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Francesco Sorrentino

I territori dell'analogia

A cominciare da Oswald Mathias Ungers

Oswald Mathias Ungers, Immagine tratte da Morphologie. City Metaphors. Colonia: Verlag der Buchhandlung Walther König, 1982.

Oswald Mathias Ungers, Immagine tratte da Morphologie. City Metaphors. Colonia: Verlag der Buchhandlung Walther König, 1982.

Abstract
L’articolo affronta il rapporto tra l’analogia e la disciplina architettonica, tenta di indagare cioè, anche attraverso l’esempio di architetti e di architetture, le qualità “interne” ed “esterne” alla scrittura architettonica del processo analogico. L’analogia, infatti, implica da un lato uno stretto rapporto con la disciplina e con i suoi dispositivi costitutivi, con la storia (l’architettura analoga dell’architettura), dall’altro, introducendo all’interno dell’elaborazione progettuale dinamiche soggettive, legate alla memoria e all’immaginazione, essa suggerisce anche connessioni esterne al campo dell’architettura, con la natura, con l’arte, con il paesaggio. Attraverso l’analogia è possibile ripercorre secondo un’angolatura originale i caratteri autonomi ed eteronomi dell’architettura.


Ogni progetto di architettura instaura un legame, con il luogo (anche qualora sembra che lo ignori), con altre architetture, con memorie, con atmosfere vissute, con il paesaggio, con la natura. Come l’attività del conoscere, il progetto è un’arte della connessione. Ogni esperienza, presupposto imprescindibile per qualsiasi forma di conoscenza, è una connessione, un’accordatura tra fenomeni e concetti. Secondo Kant ciò che consente tale accordatura è l’immaginazione, quale facoltà intermedia tra i dati della sensibilità derivanti dall’esperienza di un fenomeno e i concetti prodotti dell’intelletto. Ogni fenomeno si offre all’esperienza in una molteplicità sensibile (colori, massa, peso, estensione, ecc.), l’immaginazione sintetizza, mettendo in connessione i dati raccolti dai sensi, il molteplice dell’esperienza in una unità, un’immagine (1). Da questo punto di vista il progetto architettonico nel suo essere uno strumento di connessione e di sintesi è una forma di conoscenza ed in quanto tale non può prescindere dall’immaginazione. È questa la tesi sostenuta da O. M. Ungers nel suo saggio Progettare e pensare attraverso immagini, metafore, analogie (2). Seguendo il suo ragionamento, «la consapevolezza che la realtà viene colta attraverso la percezione e l’immaginazione è il vero processo creativo» (3). In questa visione l’analogia diventa uno strumento indispensabile per la produzione artistica, che consente una forma di conoscenza della realtà fondata sulla rappresentazione, su un pensiero morfologico che procede per immagini. «L’analogia istituisce una omogeneità o l’esistenza di principî omogenei tra due eventi che normalmente sono del tutto differenti […] Con l’applicazione del metodo analogico è possibile sviluppare nuovi concetti e riconoscere nuove connessioni» (4). Nel libro Morphologie. City metaphors Ungers propone una serie di coppie di immagini analoghe in ciascuna delle quali una rappresenta la pianta di una città. Le immagini sono accoppiate rispetto ad un tema che esprime il nesso, il principio omogeneo che le pone in relazione, in analogia: all’immagine di uno schema urbano è associata quella di una antenna per telecomunicazioni, entrambe analoghe rispetto al tema della distribuzione radiale («radiation»), e l’immagine di una città fortificata è messa in relazione rispetto al tema della “difesa” (di uno spazio, di un luogo) a quella di una portaerei. L’esercizio al quale Ungers si sottopone consiste quindi nell’osservazione/conoscenza di un’immagine – nel caso di City metaphors dello schema o della pianta di una città – che permetta di individuare mediante sintesi un tema, un principio formale rispetto al quale associare una (o più immagini) analoghe. La conoscenza, la fase analitica del progetto, è quindi un processo morfologico, governato da principi di trasformazione. 
Secondo Francesco Rispoli il tema «stabilisce l’ambito di esistenza dei suoi possibili correlati in termini di oggetti e di rapporti; in qualche modo esso comporta l’individuazione (esistenza) di un campo associato di strutture ordinate nell’archivio della memoria (storica, disciplinare) e nel repertorio delle forme presenti nel contesto» (5). L’analogia prevede un campo associato di fenomeni, immagini che riposano nella nostra memoria, formate attraverso esperienze e conoscenze. Diventa allora fondamentale per il progetto la scelta o l’individuazione del tema che è «ciò di cui il progetto parla» (6). Tale scelta è affidata alla soggettività del progettista, alla sua sensibilità nei confronti del contesto e della domanda (necessità, bisogni) alla quale deve dare risposta. Individuato il tema, è possibile far emergere (far venire alla memoria) un campo, un territorio di immagini analoghe che “evocano” una formalizzazione del tema: quest’ultimo prende forma allora dall’immagine analoga o da una sintesi delle immagini appartenenti al campo associato.
Sul funzionamento e ruolo della memoria nel processo creativo Antonio Rossetti (7) nella rilettura del Kant della Critica della ragion pura e della Critica del Giudizio mostra come la memoria sia in grado di ordinare nella mente le immagini derivanti da esperienze anche differenti e lontane nel tempo secondo dei principî, che egli chiama «predicati» (8). Le immagini differenti ma ordinate secondo gli stessi predicati vengono sintetizzate dalla memoria in una nuova immagine che sarà sintesi di tutte le immagini derivanti dalle differenti esperienze. Tale immagine è tanto più produttiva (originale) e non ri-produttiva quanto più essa è sintesi delle differenti immagini, quanto più essa non è mera ri-produzione delle singole immagini esperite e ordinate dalla memoria.  A testimonianza del fatto che la memoria presiede i processi creativi, se si vuole poietici, prodotti cioè del “fare con arte” (ποίησις), il mito greco racconta che Mnemosyne (Μνημοσύνη), da cui il termine memoria, era la madre di tutte le Muse ispiratrici delle arti.  
Il territorio o campo di immagini analoghe può essere interno alla disciplina architettonica o esterno e le rispettive analogie interne o esterne.
Le architetture di Aldo Rossi raccontano in maniera esemplare la qualità interna al linguaggio architettonico del processo analogico. Le figure di Rossi, il cilindro, il cono, il cubo sono elementi che trascendono ogni campo semantico a loro associabile (funzionale, simbolico, sociale), sono forme pure che si offrono al gioco di rimandi analogici all’interno delle forme storicizzate della scrittura architettonica. Alberto Cuomo sul carattere analogico dell’architettura di Rossi scrive che «la metafora che comunque si determina non metaforizza quindi sensi esterni all’architettura stessa, il sociale ad esempio […], ma allude all’architettura stessa, alle sue diverse conformazioni storiche, dicendoci quindi della sua impossibilità a dire ciò che le è esterno. La “città analoga”, l’architettura analoga, come è noto, non implicano l’analogia quale somiglianza tra campi differenti (l’architettonico ed il sociale), ma tra le diverse interpretazioni storiche del medesimo campo linguistico del costruire» (9).
La «tematizzazione» (10) dell’architettura proposta da Ungers è anch’essa una strategia per ricondurre l’architettura ad una sua autonomia di linguaggio. Ogni progetto nasce dall’individuazione di un tema sempre interno alla disciplina. L’analogia tra casa e città, raccolta dal De re aedificatoria dell’Alberti, diventa il tema che connette il progetto per La casa dello studente ad Enschede (1963) con il modello di Villa di Adriana a Tivoli. Come questa il progetto di Enschede è composto sul modello di città, fatta di pezzi, frammenti che compongono una città ideale: «le case individuali, il blocco urbano, il complesso degli edifici, gli oggetti nel giardino, la via, la piazza, tanto l’ambiente individuale che quello collettivo» (11).
Ma il campo di analogie interne non riguarda l’architettura soltanto come fatto eminentemente formale, esso può essere individuato anche come “tettonica della forma”, ovvero come principio inerente la sua costruzione. È il caso questo di architetti, come Renzo Piano ad esempio, che prediligono il tema della sintassi, delle connessioni tra le membrature costruttive. È quanto avviene per il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou (1991-1998) in Nuova Caledonia, progettato da Piano, in cui l’orditura ortogonale degli elementi strutturali è mutuata dalle costruzioni in legno della popolazione locale.
Oltre i territori interni vi sono i luoghi dell’eteronomia in cui le proprietà associative dell’analogia riguardano strutture linguistiche differenti, come avviene per le frequenti analogie tra architettura e natura. Più difficili sono invece le analogie tra l’architettura e il sociale, che, in quanto espressione quest’ultimo dell’etica nelle reciproche interrelazioni tra individui, non offre territori, parafrasando il pensiero di Kant, di facile sperimentazione dei sensi.    
Il mondo della tecnica e della produzione tecnologica, dall’analogia lecorbuseriana “maison – machine à habiter” o da quella di Lucio Costa per il piano di Brasilia alle sperimentazioni hi-tech dei primi Piano, Foster, Hopkins, Grimshaw, è stato da sempre un territorio fertile di eteronomie linguistiche.
Processi analogici possono rintracciarsi anche nei più recenti ed aggiornati paradigmi ecologici, che tentano di riprodurre per l’ambiente costruito, quale “natura artificialis”, i meccanismi rigenerativi (fotosintesi, sistemi passivi, rinnovabilità delle risorse) della natura. Se si vuole, anche la transarchitettura, architettura parametrica, biomimetica, nella freddezza del calcolo informatizzato che la traduce fissandola in forma, attraverso una razionalità tecnica data dall’uso delle più avanzate tecnologie di modellazione tridimensionale, è frutto di un processo analogico che vuole la realtà prodotta dall’uomo (lo spazio costruito ed il sistema di oggetti ad esso correlato) quale riproduzione della molteplicità morfologica, tuttavia irriducibile al più sofisticato calcolo informatizzato, con la quale la natura si dà. 
Al di là dei linguaggi, delle forme, dei territori di migrazione o dei tentativi di ricucire, come Penelope la sua tela, i bordi della disciplina, rimane per chi frequenta il progetto d’architettura la necessità del conoscere per immaginare.    

Note
1. Kant, I. (2000). Critica della ragion pura, Roma-Bari: Laterza.
2. Ungers, O. M. (1982). Progettare e pensare attraverso immagini, metafore, analogie, in ID. (1982). Morphologie. City metaphors. Colonia: Verlag der Buchhandlung Walther König, 7-14. Il saggio è stato pubblicato nella sua versione originale bilingue tedesco-inglese in “Ventre. La rinascita dell’architettura”. 2006, 6. Una traduzione del testo in italiano è riportata in antologia al testo AA. VV. (1991), Oswald Mathias Ungers. Opera completa 1951-1990 (Vol. I). Milano: Electa, 230-232. 
3. Ungers, O. M. (1982), op. cit., 8.
4. Ivi, 12.
5. Rispoli, F. (2016). Forma data e forma trovata. Interpretare/progettare l’architettura. Napoli: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 110.
6. Ibidem.
7. Rossetti, A. (1996). Forme del frammento analogo. Napoli: Edizioni Graffiti, 80-83.
8. Antonio Rossetti nella sua restituzione del pensiero di Kant definisce ogni conoscenza come Giudizio, essendo il giudizio l’accordare di un predicato (concetto) ad un fenomeno: quel tramonto (fenomeno/evento) è bello (concetto). La memoria mette insieme le esperienze derivanti dall’osservazione di fenomeni differenti come un tramonto, un’opera d’arte, una persona e li ordina secondo predicati: «pesante, pulsante, gioioso, grottesco, elegante e tanti altri». Nell’atto del ricordare la memoria porta alla luce, fa apparire (ϕαίνομαι) le immagini associate da uno o più predicati. Queste immagini vengono poi sintetizzate «in un processo tutto mentale» in una nuova immagine.
9. Cuomo, A. (1975). L’analogia e il sogno, in ID. (2013). La città infinita ed altri scritti. Melfi: Libria, 32-33.
10. Ungers, O. M. (1982). Architettura come tema, Quaderni di Lotus, 1. 
11. Ungers, O. M. (1979). L’architettura della memoria collettiva. L’infinito catalogo delle forme urbane. In Lotus International, 24.

Francesco Sorrentino è architetto e docente a contratto presso il Dipartimento di Architettura (DIARC) della Università degli Studi di Napoli Federico II. Lavora nel campo della progettazione architettonica ed urbana, del restauro e del design. Nel 2012 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Composizione Architettonica, con una tesi in cui ha indagato le teorie che hanno portato alla nascita del progetto urbano in Europa alla luce degli studi che intorno agli anni settanta vennero sviluppati in Italia. Si è occupato di numerosi progetti e ha partecipato a mostre, premi e concorsi di progettazione. Dal 2009 è membro della redazione della rivista “BLOOM” (ISSN 2035 – 5033). È autore di articoli scientifici su riviste specializzate nel campo della teoria della composizione architettonica.
Aldo Rossi, Sacrario del Cimitero di San Cataldo, Modena, 1971-78.

Aldo Rossi, Sacrario del Cimitero di San Cataldo, Modena, 1971-78.