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Giuseppe Strappa
Foto aerea del centro storico di San Vito.
Abstract
La ricerca del gruppo di studio della Facoltà di Architettura della “Sapienza” di Roma che coordino indaga, all’interno del tema più generale della “Città in estensione” , il problema di come i centri storici minori possano subire trasformazioni contemporanee “congruenti” con il processo formativo, nella convinzione che occorra accettare il dato incontrovertibile che un organismo urbano, come ogni organismo vivente, non possa che essere sede di continue modificazioni.
La ricerca proposta dall'unità locale della Facoltà di Architettura di Valle Giulia, si inquadra nell'ambito più generale della ricerca nazionale condividendone i presupposti che partono dalla considerazione di come le connotazioni paesaggistiche del territorio italiano suggeriscano strumenti alternativi, rispetto agli attuali, del progetto di architettura e la possibilità di una sua originale collocazione, con caratteri specifici, negli scenari internazionali della disciplina.
In particolare, fine della ricerca dell'unità locale è il carattere del paesaggio laziale dovuto alla diffusione nel territorio di centri abitati di rilevante interesse storico che vanno rapidamente perdendo la loro qualità insediativa e paesaggistica.
Questi centri sono strutturalmente indeboliti, inoltre, dalla presenza dell'area metropolitana romana, con i relativi fenomeni di rapida trasformazione rilevabili nel territorio, il quale va assumendo una forma progressivamente disorganica.
La ricerca propone, verificandone le potenzialità in alcuni casi di studio concreti, la lettura dei tessuti dei centri minori, il loro formarsi con caratteri tipici, le potenziali trasformazioni e “annodamenti” in luoghi nodali della città a formare anche nuovi organismi edilizi specializzati che innovano l’edilizia esistente in modo conforme e proporzionato permettendo di evitare uno sprawl specialistico (si veda il caso dello spostamento dei municipi al di fuori del centro) che si aggiunge, con esisti disastrosi, a quello abitativo.
Va trovato, con urgenza, un nuovo modello di sviluppo per molti centri storici italiani “minori” che, sotto opposte spinte dovute ad una nuova composizione etnico sociale degli abitanti (sotto molti aspetti, peraltro, positiva) e alla condizione di abbandono di molte strutture edilizie, stanno subendo nell' ultimo decennio, una trasformazione incontrollata.
In questo contesto si pone con particolare rilevanza il problema della rivitalizzazione dei centri storici minori del Lazio, patrimonio di grande valore architettonico, ambientale, documentario ed artistico che richiede nuove forme di tutela, Non occorrono, infatti, solo misure preventive che impediscano la perdita di parti preziose di un’eredità unica, ma un piano di trasformazioni “orientate”.
La ricerca, in corso di ultimazione, del gruppo di studio della Facoltà di Architettura della “Sapienza” di Roma che indaga, all’interno del tema più generale della “Città in estensione”, indaga proprio sul tema di come questi centri minori possano subire nel tempo trasformazioni “congruenti” con il processo formativo, nella convinzione che occorra accettare il dato incontrovertibile che un organismo urbano, come
ogni organismo vivente, non può che essere sede di continue modificazioni.
Non si tratta, infatti, solo di un’eredità del passato da conservare come testimonianza. Essi costituiscono, soprattutto, un modello vitale storicamente portato, come esempio di forme di insediamento di grande interesse dalla letteratura di urbanistica e architettura.
Sono organismi viventi il cui valore consiste nella capacità delle loro parti di collaborare, insieme, alla vita e alla forma dell’abitato. Organismi dei quali va rispettata e tutelata l’identità (i caratteri architettonici, ma anche culturali e civili) contro la tendenza in atto nella politica di considerare la specificità autonoma dei singoli comuni come un problema solo tecnico-economico.
A loro dovrebbe essere dedicata, per questa ragione, una tutela non costituita solo da vincoli, ma, appunto, una “protezione attiva”, comprendendo che ogni organismo per sopravvivere, ha bisogno di trasformarsi nel tempo, di adattarsi alle mutate condizioni ambientali mantenendo, tuttavia, il carattere della propria struttura.
Sul tema della modernizzazione dei nostri centri storici sono sorti, è nostra convinzione, numerosi equivoci. Il problema non è quello di imitare, temendo il provincialismo, alcune città europee dove s’introducono edifici spettacolari senza congruenza col contesto storico (il vero ritardo dell’architettura italiana è, in realtà, il terrore stesso di essere provinciali). I nostri centri storici vanno considerati, al contrario, nella loro essenza di “processo in atto”, luoghi di trasformazioni storicamente coerenti. E il progetto contemporaneo dovrebbe essere la continuazione (non l’imitazione), dei caratteri ereditati.
Caratteri che ancora oggi legano spazi urbani e unità abitative in una collaborazione corale espressa da facciate condivise: sono l'essenza moderna degli insediamenti antichi, la loro struttura poderosa e profonda da comprendere e proseguire.
La ricerca è arrivata alla conclusione che, contro la diffusa tendenza a prevedere per i centri storici minori un uso soprattutto abitativo, collocando le strutture di servizio all’esterno del perimetro storicamente edificato, occorra restituire loro una funzione nodale nel contesto del territorio, trasformando e specializzando il tessuto così come è avvenuto con continuità nel processo formativo della città italiana, anche moderna, attraverso “annodamenti” edilizi ed urbani.
Se si guarda alla semplice evidenza della realtà costruita, non si può non osservare, appunto, che, dalla contraddittoria fase di passaggio dalla città tradizionale italiana a quella contemporanea, emerge una evidente, traumatica innovazione nei tessuti, ma anche una altrettanto evidente continuità negli organismi edilizi.
Alcuni aspetti della sostanziale diacronicità tra organismi abitativi e tessuto urbano sono stati da tempo osservati nella persistenza del processo che ha generato l'attuale casa in linea a partire dalle rifusioni di unità di schiera. E tuttavia non è mai stata tenuta nel debito conto la complessa continuità formativa, generata dalla nozione di aggregato, di molti edifici specializzati moderni. I quali spesso mostrano al loro interno la spiegazione delle proprie leggi formative "annodando" (trasformando in nodi spaziali) luoghi in origine fisicamente o virtualmente aperti: come molti organismi edilizi del passato, essi nascono dalla dialettica tra recinto e copertura, tra strutture seriali ed organiche, tra città ed edificio.
Esso è individuabile, soprattutto, nella dialettica tra spazi urbani e spazi interni ai nuovi edifici generati, alla fine del secolo scorso XIX e inizio del XX secolo, quando la transizione dal cortile al vano nodale si manifesta, in tutta la sua evidenza, nel riuso di edifici esistenti organizzati su percorsi interni rigiranti intorno a spazi aperti. Non si tratta di semplice reimpiego, ma di un processo dove la mutazione dello spazio aperto genera edifici interamente nuovi, di maggiore organicità. E’ un processo analogo a quello che ha generato il palazzo italiano come rifusione e solidarietà organica di unità abitative formando uno spazio aperto attorno al quale si annoda e si svolge la vita del nuovo edificio, e che si trasforma, nella modernità, in nodo spaziale e distributivo, spesso formante un grande vano centrale, fase "logicamente" successiva alla prima fusione tra unità edilizie, progressiva coesione del cuore dell'organismo edilizio con lo spazio urbano (nato dalla città, il nodo spaziale torna alla vita delle strade).
Questo processo, annunciato da molti sintomi, precipita nel fecondo periodo di passaggio dalla fine degli anni '20 agli inizi degli anni '30, attraverso mutazioni rapide e complesse, ordinabili in sequenze logiche più che cronologiche, rintracciabili dietro la trama di molte facciate "accademicamente" moderne. Edifici che indicano, in modo esemplare, come l’interpretazione di tanti edifici specializzati della prima metà del secolo scorso come esclusivo portato di nuove istanze e caratteri del tutto inediti, appartenga alle tante mitologie del moderno. Nel suo momento più alto, al contrario, la vicenda della formazione di molti edifici di servizio moderni (si veda il caso esemplare dei palazzi postali italiani) sembra essere stata sul punto di realizzare l'aspirazione alla sintesi tra organismo edilizio ed organismo urbano inseguita da generazioni di architetti nel corso della storia.
La ricerca propone quindi, verificandone le potenzialità in alcuni casi di studio concreti, la lettura dei tessuti dei centri minori, il loro formarsi con caratteri tipici, le potenziali trasformazioni e annodamenti in luoghi nodali della città a formare anche nuove architetture specializzate che innovano l’edilizia esistente in modo congruente e proporzionato, permettendo di evitare uno sprawl specialistico (si veda il caso del diffuso spostamento dei municipi al di fuori del centro) che si aggiunge, con esisti disastrosi, a quello abitativo moltiplicandone le ricadute sulla forma del territorio.
E’ in questo quadro generale di formazione di un nuovo ruolo dei centri storici minori, con la formazione di nodi contemporanei che vanno considerate, a nostro avviso, nuove istanze, come quelle del risparmio energetico e della sostenibilità accompagnate da altri temi, tra i quali va segnalato quello dell’accessibilità alle strutture di servizio, che vanno organicamente integrate nel processo di “aggiornamento” dei tessuti storici
La ricerca è basata sulla convinzione che questi potenziali cambiamenti, che debbono costituire la sostanza del progetto contemporaneo presentino, nei diversi centri minori laziali, prospettive e caratteri entro certi limiti comuni, che permettano l'individuazione di una metodologia di intervento, generalizzabile per alcuni fondamentali aspetti.
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Giuseppe Strappa è Professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura della “Sapienza” di Roma. Direttore del laboratorio Lpa (Lettura e progetto dell’Architettura) e Coordinatore del Dottorato in Architettura e Costruzione oltre che responsabile di numerosi programmi scientifici e didattici.
Castello Orsini a San Vito.