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Mauro Marzo
Mauro Marzo, Schizzo degli spazi ipogei presso il porto di Sciacca, 2007
Che la salvaguardia dei luoghi dell’archeologia rappresenti oggi un tema capace di attrarre la vigile attenzione dell’opinione pubblica è cosa nota. Basterebbero a dimostrarlo gli innumerevoli articoli che hanno riportato, qualche mese fa, la notizia del crollo verificatosi nel sito archeologico di Pompei, le accese polemiche che ne sono seguite, l’eco suscitata dalla vicenda.
Caricato di significati che superavano la sua portata, l’evento è stato assunto da più parti quale prova evidente – se mai ve ne fosse stato bisogno – dell’esiguità dei fondi che si stanziano nel nostro paese per salvaguardare il patrimonio archeologico. Con effetto teatrale, il crollo di un muro ha messo in scena l’esito ultimo di una visione alquanto sfocata delle potenzialità dei siti archeologici e dei benefici che potrebbero derivare da una loro strategica valorizzazione.
Certo è che, di fronte ad episodi del genere, diviene lecito porsi una domanda: esiste in Italia una politica culturale convincente, capace di risolvere le difficoltà del presente e adeguata alla tutela del patrimonio da lasciare in eredità alle prossime generazioni?
Appare arduo, se non si vuol cadere in superficiali e demagogiche semplificazioni, rispondere a tale interrogativo; eppure esso aiuta ad individuare alcune questioni di carattere generale sulle quali il governo di oggi e quelli di domani, le soprintendenze, le università, il mondo della cultura, dovrebbero meditare.
Individuare strategie per l’attuazione combinata di interventi di salvaguardia e di progetti di valorizzazione, da un lato, definire ambiti di coazione tra enti territoriali, organi di tutela e mondo dell’accademia, dall’altro, costituiscono oggi due tra le questioni più cruciali per poter giungere ad un serio e condiviso disegno culturale circa il futuro dei siti archeologici.
Non è dunque un caso che tali questioni siano state oggetto di discussione nella Giornata di studi “Spazi pubblici e contesti archeologici. Università e Istituzioni” - tenuta a Roma il 13 maggio scorso, nell’ambito della Prima Biennale dello Spazio Pubblico, organizzata dall’INU -, cui hanno partecipato figure del mondo dell’archeologia e dell’architettura di grande rilievo[1]. Ideata e curata dalla Facoltà di Architettura di Roma Tre – che è divenuta nel corso degli anni un punto di riferimento imprescindibile per chi si occupa delle relazioni tra progetto e archeologia -, la giornata ha consentito di riflettere sul ruolo che potrebbe essere assunto dalle università, sia rispetto alla definizione di approcci progettuali volti a tenere insieme azioni di tutela ed esigenze legate al turismo, sia rispetto all’elaborazione di piani finalizzati a riattivare, tra siti e contesti, quei rapporti spesso interrotti proprio in ragione della necessità di preservare i resti archeologici.
In generale si può affermare che i progetti di valorizzazione connotati dalla volontà di riannodare connessioni tra aree archeologiche e tessuti urbani circostanti pervengono a risultati apprezzati sia dagli enti territoriali che dalle popolazioni locali, in quanto introducono nei contesti qualità ambientali e architettoniche nuove con ricadute positive sul piano sociale ed economico.
In quest’ottica, dunque, appare sempre più chiaro che salvaguardia, fruizione e valorizzazione dei luoghi dell’archeologia diventano obiettivi perseguibili solo a una condizione: che il progetto di architettura si dimostri capace di intessere una sottile trama di relazioni fisiche e percettive fra i resti di un passato lontano e la vita che ancora oggi, intorno ad essi, continua a scorrere.
Mauro Marzo è docente a contratto di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura di Parma e tutor al Dottorato in Composizione architettonica dell'Università Iuav di Venezia.
[1] Tra i relatori del seminario, si citano: Roberto Cecchi, Francesco Cellini, Paolo Desideri, Luigi Franciosini, Stefano Gizzi, Adriano La Regina, Angelo Torricelli.