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Vendere prodotti grazie al territorio

Vanni Codeluppi

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Ogni territorio geografico e culturale è dotato di una specifica identità che tende generalmente a riverberarsi su tutto ciò che viene prodotto al suo interno. Nel caso di un intero Paese ciò di solito viene chiamato “country effect”. Dall’Italia, ad esempio, le persone si aspettano di vedere arrivare prodotti in grado di esprimere buon gusto e creatività, dalla Germania affidabilità delle prestazioni, dagli Stati Uniti innovazione tecnologica, ecc. Ne deriva che il “made in” è l’effetto sul piano dell’immagine che un prodotto, ma anche una marca, può ricevere dal fatto di essere considerato proveniente da un determinato Paese.

È ovvio che non tutti i prodotti di un Paese sono in grado di sfruttare allo stesso modo i vantaggi provenienti da tale effetto. Questo agisce infatti in maniera più incisiva sui prodotti che sono maggiormente coerenti e sintonici con l’identità del Paese. Ad esempio, sui prodotti alimentari e i capi d’abbigliamento per l’Italia, sui prodotti meccanici (e soprattutto le automobili) per la Germania, sui computer per gli Stati Uniti, ecc. Dunque, ogni Paese produce moltissimi prodotti, ma soltanto alcuni di essi vengono considerati “made in” e perciò in grado di stabilire un intenso legame d’immagine con un determinato Paese. Per quanto riguarda l’Italia, i settori merceologici chiave da questo punto di vista sono probabilmente tre: tessile, abbigliamento e accessori; arredamento e design; alimentari e bevande. Cioè quelle che spesso all’estero vengono chiamate le tre “F” del Made in Italy: Fashion, Furniture, Food.

Se, come abbiamo detto, un prodotto può beneficiare dell’immagine positiva di un certo territorio, può ricevere anche degli effetti negativi da un peggioramento dell’immagine di tale territorio. E questo è senz’altro il caso dell’Italia, che da diversi anni è entrata in una condizione di lento declino. Si pensi soltanto che oggi, nonostante il suo primato indiscusso per quanto riguarda la quantità di bellezze artistiche e naturali possedute, è al quarto posto tra i Paesi più visitati al mondo, dopo essere stata in passato per lungo tempo al primo. È ovvio che anche l’immagine dei prodotti italiani risenta in maniera significativa di questa situazione. Un’indagine condotta qualche tempo fa da Eurisko ha mostrato come nei principali Paesi europei i prodotti italiani vengano «giudicati innovativi e di bel design ma scarsamente affidabili e tecnologicamente poco avanzati». È evidente che vengono trasferiti sui prodotti italiani quei tratti critici che sono solitamente associati alle persone: poco affidabili, scarsamente efficienti sul piano organizzativo, poco rispettose delle norme e delle regole.

Rispetto a questo problema si può oggettivamente fare poco. Le variabili che incidono sull’immagine di un Paese infatti sono troppo numerose. E comunque per poter intervenire occorrerebbe anche l’azione esercitata da un sistema politico forte ed efficiente. Il quale oggi non è certamente rintracciabile nelle attuali democrazie occidentali, dove opera di solito una politica che tende sempre più a diventare mediatica e “pop”.

Il compito si semplifica se, anziché operare su un intero Paese, ci si limita ad intervenire su un territorio di dimensioni contenute. Un territorio come, ad esempio, gli oltre 200 distretti produttivi italiani. O come le celebri Silicon Valley e Napa Valley californiane. In questi casi è possibile sviluppare un’efficace attività di comunicazione in grado di fare percepire quegli elementi che caratterizzano specificamente l’identità del territorio. E di trasferire poi tale identità su tutti i prodotti che vengono creati in quello stesso territorio.


Vanni Codeluppi, Sociologo, insegna Sociologia dei consumi e Comunicazione pubblicitaria alla Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell'Economia nell'Università di Modena e Reggio Emilia

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