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Martina Landsberger
Abstract
Come accade sempre, è attraverso la vista a volo d’uccello che è possibile comprendere con chiarezza il principio compositivo di un luogo. E questo vale anche - e forse soprattutto - per Brasilia, la città di fondazione voluta da Juscelino Kubitschek nel 1956 per decentrare, lontano dalla costa atlantica, il nuovo polo amministrativo e legislativo del Brasile.
Di Niemeyer si tende, in generale, a mettere in evidenza la sua particolare capacità nel disegnare le “forme” delle architetture e dei loro spazi interni. Non ci si sofferma quasi mai su quanto accade all’esterno di ognuna di esse, sul modo cioè in cui esse si mettono in relazione con lo spazio della città.
“Con l’amico Durafour, ho lasciato Algeri in un soleggiato pomeriggio d’inverno e abbiamo preso il volo, sorvolando l’Atlante, verso le città dello M’Zab, a sud, nel terzo deserto (…) Durafour, pilotando il suo piccolo aeroplano, mi mostra dei punti all’orizzonte: “Ecco le città! Ora vedrà!”. Fece allora come lo sparviero: volteggiò più volte su una delle città (…) Così ho potuto scoprire il senso della città dello M’Zab. L’aeroplano ci aveva mostrato tutto e quello che ci aveva rivelato portava con sé una lezione di enorme importanza (…)”¹.
Come accade sempre, è attraverso la vista a volo d’uccello che è possibile comprendere con chiarezza il principio compositivo di un luogo. E questo vale anche - e forse soprattutto - per Brasilia, la città di fondazione voluta da Juscelino Kubitschek nel 1956 per decentrare, lontano dalla costa atlantica, il nuovo polo amministrativo e legislativo del Brasile.
Il 1960 è l’anno della sua inaugurazione. Forse allora, più di quanto accada oggi, sorvolandola con un aereo, la sua forza compositiva, le regole alla base del suo disegno, sarebbero apparse con maggiore chiarezza in tutta la loro forza. Allora Brasilia sorgeva in una sorta di deserto, in un nuovo territorio addomesticato dall’uomo, uno spazio per così dire artificiale il cui disegno doveva risplendere nel vuoto naturale circostante. Oggi Brasilia è, invece, circondata da altro, villaggi e città satelliti, capannoni e industrie, luci e grandi strade asfaltate, eppure la forza di quel segno quasi primordiale, l’incrocio di due assi fra loro perpendicolari, quali elementi attraverso cui prendere possesso di un luogo e segnare delle direzioni², appare ancora con evidenza come, con chiarezza, si mostra la costruzione dell’asse monumentale affidato da Lucio Costa a Oscar Niemeyer.
Ancora una volta è attraverso la vista a volo d’uccello che ci è permesso di riconoscere come alla base del progetto di Niemeyer stia un principio compositivo classico. L’acropoli di Atene con la sua composizione fondata sul rapporto che elementi diversi e distinti posti su un piano instaurano a distanza, o l’analoga composizione del Campo dei Miracoli di Pisa, non credo possano essere passati “inosservati” nella mente di Niemeyer al momento del progetto. Allo stesso tempo anche la tipologia del foro, con la sua capacità di costruire uno spazio centrale unitario su cui prospettino elementi differenti, pare fare la sua comparsa.
Il disegno del grande asse monumentale non può dunque che essere letto nella sua interezza, tenendo cioè conto di ognuno dei singoli elementi di cui si compone e della loro relazione con lo spazio esterno. Questi infatti, pur collocati a distanze per noi europei difficilmente comprensibili, riescono a determinare dei rapporti e a definire il carattere dello spazio “pubblico” della città.
Di Niemeyer si tende, in generale, a mettere in evidenza la sua particolare capacità nel disegnare le “forme” delle architetture e dei loro spazi interni. Non ci si sofferma quasi mai su quanto accade all’esterno di ognuna di esse, sul modo cioè in cui esse si mettono in relazione con lo spazio della città.
Brasilia in questo senso rappresenta un “caso” del tutto particolare, poiché qui, fin dall’inizio della grande avventura, non esisteva nulla di precostituito con cui fare i conti. Qui si è trattato di costruire da zero lo spazio della città, di definirne ogni singolo punto rendendone manifesto il carattere.
Camminando lungo l’asse monumentale, o meglio percorrendolo in automobile viste le distanze, risulta difficoltoso coglierne il disegno generale: ci si sofferma sul singolo edificio cercando di riconoscerne il principio compositivo interno in rapporto alla costruzione dello spazio esterno catturabile dalla vista solo nei suoi punti più ravvicinati. In generale appare con evidenza una sorta d’indifferenza rispetto al disegno dello spazio – inteso quale luogo progettato che prende forma attraverso il disegno degli elementi di cui si compone – e, all’opposto, si mostra un’attenzione particolare per la misura del luogo su cui l’edificio insiste e per il modo in cui i sistemi degli accessi (studiati ogni volta in modo nuovo e coerente in funzione del carattere dell’edificio) garantiscono la relazione fisica con l’urbanità.
Guardiamo per esempio alla cattedrale³: una grande copertura trasparente direttamente appoggiata sul terreno – uno stretto specchio d’acqua, nero, la separa da un battuto di cemento rosso intervallato da strette strisce d’erba verde, a evocare forse la terra rossa desertica su cui la città è stata fondata – e uno scavo scuro, una buia strada in discesa che scende sotto il livello del terreno, e che rappresenta e costruisce l’ingresso alla grande aula luminosa. La chiesa dunque nasce direttamente dal suolo, partecipa alla costruzione della città e contemporaneamente se ne distacca definendo un limite, uno spazio di rispetto – il velo d’acqua “nera” – interrotto dalla rampa di discesa e di accesso all’aula a pianta centrale.
L’obiettivo di Niemeyer pare essere quello di provare a ridefinire il tradizionale concetto di sagrato, un luogo in grado di costruire gradualmente il passaggio dalla “laicità” della vita urbana alla “sacralità” di quella religiosa: lo stretto specchio d’acqua che circonda la grande copertura sembra voler evocare, nel suo significato generale, lo spazio antistante la chiesa, in genere leggermente sopraelevato. Qui i gradini tradizionali prendono la forma di una leggera strada che, inquadrata da quattro grandi sculture in bronzo di Alfredo Ceschiatti e Dante Croce raffiguranti i quattro evangelisti, invece di salire, scende circa 3 metri sotto il livello stradale.
La cattedrale mantiene dunque le classiche relazioni con la città ma le realizza attraverso una reinterpretazione dello spazio: uno spazio aperto senza delimitazioni di alcun genere, ma misurato e misurabile grazie alla sua composizione, alla presenza cioè oltre che della stessa cattedrale, delle grandi statue, del battistero e della torre campanaria, pensati tutti come elementi distinti e necessari a rendere intellegibile lo spazio circostante.
Analogamente potrebbe essere letta la costruzione del Museo della Repubblica che si trova in relazione diretta – in quanto a vicinanza - con la cattedrale. Anche in questo caso l’edificio – che ancora una volta si riassume in una grande copertura, una liscissima cupola semisferica di cemento bianco appoggiata a terra – costruisce attraverso un complesso sistema di accessi e rampe a sbalzo la propria relazione con la città e di conseguenza il disegno dello spazio in cui si va a inserire.
Ma è forse nella più nota Piazza dei Tre Poteri che la costruzione del carattere dello spazio pubblico appare più evidentemente studiato4. Qui, secondo un principio sperimentato fin dalla classicità, la grande piazza civile in cui l’intero popolo brasiliano si deve riconoscere, si realizza attraverso la relazione che tre architetture, più o meno complesse, instaurano a distanza.
La costruzione di un analogo sistema porticato nell’edificio del Planalto e nella Corte Suprema permette di definire i due dei lati corti della grande piazza rettangolare su cui va ad insistere, quale terzo elemento necessario alla definizione della misura e della forma dello spazio delle istituzioni, l’edificio del congresso con le sue due alte torri “simbolo”, visibili da lontano. La piazza, in parte pavimentata e in parte verde, rappresenta la testa dell’asse monumentale inteso quale grande parco lineare – il parco della città delle istituzioni – lungo il quale, analogamente a quanto accade nella costruzione degli antichi fori, si distribuiscono con regolarità i blocchi degli edifici dei Ministeri. Un disegno questo che trova un rispecchiamento nell’enorme cielo azzurro percorso da incredibili nuvole bianche che si riflette nel grande catino verde centrale.
Note
¹Le Corbusier, Aircraft (1935), Abitare Segesta, Milano, 1996
²Si veda: Martino Tattara, a cura di, Lucio Costa Memória descrittiva del Plano Piloto di Brasilia, Scuola di
Dottorato, Università Iuav di Venezia, Venezia, 2010.
³Catedral Metropolitana Nossa Senhora Aparecida, 1958.
4“Nel concepire questi edifici, mi preoccupò l’atmosfera che avrebbero dato alla Piazza dei Tre Poteri (…) desideravo vederla piena di forme, sogni e poesia”, cit. in J. Petit, Niemeyer architetto e poeta, Hoepli, Milano, 1995.
Riferimenti bibliografici
Gianni Rizzoni, Luciano Di Pietro, Ettore Mocchetti, a cura di, Oscar Niemeyer, Mondadori, Milano, 1975.
David Underwood, Oscar Niemeyer and Brazilian Free-form Modernism, George Braziller, New York, 1994.
Jean Petit, Niemeyer architetto e poeta, Hoepli, Milano, 1995.
Oscar Niemeyer, The Curves of Time, Phaidon, New York, 2000.
Guido Laganà, Marcus Lontra, Niemeyer 100, Electa, Milano, 2008.
Martino Tattara, a cura di, Lucio Costa Memória descrittiva del Plano Piloto di Brasilia, Scuola di Dottorato, Università Iuav di Venezia, Venezia, 2010.
Oscar Niemeyer, Il mondo è ingiusto. L’ultima lezione di un grande del nostro tempo, Mondadori, Milano, 2012.
Martina Landsberger, ricercatore di Composizione architettonica e urbana alla Scuola di Architettura Civile del Politecnico di Milano.