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Lamberto Amistadi
Carlo Quintelli, Lamberto Amistadi, La rigenerazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica. Il caso di Tor Bella Monaca. (Studenti: Lorenzo Faroldi, Alberto Ferrara, Sara Montoro, Valentina Pirelli, Nicola Spalanzino)
Nel 1970 esce per le edizioni Officina "La città di Padova" (1), nel quale la città è intesa come un fenomeno artificiale, cioè un fatto, di cui è possibile rendere conto in un libro.
La cosa interessante è il cortocircuito tra città come artificio concreto (o concrezione artificiale) e la stesura di un indice delle voci che la descrivono.
Oramai sappiamo che una descrizione non può essere oggettiva (assolutamente oggettiva) e quindi non può che essere connotativa: è a quel punto che chiamiamo in soccorso la parola "rappresentazione".
Anche Wittgenstein pensava che un fatto (e/o il mondo) esistesse solo al momento della sua rappresentazione. L'elencazione (la formulazione dell'indice con i nomi e le categorie: pensiamo anche alle tassonomie di John Hejduk) è il fondamento dell'intenzione critica.
Così, un elenco di città (Aachen, Padova stessa, Siracusa, Strasburgo, Tallinn, Trento e Parma) viene sottoposto ad una lettura di ordine figurativo, il che significa che tale lettura stabilisce delle gerarchie ed in cima alla lista ci sono i monumenti.
I monumenti stanno in una relazione dialettica con il tessuto di una città fatta di particelle (edificiali o lotti) e di oggetti (tra città e collezione, tra Oswald Mathias Ungers e Colin Rowe – dice Hans Koolhoff nella bella intervista rilasciata al Festival dell'Architettura e pubblicata nel catalogo FA6 in uscita prossimamente).
Quale che sia, la natura del monumento e del tessuto varia di volta in volta col filtro di classificazione, ma anche con la natura del contesto territoriale.
Per questo motivo, a partire dal 1980, mentre gli altri architetti (compresi i suoi stessi allievi) parlano di tipologia edilizia e di morfologia urbana, Giuseppe Samonà compie un salto di scala (quello che Levinas chiamerebbe "salto analogico"), disarticola la fissità della relazione binaria tra tipologia e morfologia e considera le intere città storiche come un monumento, come "grandi frammenti carichi di storia".
I termini "interni" della disciplina vengono ricalibrati sulla misura della sua "città in estensione": al tessuto urbano si sostituisce l'armatura territoriale e la (cosiddetta) "struttura di conformazione" si articola secondo "una topologia, che non presenta una sola misura dello spazio, ma tante misure quante sono le diversità dei luoghi in cui lo spazio coincide con il luogo stesso." (2)
Quel che è certo è quel che non cambia: la distinzione gerarchica, per cui alcuni fatti valgono più di altri (no "generic city"), prima i monumenti, ora i luoghi-spazio o figure.
È interessante il termine figura e la disposizione delle figure, la configurazione. Non è questo il luogo per una definizione, ma quel che è certo è che le figure compiono un lavoro (come in tutte le discipline, dalla semiotica alla danza) dentro la nuova città in estensione, cioè non hanno alcuna valenza estetico-contemplativa (come non l'avevano i monumenti architettonicamente intesi, d'altronde) ma sono i cardini del mosaico paesistico territoriale.
Poi Samonà va oltre. All'interno di una dimensione sapienziale innesta i fondamenti epistemologici della "nuova forma di pianificazione" in un circolo che oscilla tra deduzione ed istinto, a partire dalle certezze fornite all'architettura dalla sua stessa esperienza storica, la quale rende l'architettura e l'urbanistica nella loro unità una disciplina autonoma dalle altre (pianificazione territoriale, sociologia e geografia urbana e regionale, economia dei trasporti) ed indipendente.
La peculiarità consiste in un atteggiamento pragmatico (del tipo di pragmatismo americano che Rogers riprende da Dewey e che attribuisce all'arte la capacità di fare esperienza), che consiste nell'attribuire valore di verità ai fatti stessi piuttosto che alle congiunture che determinano i fatti.
Per questo motivo, nelle riflessioni intorno al Piano Programma per il Centro Storico di Palermo (3) - (e nei divertenti carteggi epistolari con Giancarlo De Carlo, incaricato con lui del Piano e piuttosto scettico sull'approccio chiromantico del collega), Samonà si preoccupa di interrogare i fatti (direttamente) attraverso il disegno ed il ridisegno per giungere infine ad una "immagine intenzionata e significante, che noi definiamo icona".
L'interrogazione è basata sulla formulazione di alcune ipotesi (o categorie) ma l'immagine intenzionata o icona è lì apposta per smentire le premesse iniziali e dettare ex-post la natura della vocazione formale della città.
Come il cavallo di Šklovskij (l'artista) che non sa andare diritto, l'architetto va di traverso, all'interno di una pseudo-scienza (l'Urban Design Studio di Rowe?) che contempla al proprio interno un atteggiamento irrazionale, in cui le prove sperimentali sono prodotte ex-post.
Nella "urbanistica della scoperta" (così la chiamava Ungers) - (4) è la scoperta che certifica le prove sperimentali e non viceversa.
Questo pensava anche Aby Warburg, in questo consiste la relazione tra arte ed architettura e questo comporta l'avere introitato nell' "arte di costruire la città" il mondo vasto ed ambiguo delle forme e delle sue motivazioni.
(1) C. Aymonino (a cura di), La città di Padova, Venezia 1970. Con scritti di Carlo Aymonino, Manlio Brusatin, Gianni Fabbri, Mauro Lena, Pasquale Lovero, Sergio Lucianetti, Aldo Rossi
(2) Giuseppe Samonà, Come ricominciare. Il territorio della città in estensione secondo una nuova forma di pianificazione urbanistica, «Parametro», n. 90, 1980
(3) Lettere su Palermo di Giuseppe Samonà e Giancarlo De Carlo, per il Piano Programma del Centro Storico, 1979-1982, C. Ayroldi, F. Cannone, F. De Simone (a cura di), Roma 1994
(4) O. M. Ungers, S. Vieths, La città dialettica, Milano 1997
Lamberto Amistadi insegna Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura di Parma e coordina con Enrico Prandi il Festival dell'Architettura