Scegli la Lingua

Festival dell'architettura

Ti trovi in: Home page > Archivio Magazine > Biennale di Architettura di Venezia

Biennale di Architettura di Venezia

Una ‘Sanaa' nitidezza

Eleonora Mantese

ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee nel Padiglione Centrale della Biennale. Vista della biblioteca

ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee nel Padiglione Centrale della Biennale. Vista della biblioteca

“La civetta di Minerva prende il volo a mezzanotte”.

È una traduzione volutamente scorretta di quel ‘crepuscolo’ in cui Giorgio Federico Hegel riscatta ampiamente la civetta dalla sua fama, non proprio benaugurante, affiancandola alla saggia e sapiente Minerva. La civetta prende il volo quando la realtà del giorno è già compiuta.

Il passaggio è brusco e, ovviamente, per nullla scientifico, ma trovo significativa questa biennale perché Sejima/Minerva/civetta trasmette questa impressione: lascia, con molto respiro, una libertà alla registrazione di ciò che accade nel mondo senza volontà profetiche che, come si sa, vengono sistematicamente smentite da scosse telluriche imprevedibili. Non c’è sismografo in grado di prevedere, come ha dimostrato una precedente biennale.

Trovo positivo che non ci sia fagocitazione verso una dissennata profusione di forme, né quel tipo di agonismo muscoloso di architetti che vorrebbero salvare il mondo con narcisismo mascherato, spesso, da volontà di etica con poca politica.

È una biennale che non incalza e lascia tempo a chi desideri prendere e perdere tempo per guadagnare tempo che, come si sa, non è lineare.

È una biennale nitida, soprattutto alle Corderie dove le opere e le partecipazioni nazionali interagiscono con molto respiro con l’edificio ospitante. L’atelier Mumbai crea uno spazio interattivo, le due grandi travi in cemento dell’Ensamble Studio fanno sentire il peso dell’architettura con un colpo solo ben assestato,il padiglione del Bahrain è un controcanto estremo alla quantità di certo sviluppo orientale e così via. I soggetti in causa assecondano gli spazi delle Corderie con un ritmo che non affatica, contrariamente a precedenti, sovraccariche, esposizioni. Non mancano alcune cadute: gioco di luce e acqua e nuvola fantozziana che, anche per il caldo rendeva quel paradiso un inferno.

Si visitano le Corderie con un certo stato di salutare sospensione.

La riduzione dei video alleggerisce la testa; la presenza di nuove realtà nazionali arricchisce la testa. Alla fine si arriva al padiglione Italia, sempre chiedendosi come mai sia finito lì; è la domanda che si pongono in molti; per fortuna Sansovino è vicino di casa. L’atmosfera cambia: entri in un clima di piccola patria costellata di ottime intenzioni che sembrano, però, un po’ troppo compresse; apprezzabili, congrue, forse troppe, trasmettono, piuttosto, l’affaticamento di un fare sempre più difficile nel nostro paese, pur aprendo a un esile filo di speranza.

Anche nei padiglioni ai giardini c’è una libertà e un clima di ringiovanimento generazionale che interagisce con il visitatore che si pone la domanda della relazione di quanto esposto con il titolo della biennale People meet in architecture; possono sembrare interpretazioni incongrue, una sorta di ‘fuori tema’; pongono, comunque, degli interrogativi: il raffinato padiglione belga con usi e usure, l’olandese con il mondo delle presenze architettoniche, il cecoslovacco con una esasperazione autoironica del rapporto con la natura, il padiglione svizzero con le straordinarie vie di comunicazione di Conzett e così via. Ci sono disegni e carta e matite: dentro il padiglione inglese c’è un concorso ex-tempore per bambini, giovani e architetti che reagiscono con immediatezza.

Non importa molto se questa biennale passerà o meno alla storia, problema che i critici si pongono con un’eccessiva dose di acredine; come mi sembra di scarso rilievo la critica alle punte di narcisismo della curatrice. Perché non dovrebbe? Ancora, critica molto diffusa, non c’è abbastanza architettura? Talvolta l’assenza fa pensare più di incombenti presenze.

Poi è una biennale che fa bene alla città perché è pervasiva e ancora meglio sarebbe se questa apertura dei palazzi, del corpo vero di Venezia e dell’università fosse uno stato permanente.

Sarà forse poco ma la restituzione alla città, dopo molti anni, della splendida biblioteca della biennale è un segnale in questa direzione.

È un giudizio troppo positivo? È il giudizio di una civetta benaugurante e curiosa del mondo.


Eleonora Mantese, Professore Associato di Composizione architettonica all'Università IUAV di Venezia

Anton Garcia-Abril - Ensamble Studio Balancing Act, 2010

Anton Garcia-Abril - Ensamble Studio Balancing Act, 2010