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Ildebrando Clemente
Concorso per il Centro Direzionale di Torino 1962: (da sin. in alto) Progetto di C.Aymonino, M.Aymonino, B.De Rossi, F.Berlanda, F.Battimelli. Progetto di M.Achilli, G.Canella, L.Stellario D'Angiolini, V.Vercelloni. Progetto di G.Polesello, A.Rossi, L.Meda. Progetto di M.Bianco, G.Esposito, R.Maestro, S.Nicola, L.Quaroni, A.Quistelli, N.Renacco, A.Rizzotti, A.Romano (primo classificato). Progetto di G.Samonà, C.Dardi, E.Mattioni, V.Pastor, A.Samonà, L.Semerani, G.Tamaro, A.Vianello. Progetto di G.Astengo, G.Fasana, G.Abbate
“Non esiste vita di un uomo, per quanto geniale, che non sia piena di contraddizioni, di crepe e di errori, di avvii che non conducono in nessun luogo.” Così si esprimeva Carlo Aymonino in una bella «Intervista sulla vita» nel luglio del 1979.
Non c’è dubbio che, pur nella loro economia, queste parole richiamano la nostra attenzione. In certo qual modo quasi persuadono, soprattutto se accostate al suo dichiarato “gusto per il tradimento [….] per il coraggio della contraddizione, del tradimento di se stessi e del proprio linguaggio”. Le “nostre decisioni” percorrono infatti strade che si biforcano incessantemente. Ogni “nostra identità” pare essere un decidersi e assumere, per ogni strada, "maschere" diverse. Non ci può essere dunque un solo ordine che vincola le nostre decisioni e aspirazioni nei confronti della realtà, che consuma e occulta il “disordine” della vita con cui dobbiamo per forza convivere e dal quale possiamo attingere nuove forme.
Le parole di Aymonino, possono anche essere lette, operando qualche forzatura, come una sorta di strategia del tradire per vivere, per rigenerare l’architettura e la città prima di tutto, una strategia che in qualche modo ha caratterizzato una certa parte della cultura architettonica italiana del secondo ‘900. Una delle tappe fondamentali di tale strategia, che sinteticamente possiamo definire urbana, sta appunto nell’importanza interpretativa, strutturale e figurativa dei parametri fondativi della natura e dell’esistenza della città, esposta in molti studi e tradotta in altrettanti importanti progetti. Importanza che sinteticamente possiamo riassumere nella triade fondativa degli studi urbani di storia-città-costruzione. Ma l’importanza e la consapevolezza critica e progressiva degli studi urbani che Aymonino insieme ad altri ha contribuito a chiarire e sviluppare a partire dagli anni ‘60 si è contraddistinta per un ulteriore e più complesso passaggio culturale, quello da un fondante studio scientifico della disciplina a un altro di invenzione progettuale. Due ambiti in cui l’identità culturale dell’opera è e si è sempre più imposta come sintesi di un amalgama tra la biografia dell’architetto e la tradizione dell’architettura.
Un passaggio che, in analogia con la triade analitica degli studi urbani sulla città, potremmo chiamare della triade poetica fondativa dell’invenzione progettuale: senso-forma-opera.
Da questi studi in poi architettura e biografia diventano i termini storici e astorici al tempo stesso per declinare una figurazione e un’antropologia paradossali perché pensate nelle forme più disparate quasi al limite della fuoriuscita dall’utilità. Del dispendio festivo, per dirla con le parole di Georges Bataille. In questo senso il pensiero del filosofo francese può rappresentare una delle tante tracce da seguire per reinterpretare l’esperienza teorico-progettuale di una intera stagione fertile per l’architettura e per la cultura italiana.
Le "stratificazioni immaginarie" e le "geometrie cangianti" rinvenibili in molti progetti di Carlo Aymonino, Aldo Rossi, Guido Canella, di Luciano Semarani come di Gianugo Polesello o Costantino Dardi, che, a partire dall’insegnamento di Ernesto Nathan Rogers e Giuseppe Samonà, rappresentano, pur con accenti diversi, di tale stagione fertile forse le figure più ricche e complesse, si determinano, infatti, per una figurazione che sembra mantenersi indecisa tra ordine del desiderio e ordine della ragione e alimentarsi proprio di questa indecisione. Una figurazione che potremmo chiamare festiva. Uno sforzo inventivo e un dispendio formale forse “giustificabile” solo nell’orizzonte etico e gioioso della festa. Qui infatti sembra che al dispendio formale, al piacere della trasgressione e dello spreco delle risorse (Bataille) si accompagni in realtà una consapevolezza dell’alterità e delle differenze che proprio nella festa si esprimono in comune, collettivamente, senza che nulla venga imposto, esprimendo di fatto la gioia per la liberazione delle presunte certezze e dei vani vincoli dell’individualità (Nietzsche). Una domanda ineliminabile emerge infatti con forza dagli studi e dai progetti elaborati in quegli anni e in particolare da questi architetti, una domanda che riguarda il senso della forma. Ma ancora più ineliminabile da essi emerge la domanda sulla ricerca dei principi culturali che sono alla base delle forme del progetto e dunque pongono, più in profondità, una domanda sulla conoscenza in architettura che forse sfiora una sorta di gnosi. Le vie di accesso al senso della forma e dei suoi principi sono probabilmente infinite e inattingibili. Ma non è certo questo un motivo per non continuare la ricerca.
Ildebrando Clemente è Ricercatore in Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura "Aldo Rossi" di Cesena