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Francesco Collotti
Erik Gunnar Asplund, ampliamento delle corti di giustizia di Göteborg, progetto preliminare, 1919. Pianta del piano terra.
Esercizio di misura dalla corsa lunga.
Per più di vent’anni E.G. Asplund insegue l’ampliamento delle corti di giustizia di Göteborg.
Dal primo concorso del 1913 vinto, sino agli esecutivi del 1934-1937, è un percorso in cui pare di ricapitolare un’esperienza dell’architettura di ben più lunga durata che tien dentro un palazzo e i suoi sguardi sul luogo, ma anche mondi apparentemente lontani e sempre tuttavia presenti nel lavoro di Asplund.
Il percorso di ogni progetto dalla figura alla sua astrazione non è mai né inesorabile, né lineare. E tra i Maestri nell’appropriatezza si potrebbe affiancar Asplund a Loos fino a Moneo.
Il caso studio di Göteborg è in questo esemplare.
Il canale e la piazza Gustav Adolf son ben di più che pretesto per un giovanile progetto di competizione, divenendo l’occasione per la ridefinizione di una parte significativa della città e, al contempo, adesione a un mondo di forme che, nel tempo sospeso del classico, giunge a latitudini ahimè blandamente bagnate dal demone meridiano.
Ancora una volta una città di mare con una piazza bellissima colonnata a tratti, dove persino il segno zen di un pennone portabandiera, con qualche voglia di ancorché mascolina polena e i simboli di un sole leone arrabbiato qui peraltro mai visto, è capace di spostar pesi e ridefinir equilibri con ferma gentilezza, massimo del risultato col minimo dispendio di mezzi?
Come Schinkel, come Plecnik, Asplund disegna tutto.
Ancora una volta per Asplund un progetto fatto anche di altre conversazioni, altri appunti, altri progetti per un tribunale che a un certo punto appaiono e poi scompaiono, un desiderio di volta di cielo che compare qui e poi ritorna stellato nel cinema Skandia, luogo dove il carattere della finzione prende corpo nel rosso che è teatro, che è tentazione per un momento, che è sogno nella durata della pellicola che ci prende e ci porta via.
Questa l’appropriatezza, questo il carattere a star dietro a quel tipo che geometria sola non è.
Così negli schizzi delle corti di giustizia il lavoro procede interrogando l’edificio originario e i fuochi dell’intorno, il canale appunto cui le prime soluzioni sono subordinate assegnando al tratto di collegamento tra la vecchia e la nuova corte il compito di ospitare lo scalone monumentale che diventerà meno marcato nella soluzione realizzata, anche se andrà a occupare la medesima posizione. E poi a seguire, epifania di uno sguardo che insegui e non ritrovi, ecco la chiesa, che in un istante nel 1919 compare negli schizzi quasi in asse con l’ingresso della corte, che ora non è più sul canale, ma si conferma sulla piazza…no, non è in asse! è invece un forte eppur sensibile lavoro di correzione urbana, fatto da chi ha girato e misurato le corti e i palazzi delle città italiane, Firenze per tutte, mediando tipi e forme apprese dai libri, percorrendo coi piedi e prendendo nella mano che disegna anche i pensieri di Camillo Sitte.
Non l’algida accademia delle misure, ma un continuo ragionamento fatto di andirivieni tra il foglio e l’occhio, come i più bravi han fatto. Come agli allievi sempre toccherebbe rammentare estraendo il loro trafficare dal fuori-esperienza e dal fuori-misura del digitale.
E forse, sia detto a coté, ci piace pensare che uno dei più criticati progetti di Rafael Moneo per il completamento di un’ala/spigolo del grande illustre palazzo del Banco de España di Madrid stia dentro quelle soluzioni apparentemente in stile con cui Asplund già dal 1920 e poi nel ’25, nel ’34 e ancora nel 1935 sul filo, cerca la via del controverso rapporto con l’edificio esistente.
Che coraggio! Come Oud alla Shell?
Acquietata su questo versante, cioè la piazza, fu la prima proposta di concorso. Irenica, dalla pianta e dalla sezione coerenti, tutte orientate verso il fiume, una sola mossa, corte grande e corti piccole in sequenza separate dallo scalone in asse. La piazza dichiaratamente un lato, ancorché autorevole, e purtuttavia quasi un fronte subordinato. La mossa decisiva di girar l’edificio ha bisogno per cominciamento di un pretesto forte: ecco appunto nel 1919 un piccolo schizzo e una pianta a mano dove domina un nuovo fuoco, la mole crescente per gradi da abside a torre della chiesa retrostante di cui già si è detto. Una piccola fontana lenisce il gesto, e gli archi sui lati a rincorrersi. Spazio di città reso domestico e controllato, mediato dalla misura della grande mossa della piazza Gustav Adolf, dimensione più collettiva che pubblica in questa corte lunga, a introdurre il passaggio alla vera nuova corte di lato, che è nei fatti la hall del palazzo.
E par che tutto ciò si tenga fino alla soluzione costruita, debitrice al vecchio edificio epperò riscattata; buon esempio da mostrare: nei giunti a contatto con l’esistente e appena scostati dal filo di facciata son piazzati elementi di servizio, una scala minore, i bagni.
Eccola la corsa lunga di Asplund alle corti di giustizia di Göteborg.
I libri degli storici ci avevano abituato a questo corpo aggiunto come un gioiello del Moderno contrapposto e in contestuale controverso dialogo con la disprezzata facciata storicista a lato.
Ma quale nuovo a tutti i costi?
Qui il nuovo non è gridato e prende le misure del vecchio, in pianta come in alzato.
La pianta di Asplund è antica, e del vecchio riprende l’allineamento dei muri retrostanti al portico che suona come elemento aggiunto. Il progetto rimette a posto le cose anche nel vecchio!
L’alzato è una sorpresa tutta dentro la partitura esistente, ma condivisibile nel suo essere capace di prender l’esistente e portarlo avanti.
Di anticipazioni veloci e tempi più lenti vive del resto il nostro mestiere, comunque e sempre rispettoso dei muri e della città.
Francesco Collotti, architetto e professore associato di Composizione Architettonica presso Università degli Studi di Firenze. Già docente ETH a Zurigo, ha svolto attività didattica in Italia e all’estero.
Erik Gunnar Asplund, ampliamento delle corti di giustizia di Göteborg, progetto preliminare, 1919. Prospettiva della corte con la chiesa.