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27/07/2024
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LUCE

Rapporto tra scienza e arte
 
 
 
 
 
 
 
Cosa cambia e perché cambia la percezione e la rappresentazione del tempo e dello spazio fra otto e novecento?
Nel capitolo dedicato alla natura dello spazio Kern (1983), nel testo che abbiamo già citato, afferma:

“La visione tradizionale, secondo cui lo spazio era un vuoto inerte in cui esistono gli oggetti, cedette il passo ad una nuova visione di esso come attivo e pieno: una moltitudine di scoperte ed invenzioni, di edifici e di piani urbanistici, di dipinti e di sculture, di romanzi e di drammi, di teorie filosofiche e psicologiche attestarono la funzione costituente dello spazio”. (pp.189-190).

L’espressione ‘spazio positivo spazio negativo’ serve a spiegare questa nuova concezione che sconvolge l’idea di spazio dove lo sfondo assume la stessa importanza di tutte le altre componenti di una qualsiasi rappresentazione. Quello che muta con lo sviluppo di una serie di teorie nel corso degli anni ’80, a partire da quella di William Clifford nel 1876, è la concezione del rapporto tra spazio e materia. La ricerca nell’ambito della luce contribuisce in grande parte a questo mutamento: “Lo spazio fisico venne in piena luce con la teoria del campo di Einstein. Nel 1783, Clerk Maxwell avanzò l’ipotesi che l’elettricità e la luce si propagano in onde attraverso campi analoghi a quelli intorno ai magneti. Quindici anni dopo, Heinrich Hertz perfezionò degli strumenti per propagare onde elettromagnetiche attraverso un vacuum –ma al pari di Maxwell, non riusciva ad immaginare come l’onda potesse oscillare nel nulla, e così rimase aggrappato alla teoria di un etere; anche dopo l’esperimento Michelson-Morley non riuscì a rivelare un etere, i fisici continuarono ad intrecciare teorie per adattare il modello meccanico alla propagazione di onde attraverso un mezzo di materia ponderabile. Einstein abbandonò audacemente questo modello: la sua teoria ristretta eliminò l’idea che ‘il campo elettromagnetico debba essere considerato come uno stato di un vettore materiale. In tal modo, il campo diventa un elemento irriducibile delle descrizioni fisiche, irriducibile nello stesso senso in cui lo è il concetto di materia nella teoria di Newton.’ Nella meccanica di Newton una particella di luce si muove attraverso uno spazio vuoto e statico: nella meccanica di Einstein ogni cosa è in movimento per tutto il campo nello stesso tempo, e lo spazio è pieno e dinamico ed ha il potere di ‘partecipare agli eventi fisici’. Secondo la nuova fisica, l’universo è pieno di campi di energia in vari stati e lo spazio può essere pensato sostanziale come una palla da biliardo, o attivo come il saettare del fulmine.” (p.191-192).

Kern passa successivamente all’analisi di quanto la speculazione nell’ambito della fisica abbia potuto incidere sulla storia della architettura “La storia dell’architettura è la storia della modellazione dello spazio per una varietà di ragioni politiche, sociali, religiose o puramente estetiche ... verso la fine del secolo gli architetti cominciarono a modificare il modo in cui concepivano lo spazio proporzionato alle loro costruzioni: mentre in passato tendevano a pensare lo spazio come elemento negativo, tra gli elementi positivi di pavimenti, soffitti e muri, in questo periodo cominciarono a considerare lo spazio stesso come elemento positivo, ed a pensare in termini di composizione con lo ‘spazio’ piuttosto che con ‘stanze’ diversamente modellate.” A questo passaggio contribuiscono tre invenzioni, e le tecniche di illuminazione artificiale sono fra queste. A supporto della tesi Kern elenca alcuni dati relativi alla fase precedente alla invenzione della illuminazione elettrica: tra 1855 e 1895 una unità familiare media di Filadelfia aumenta di 20 volte il suo uso della illuminazione che era ad olio e gas. Altri elementi significativi: l’invenzione della reticella ad incandescenza negli anni ’80 che elimina la fuliggine; la lampadina elettrica che negli anni ’90 inizia a rivoluzionare l’architettura e il disegno degli interni con la sua luce più fredda e pulita di quella a gas.

Nel capitolo dedicato alla Forma si riprende quando detto a proposito del contributo delle nuove teorie sulla natura dello spazio e del rapporto tra spazio e materia, riportate qui sopra: (pp.229-231) “Se non c’è una distinzione netta tra il pieno della materia e il vuoto dello spazio, e se la materia può essere concepita come una configurazione di allineamenti dell’energia, allora la comprensione tradizionale della materia come costituita da elementi discreti con superfici nettamente definite deve essere rifiutata. Questa concezione fu minata alle fondamenta da una serie di sviluppi nella teoria elettromagnetica e termodinamica della seconda metà del secolo diciannovesimo. Nel 1896 Bergson esaminò parecchie sfide alla teoria corpuscolare, e sostenne che la divisione della materia in corpi indipendenti con contorni assolutamente determinati è ‘artificiale’ […]. Sfide alla teoria corpuscolare apparvero anche nella stampa popolare: un articolo su La scomparsa del confine fra materia ed elettricità sosteneva che la materia consiste di particelle elettriche in movimento. Un fisico del Michigan nel 1906 sconcertò i lettori di “The popular science monthly” con un articolo Gli elementi sono trasmutabili, gli atomi divisibili e le forme della materia nient’altro che forme del movimento? [...] anche la scoperta della disintegrazione radioattiva nel 1896 mise in questione la stabilità della materia. […] La teoria della relatività di Einstein mise in questione la stabilità di tutte le forme spazialmente estese. Egli introdusse la teoria speciale in un articolo Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento (1905), e sostenne che i corpi cambiano la loro forma, quando si muovono rispetto ad un sistema di riferimento fisso [...] la teoria generale della relatività demolì il senso convenzionale di stabilità dell’intero universo materiale. La fisica classica insegnava che tutti i corpi sono elasticamente deformabili e alterano il loro volume con i cambiamenti di temperatura; secondo Einstein, ogni frammento di materia nell’universo genera una forza gravitazionale, che accelera tutti i corpi materiali nel suo campo e modifica la loro dimensione visibile: non ci sono così corpi assolutamente rigidi. [...] il raggio X penetrava la superficie del corpo umano e di altri schermi materiali. Un commentatore osservò che esso ‘sovvertiva’ tutte le concezioni anteriori sull’azione della luce, illuminando l’interno degli oggetti opachi, e con la scoperta del fluoroscopio da parte di Edison nel 1896, divenne possibile vedere direttamente l’interno del corpo umano in funzione. I Futuristi videro il raggio X come nient’altro che un ulteriore dispositivo, che dissolveva le vecchie forme da loro detestate. [...] anche l’involucro degli edifici si aprì con le strutture di sostegno in acciaio, le pareti di vetro e l’illuminazione elettrica, che resero possibile una nuova compenetrazione tra interni ed esterni.”

 
La natura della luce
R. Alzetta e E. Santamato, Luce, in Enciclopedia , vol. 8 (labirinto – memoria), Torino Einaudi 1979, pp.551-570:

“I. La luce oggi non è quasi mai l’oggetto centrale di un lavoro scientifico. Infatti la natura della luce e l’interazione luce-materia sono gli argomenti meglio approfonditi in fisica; però la luce è quasi sempre presente dentro un lavoro, perché la radiazione elettromagnetica è il nostro principale strumento di comunicazione e informazione, cioè di interazione, col mondo esterno. Come la luce solare ha costituito la più importante sorgente di energia ordinata per il mondo vegetale durante le sue prime fasi di formazione, così essa è pure la sorgente più potente di informazione che si ha sul mondo esterno. Per questo servizio l’uomo dispone di un recettore eccezionalmente perfetto, l’occhio che probabilmente è il principale responsabile, assieme alle dimensioni del cervello, della disposizione privilegiata che egli occupa in natura. Per farsi l’idea della complessità dell’occhio umano, basta considerare che in esso circa 120 milioni di fotorecettori trasmettono i segnali, attraverso la rete neuronica della retina, a milioni di fibre nervose ottiche e quindi alle aree del cervello preposte alla visione. Si stima poi che ogni cellula nella corteccia cerebrale stabilisca da mille a diecimila sinapsi con altre cellule corticali che sono dell’ordine di 1010. Tale meraviglia, intuita fin dai tempi più antichi, porta però a sottovalutare il contributo, viceversa decisivo, che nella perfezione del processo della visione ha il tramite luce, con il flusso enormemente maggiore di informazione che essa è in grado di trasportare rispetto ai tramite degli altri processi sensoriali come per esempio il suono o gli effluvi odoriferi e saporiferi. Essa viene espressa anche dicendo che la vista è un senso obiettivo, tale espressione implicando una distinzione netta soggetto e oggetto, mondo esterno e osservatore che, radicata profondamente nel nostro modo di confrontarci con la realtà perché perfettamente legittimata dalla vita di ogni giorno, ha creato viceversa alcune difficoltà in tutte quelle (per lo più recenti) esperienze di frontiera nel molto piccolo e nel molto distante e molto veloce. Contrariamente a come si pone rispetto agli altri suoi sensi, l’uomo tarda a riconoscere che ciò che vede dipende pur sempre da un recettore per quanto estremamente sviluppato. Egli dimentica pure che, contrariamente a quanto gli succede ad esempio per l’impressione del movimento, per la vista è sprovvisto di organi effettori, duali al recettore occhio, che renderebbero meno passivo il processo della visione. Gli è connaturata perciò una illusione spazio-temporale che gli funziona da gabbia astratta nei riguardi dell’approfondimento del reale.

2. per luce comunemente viene definito quel ente fisico che rende visibili la forma, il colore, le dimensioni degli oggetti che ci circondano, ma questa definizione, non del tutto soddisfacente, cela numerosi problemi: essa implica, ad esempio, il processo della visione umana, non ancora completamente chiarito e sul quale ancora oggi fervono le ricerche. Occorre innanzitutto distinguere le proprietà intrinseche della luce da quelle apparenti, legate ai meccanismi di elaborazione del sistema occhio-cervello. Ad esempio, nel XVIII secolo era generalmente accettata la teoria che vi fossero tre ‘colori primari’ (rosso, giallo e blu) e che tutti gli altri potessero essere ottenuti mediante miscele di questi. Ma solo nel 1802 il medico inglese Thomas Young comprese che l’esistenza di tre ‘colori primari’ non dipendeva dalla fisica della luce né dalla natura chimica dei coloranti, bensì dal particolare meccanismo di risposta dell’occhio ai colori: infatti nei coni dell’occhio umano sono presenti tre pigmenti la cui sensibilità è massima rispettivamente nel rosso, nel verde e nel blu. Per dare un significato oggettivo (indipendentemente cioè dal sistema occhio-cervello) a proprietà della luce quali l’intensità, il colore, ecc. è necessario correlare tale proprietà con qualche grandezza fisica che possa essere misurata con strumenti diversi dall’occhio umano; in altre parole è necessario formulare una teoria fisica della luce.

3. se la luce è stata talvolta responsabile involontaria di alcune ingenuità e travisamenti del reale, è stata pure quella che più ha aiutato a uscirne fuori. Per fare un esempio, appartiene storicamente all’ottica il concetto di potere risolutivo di uno strumento, e tale concetto è l’espressione fondamentale della consapevolezza dei limiti di ogni impostazione gnoseologica che sia uscita dall’infanzia. Così lo sviluppo scientifico è un continuo interagire con la luce, segnato da periodici confronti critici, che portano a ripensamenti sulla sua natura, estremamente fruttuosi e spesso rivoluzionari. Da sempre la luce percorre e accompagna lo studio della natura. Perciò lo sviluppo delle conoscenze sulla luce e il progredire delle tecniche per la sua produzione e utilizzazione è un filo che percorre nei secoli tutto quanto lo sviluppo scientifico e tecnico, legando assieme tutti i settori della ricerca e ponendosi come riferimento centrale delle varie teorie sulla natura e sul modo di investigarla.

4. lo studio della luce e delle sue proprietà ha avuto da sempre un’enorme influenza sullo sviluppo sia della scienza sia della tecnologia e ha fornito un esempio evidente della potenza dei metodi scientifici. Gli strumenti ottici hanno enormemente esteso le capacità visive dell’uomo, facendogli scorgere nuovi mondi e nuovi orizzonti: lo spettroscopio e il microscopio hanno permesso agli scienziati di indagare la struttura della materia inerte e vivente, il telescopio ha permesso di osservare e seguire i movimenti degli astri nell’universo. Non è un caso che la velocità finita della luce sia stata rivelata per la prima volta con il telescopio che mise in evidenza l’aberrazione della luce degli astri. Infine la fotografia ha rivoluzionato le comunicazioni permettendo una più rapida ed efficace estensione della conoscenza e della informazione.

5. la questione della natura della luce ha agitato il pensiero occidentale fin dal tempo di Pitagora. Verso la fine del secolo scorso essa diventò il problema fondamentale della scienza fisica. La teoria corpuscolare dei newtoniani, quella ondulatoria dei seguaci di Hygens, l’ipotesi dell’etere furono questioni centrali di filosofia naturale dibattute animatamente durante i secoli passati. (p.553)

6. sulle evidenze sperimentali dell’ottica geometrica fu fondata la fiducia nello spazio continuo della geometria euclidea. Infatti Descartes fonda contemporaneamente l’ottica geometrica e la geometria analitica che si sostengono a vicenda perché retta e raggio di luce si identifica nella nostra immaginazione. Newton, pur professandosi corpuscolare sulla luce, è però il primo a toglierle la veste cartesiana astratta e austera perché è il primo, nel 1666, a disperdere in laboratorio la luce solare nel suo spettro, rivelando così tutta la ricchezza dei gradi di libertà che la luce celava e che Goethe all’interno delle sue proteste estetiche non riuscì ad afferrare. L’analisi di Fourier della vibrazione luminosa così realizzata è pure a fondamento della trattazione moderna della radiazione elettromagnetica; infatti l’essenza del metodo della teoria quantistica della radiazione (QTR) parte da questa evidenza per decomporre il campo elettromagnetica generico in componenti singole, che possono essere facilmente quantizzate.

7. successivamente all’ottica geometrica, la luce ondulatoria ovvero elettromagnetica, grande trionfo della fisica classica, è la realizzazione più concreta e convincente del concetto di campo; fu quindi l’affossatrice principale del meccanicismo e quindi pure di una grossa fetta di materialismo volgare. Infatti una delle conseguenze più significative della teoria ondulatoria è che la luce di lunghezza d’onda definita riflessa da un corpo non può riprodurre fedelmente nell’immagine di quel corpo, dettagli che abbiano dimensioni inferiori a tale lunghezza d’onda. E’ questo il motivo per cui al microscopio ottico subentra, per indagare l’ancor più piccolo, il microscopio elettronico, perchè gli elettroni hanno lunghezza d’onda inferiore a quella della luce.

8. la teoria fondamentale sulla natura della luce fu messa a punto nel 1861 da James Clerk Maxwell. Le sue otto equazioni differenziali costituiscono la sintesi di un secolo di studi sperimentali e teorici sull’elettromagnetismo. Quando Maxwell ricavò le sue equazioni, si rese conto che esse ammettevano, anche in assenza di cariche o correnti, l’esistenza di onde costituite da campi elettrici e magnetici oscillanti e dotate di una velocità ben determinata che nelle equazioni di Maxwell compare come prodotto di parametri elettrici e magnetici caratteristici del mezzo in cui le onde si propagano. Ora questa velocità risultò molto prossima al valore direttamente misurato della velocità della luce, fatto, questo, che suggerì allo studioso l’ipotesi che la luce fosse un’onda elettromagnetica. La teoria di Maxwell fornisce quindi un collegamento fondamentale tra la luce e i fenomeni dell’elettricità e del magnetismo: è possibile interpretare tutte le proprietà della luce in termini di proprietà di campi elettrici e magnetici oscillanti, campi misurabili, almeno in linea di principio, in maniera indipendente dal meccanismo della visione umana. In base a tale teoria l’intensità di un’onda luminosa è legata all’ampiezza di oscillazione del campo elettrico e del campo magnetico di essa, mentre il colore della luce è legato alla frequenza di tale oscillazione. [...] Comunque anche se le onde elettromagnetiche in grado di stimolare l’occhio umano costituiscono soltanto una così piccola parte di tutto lo spettro delle onde elettromagnetiche, rimane il fatto che, secondo le equazioni di Maxwell, tra la luce visibile e le altre onde elettromagnetiche (onde radio, ad esempio) non esiste alcuna sostanziale differenza fisica, a parte naturalmente la frequenza di oscillazione: in particolare tutte le onde elettromagnetiche subiscono i fenomeni della diffrazione, diffusione, interferenza, riflessione, ecc. con le stesse modalità e le stesse leggi della luce ordinaria. Questa limitazione dell’occhio umano a una banda così piccola dello spettro delle onde elettromagnetiche pare sia dovuta più che altro a una condizione accidentale del sistema Terra-Sole e a ragioni di praticità e di efficienza ricettive: infatti l’atmosfera presenta una ‘finestra’ di trasparenza per la luce visibile proprio là dove il Sole ha un massimo di emissione di onde elettromagnetiche; e la natura ha pensato bene di approfittarne sviluppando negli organismi superiori recettori speciali su tale banda, piccoli ma estremamente raffinati e sofisticati. Approfittare della finestra sulle microonde avrebbe comportato recettori molto più ingombranti. L’avere unificato la fisica della luce visibile, cioè la scienza dell’ottica, con la fisica dell’elettricità e del magnetismo, è una delle principali conquiste della teoria di Maxwell e non solo da un punto di vista teorico ma anche dal punto di vista pratico. Basti pensare che tutta la scienza delle telecomunicazioni è fondata sulla teoria di Maxwell: infatti come la luce visibile è in grado di postare ai nostri occhi informazioni su oggetti lontanissimi come le stelle e le galassie dell’universo, così anche le altre onde elettromagnetiche possono trasferire informazioni da un punto all’altro dello spazio.[ ...]

9. la teoria elettromagnetica della luce ebbe un tale successo nel prevedere una quantità enorme di fenomeni tanto disparati che verso la fine del secolo scorso molti pensavano che il compito fondamentale della fisica fosse prossimo ad esaurirsi. Tale fiducia fu presto rotta. La scoperta di nuovi fenomeni, come lo spettro d’incandescenza delle sostanze, l’effetto fotoelettrico, i raggi X, la radioattività, scossero il mondo della fisica fin dalle fondamenta: la teoria classica dell’elettromagnetismo conduceva a clamorosi paradossi quando applicata a tali fenomeni. Infatti, nonostante l’enorme successo incontrato dalla teoria di Maxwell nella spiegazione e previsione dei fenomeni ottici, elettrici e magnetici, due grosse questioni non riuscivano a farsi inquadrare all’interno della teoria: il fallimento dell’esperienza Michelson-Morley (1887) nel rilevare la presenza di un ‘etere’ attraverso cui le onde di Maxwell potessero propagarsi, e il risultato assurdo della teoria Rayleigh-Jeans secondo la quale un corpo perfettamente assorbente per la luce (corpo nero) avrebbe dovuto irraggiare una quantità infinita di energia sull’intero spettro della radiazione elettromagnetica. Fu per risolvere quest’ultimo paradosso che Max Planck introdusse l’ipotesi rivoluzionaria che gli atomi potessero assorbire e cedere energia solo in quantità discrete dette ‘quanti’, mentre fu per risolvere la questione dell’ ‘etere’ in modo consistente con il risultato dell’esperienza di Michelson-Morley che Einstein introdusse la teoria della relatività. E’ da notare in ogni modo che nessuna di queste ipotesi così rivoluzionarie, che costrinsero a una revisione degli stessi concetti di spazio, di tempo, di determinismo e di causalità, è in contrasto con la teoria maxwelliana della luce. Anzi, nella sua teoria Einstein preferì rinunziare al concetto di tempo assoluto pur di mantenere intatte le equazioni di Maxwell.” (pp. 551-555, passim)

Nell’articolo la natura della luce è analizzata in relazione allo sviluppo della ricerca e alla applicazione in ambito tecnologico con una prospettiva che giunge sino agli anni ’70 del novecento. Rispetto ai temi della fisica dei primi anni del XX secolo emergono nuove prospettive che avranno un riflesso anche nell’ambito della ricerca artistica e progettuale: “Si sta dando oggi grande impulso alle ricerche volte a privilegiare la luce, come strumento di informazione, rispetto alle altre bande di radiazione elettromagnetica. Tali ricerche nel campo delle telecomunicazioni sono in corso in tutto il mondo, dato il loro grande interesse scientifico, tecnologico ed economico. La ragione principale di questo interesse è che la luce ha una capacità di trasmettere informazioni di vari ordini di grandezza superiore a quelle delle radioonde e delle microonde. [...] naturalmente la presenza di rumore di fondo diminuisce la capacità di trasmissione di una sorgente. Nel processo della percezione visiva, ad esempio, tipiche sorgenti di rumore di fondo sono la torpidità dell’aria e la luce riflessa di oggetti diversi da quello che si sta osservando [...] E stato proprio dallo studio del ‘rumore termico’ della luce, cioè della radiazione di corpo nero, che è nata la teoria quantistica, la quale, insieme alla teoria della relatività, costituisce uno dei cardini dell’attuale concezione fisica del mondo [... e poco più avanti dopo una analisi degli studi sugli stati fondamentali della materia e sul ruolo del fotone, si dice:] Da goria passata, quale eradvenuta nel periodo nucleare, oggi l’ottica è tornata alle frontiere della ricerca scientifica nelle condizioni di massima potenza tecnico-strumentale consentita ai giorni nostri. Campi quali l’ottica non lineare, l’olografia, la comunicazione in onde luminose, hanno aperto un mondo di possibilità tecnologiche interamente nuove in quest’epoca contrassegnata principalmente dallo sviluppo esplosivo delle telecomunicazioni” Si parla della possibilità della luce di trasmettere informazione tramite le varazioni della sua fase e 7 o del suo stato di polarizzazione; della impossibilità dell’occhio umano di cogliere la polarizzazione e la fase della luce, e quindi della invenzione del laser negli anni ’60. Laser sorgente di luce monocromatica e coerente che emette radiazioni con proprietà diverse di quella prodotta da altre sorgenti.

L’articolo si conclude quindi con una rassegna delle nuove, all’epoca, frontiere della ricerca.
 
fz
 

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