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Luca Reale

Architettura della necessità

 

Wang Shu: Campus della Xiangshan School nella China Academy of Art, 2004-2007, Hangzhou, China.
Foto di: Lu Wenyu

Wang Shu: Campus della Xiangshan School nella China Academy of Art, 2004-2007, Hangzhou, China. Foto di: Lu Wenyu

 

La crisi finanziaria dell’estate 2007 e la conseguente recessione economica tuttora in atto hanno contribuito, incidentalmente, a svelare un meccanismo preciso e perverso, tutto interno alla nostra professione di architetti. Un medesimo atteggiamento che nei decenni precedenti aveva pian piano trasformato l’architettura da fenomeno urbano a prodotto autoreferenziale d’autore, ha contemporaneamente giustificato infatti, nel tempo, un progressivo disinteresse degli architetti alle questioni urbane e ai processi di dispersione insediativa. Che sono stati in alcuni casi osservati molto “dall’alto” e con un certo compiacimento – pensiamo alle infinite analisi sulla metropolizzazione del territorio, la conurbazione padana, la città adriatica, ecc. – e in altri casi invece del tutto rigettati, giustificando il progettista a dedicarsi a temi di nicchia o a concentrarsi sull’artisticità del proprio linguaggio, dando ormai per oscuro e ingovernabile il processo di crescita urbana.
Dopo anni di “oggettualizzazione” dell’architettura (divenuta primato dell’immagine o esibizione della tecnologia), di progressivo abbandono del legame tra architettura e contesto urbano e conseguente riduzione della distanza tra manufatto architettonico e oggetto artistico, l’architettura e il progetto urbano, sembrano ora – proprio a causa della crisi - riavvicinarsi alle questioni della città (e più in generale del proprio contesto). L’architettura sta semplicemente spostando di nuovo il proprio centro di gravità dall’arte alla necessità, senza che questo significhi automaticamente un ripiegamento nella dimensione locale, o che riduca la funzione del progetto al puro problem solving riportando in voga una sorta di nuovo funzionalismo. La necessità può essere declinata secondo diverse accezioni: economicità, efficienza e basso impatto sull’ambiente (la tanto inflazionata sostenibilità), condivisione delle scelte (l’altrettanto abusata partecipazione), massimo sfruttamento di ciò che già c’è piuttosto che consumo di suolo e di risorse che hanno resistito allo sviluppo urbano e demografico dell’ultimo secolo. La città sembra dunque tornare a rigenerarsi crescendo su se stessa, come in fondo è stato sempre nella storia urbana, perlomeno fino alla diffusione insediativa determinata prevalentemente dalla motorizzazione individuale di massa.
Ragionare sulla ricompattazione delle città, su densificazione e riuso (o riciclo, come va di moda dire ora) dei nostri centri urbani è quindi lo scenario su cui impostare l’architettura della necessità, una maniera di pensare il progetto senza aggettivi superflui, puntando sull’effettiva opportunità dell’intervento evitando il rischio di ridondanza o eccesso, utilizzando la massima economicità di mezzi espressivi e al tempo stesso puntando su qualità e innovazione. Ciò non implica necessariamente la decrescita (che è pure uno scenario con cui bisognerebbe iniziare a fare i conti), ma cambiare prospettiva imparando a lavorare con più difficoltà ed ostacoli, avvalendosi in maniera più cosciente di risorse e tecnologia e – in maniera più ambiziosa - cominciando a pensare il progresso in modo differente.
Se l’architettura dovrà operare, salvo eccezioni, nell’orizzonte complesso e stratificato della città compatta, le operazioni progettuali possibili nel tessuto urbano saranno allora la densificazione o il diradamento, il trasferimento di densità edilizie, la sostituzione/trasformazione di manufatti esistenti, il riuso e la conversione funzionale di infrastrutture, il progetto del suolo pubblico. Tutte strategie urbane a consumo di suolo zero.
Necessità vuol dire infine ritorno ai temi centrali del nostro mestiere: la residenza, lo spazio pubblico, le infrastrutture urbane. Questo comporta un aggiornato richiamo alla responsabilità etica del nostro ruolo, se è ancora vero, come sosteneva Adolf Loos esattamente un secolo fa, che “[..]l'opera d'arte vien messa al mondo senza che ce ne sia bisogno. La casa invece soddisfa un bisogno. L'opera d'arte non è responsabile verso nessuno, la casa verso tutti”.

Luca Reale è Ricercatore in Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura Sapienza di Roma