Festival dell'architettura

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EDITORIALE nr. 1 del 22-06-2009

Spazio e figura del futuro comunitario (per via di architettura)

Prof. Arch. Carlo Quintelli
Connaturato all’evolversi della socialità, a partire dal fenomeno urbano secondo origini e sviluppo, è utile considerare l’abitare heideggeriano come sintomatico di un fatto esistenziale non solo individuale ma anche collettivo, dove la città è assunta quale struttura formalmente compiuta finalizzata a rappresentarne la complessità funzionale e identitaria. Ma nella storia recente di una città cresciuta per frammenti sempre più alienati rispetto all’idea di unità e alla logica di relazione, l’architettura tende a perdere i fondamenti del proprio ruolo strumentale, in una territorialità spesso ridotta ad indifferenziata piattaforma insediativa, nell’omologazione dei riferimenti socio-culturali, attraverso trasformazioni urbane sviluppate per eccesso di pragmatismo o velleità. Aspetti questi, in generale, sintomatici di una generalizzata perdita di ruolo del pensiero critico-interpretativo, come dice Mario Perniola nel suo ultimo saggio, attraverso la superficialità di una mentalità miracolistica incrementata dal condizionamento formativo dei mezzi di comunicazione. Interrogarsi sul futuro comunitario dell’architettura assume allora il valore di una ricerca controtendenza che parte, parafrasando Simone Weil, dalla prima radice del significato umano che appartiene all’architettura, dove poter verificare la necessità della stessa - storicamente e contestualmente declinata - intesa quale fenomeno sociale, della comunità degli individui. Sulla base di questo presupposto, la verifica conseguente è quella riguardante un progetto che tende a corrispondere alle singolarità principalmente attraverso la messa in forma del molteplice a cui appartengono. Ma se il dato comunitario è così importante perché così intrinseco al farsi dell’architettura, dobbiamo innanzitutto capire dove possiamo riscontrare oggi il principio comunitario, come si rivela, ma soprattutto quale ruolo può avere per una riacquisizione di senso dell’architettura a partire dal suo essere strumento per l’urbanità. Chi sono i soggetti, quali comunità di fatto sono consapevoli e investono nello sviluppo dei propri spazi e della loro rappresentatività sociale attraverso una figurazione peculiare e corrispondente? La materia relazionale prima della comunità è ancora declinata su spazio e figura oppure è ormai destinata a prescinderne a favore di una dimensione atopica, solo virtuale, nonchè immaginaria del rapporto sociale? Attraverso quali luoghi, in quale ambito, rispetto a quali rapporti la forma comunitaria può ancora produrre una città dell’architettura (e viceversa)? Il discernimento comunitario dell’architettura può essere riconosciuto tra le possibili strategie etiche del progetto?

Il Festival intraprende questo cammino biennale con diversi attori, mezzi e situazioni, dal mondo della ricerca e della formazione, dall’esperienza di saperi che da sempre scambiano con l’architettura, dalle realtà che progettano, amministrano, realizzano e vivono la trasformazione della città (a partire dal contesto del laboratorio emiliano). In un palinsesto del Festival dagli esiti non scontati - perché conseguenza di una ricerca reale e di un confronto aperto - inseriamo anche questa pur sintetica finestra editoriale a disposizione di coloro che hanno qualcosa da dire sul tema, all’interno di un sito predisposto a raccogliere nel tempo i materiali di una critica che si fa progetto.

Carlo Quintelli

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La stanza del laboratorio di ricerca rimane aperta alle critiche, ai contributi e alle domande dei visitatori. Interloquendo con i curatori entri a far parte di una ricerca intesa come processo partecipato di conoscenza ed interpretazione.

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