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Luciano Semerani
Riunione del Gruppo Architettura nella casa di campagna di Carlo Aymonino - da sinistra: Raffaele Pannella (di schiena), Angelo Villa, Gianni Fabbri, Luciano Semerani, Gianugo Polesello, Carlo Aymonino, Nino Dardi, Romano Burelli
C’è chi resta a metà strada tra una fiducia doverosa nel ruolo delle Istituzioni Pubbliche e la disperazione per le debolezze umane e, come un equilibrista, tenta di conciliare gli opposti. Carlo è vissuto invece come un giocatore, che non dispera della propria e in questo caso anche dell’altrui sorte ma che si vede e vede con una simpatia mista a ironia.
È l’autoironia che ci consente di dare, prima di tutti a noi stessi, un senso di verità e un valore di autenticità all’esperienza.
Da Direttore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, tra il 1974 e il 1979, da Assessore al Centro Storico al Comune di Roma, tra il 1980 e il 1985, come coprogettista, appena laureato, con Ridolfi e Quaroni del “Quartiere Neo-realista” del Tiburtino, come promotore a Venezia del “Gruppo Architettura” e di moltissime altre iniziative culturali, nei sodalizi con artisti, scrittori, intellettuali, nella militanza di partito Carlo premiava l’intelligenza, senza temerla, come capita invece ai più e spendeva se stesso senza avarizia.
È dalle lettere con Aldo Rossi, all’origine suo assistente di Caratteri Distributivi, dal rapporto con Guido Canella e con la rivista “Zodiac”, dai nomi degli artisti che ha frequentato che si ricavano le ragioni di quello che allora veniva definito “l’impegno” ad andar oltre. Oltre le competenze dello studioso, le aspirazioni del professionista, le responsabilità del professore in una sorta di curiosità per il globale, e forse una passione immorale per il risveglio continuo delle immagini, per l’avventura senza fine nei sentieri della conoscenza.
La stratificazione enorme degli appunti di viaggio, di disegni d’interpretazione dei “fenomeni urbani”, dei “montaggi eclettici e citazionisti” mostra, di là dalla qualità stessa delle opere, una sorta di “faustiana” ricerca di conoscenza, una “Goethiana” volontà di riordinare o meglio di “appropriarsi del mondo” come sta.
Non è che la Presidenza della Scuola a Venezia gli venisse offerta su di un piatto di argento. Era in pieno sviluppo l’offensiva ideologica contro “il progetto di architettura”, e Aymonino, architetto “formalista” rappresentava la retroguardia di quanti tenevano unito il binomio “architettura/città” con la pretesa di impersonare un altro binomio, quello dei “costruttori/intellettuali”.
Per parte loro le rivoltine settantottine misero alla prova le sue capacità di controllo, basate sul “temporeggiare”, forse seguendo una tradizione famigliare di abitudine al comando ed anche applicando quella tolleranza del prossimo che è dote tipicamente romana.
Sembrava quasi impossibile trovare uno spazio per l’Architettura presa tra le opposte, ma concordi, sponde dei “pianificatori territoriali” e degli “storici della morte dell’Arte”.
La presenza di Aymonino nella Giunta Capitolina incise poco sulle sorti di quella che egli leggeva come un’unica grandissima Villa Adriana, una “composizione” unica di monumenti da reinterpretare attraverso una accentuazione delle relazioni tra i “segni”, ad esempio con il “ripristino” dei Fori Imperiali nella loro originaria forma compiuta o col riposizionamento del “Colosso” da lui stesso disegnato tra il Colosseo e l’Arco di Costantino e il Tempio di Venere.
Nell’occasione di un nostro viaggio a Milano Carlo scoprì nella vetrina di un negozio d’abbigliamento delle vestaglie maschili da camera sulle quali, in argento su fondo nero, erano state stampate, a sua insaputa, delle riproduzioni del “Colosso”, con un effetto inevitabilmente “gay”. Dopo trattativa Carlo venne tacitato con una vestaglia in regalo.
Non ebbe maggior fortuna un prestigioso seminario internazionale di progettazione sull’area di Cannaregio a Venezia, al quale furono invitati architetti importanti (Abram, Eisenman, Hejduk, Hoesli).Il progetto dell’area venne affidato a Gregotti, l’unico tra i docenti della scuola che non aveva partecipato.
Pur senza incidere minimamente sulla storia urbana di Venezia, quel seminario ebbe una sua notevole importanza perché da quel momento la Memoria e la Storia entrarono tra i materiali dei progetti di Eisenman e Hejduk.
Nella mia biblioteca di Trieste gli architetti sono ordinati alfabeticamente e distinti in due diversi armadi. Il primo riguarda quanti sono ancora attivi, il secondo quelli che non ci sono più. Negli ultimi tempi ho dovuto spesso fare dei trasferimenti.
Con questo che ho adesso fatto dei libri di e su Aymonino penso di aver concluso.
Nella copia del tascabile Laterza “Il significato delle città” ho trovato una dedica:
Quanto tempo è passato senza che ce ne rendessimo conto !
Luciano Semerani è Professore Ordinario di Composizione Architettonica e Urbana all'Università IUAV di Venezia