infrastrutture per la mobilità e costruzione del territorio metropolitano:linee guida per un progetto integrato. Venezia: Marsilio.
Taormina, F. (2013). Metamorfosi e trasformazione urbana / Metamorphosis and urban transformation. Paesaggio Urbano, 1, 10-27.
Luigi Ramazzotti è Professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “Tor Vergata”. E’ stato responsabile scientifico di numerose ricerche Prin; e’ coordinatore nazionale del Prin 2009.