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Stefano Cusatelli
Duomo di Fidenza: la raffigurazione dei pellegrini in viaggio sulla via Francigena
“Le regioni non si confonderanno, perché le condizioni climatiche, geografiche, topografiche, le correnti delle razze e altre cose ancora oggi radicate, guideranno sempre la soluzione verso forme condizionate”. Così scriveva Le Corbusier in Précisions sur un état présent de l’architecture et de l’urbanisme, nel 1930, l’anno del Padiglione Svizzero alla Cité Univérsitairie, ma anche della casa Errazuris in Cile. Questa dichiarazione, a spartiacque tra l’influenza delle ricerche eclettiche alla Viollet-le-Duc sui caratteri architettonici nazionali e le esplorazioni delle “condizioni” contestuali nel progetto moderno, ci invita ad accostare la questione dei caratteri architettonici di una regione in senso diacronico. L’Emilia-Romagna presenta, pur in un binomio evidente fin dal nome, una straordinaria omogeneità di caratteri, esito di una storia collettiva costruitasi su una comune geografia, a partire dall’atto insediativo originario, la ri-fondazione romana della strada consolare Aemilia come unico decumanus maximus, parallelo al Po, di molteplici cardina urbani, sui corsi trasversali dei suoi affluenti, discendenti dagli Appennini. Quest’unione di “condizioni” insediative e geografiche, regolata, nel rapporto città-campagna, dallo strumento di controllo spaziale della centuriatio, costituisce l’esempio più straordinario di costante strutturale di una città-regione. Ed è sulla base di questa che, a corona dell’ordinamento territoriale delle diocesi, configuratosi prima dell’arrivo dei Longobardi e giunto sino a noi nella forma delle Provincie, si delineano nelle cattedrali, tra l’XI e il XII secolo, con la “rivoluzione” romanica di maestri lombardi, Antelami, Lanfranco, Wiligelmo, i primi caratteri architettonici comuni dopo quelli romani, improntati a libertà figurativa e adesione al realismo. L’uscita dal feudalesimo avviene attraverso un serrato confronto tra città e territorio, evidente nel binomio piazze urbane centrali-castelli e si compie definitivamente solo con il nuovo ordine delle Signorie, tra le prime quella degli Estensi, che in Ferrara rinnovano l’ipotesi già della Ravenna paleocristiana, di una capitale indipendente rispetto all’asse metropolitano, con grande capacità di rielaborazione autonoma dei caratteri urbani e architettonici in senso rinascimentale, evidente nella figura di Biagio Rossetti e nell’urbanistica premoderna dell’Addizione Erculea. A loro si affiancano i Malatesta che costituiscono in Rimini una sorta di laboratorio dialogico sull’Antico, con l’Alberti e Piero della Francesca. Dopo l’annessione di Bologna e della Romagna allo stato della Chiesa, attuata da Giulio II, cesura così profonda da coinvolgere ancor oggi aspetti paesaggistici e antropologici, dai centri propulsivi delle Corti si sviluppa una differenziazione dei caratteri civici sulla comune base originaria mercantile-territoriale. Sull’asse regionale, Piacenza e Parma, unite nell’“invenzione farnesiana” di Paolo III, prendono rispettivamente ruolo strategico-militare e di capitale rappresentativa, Reggio e Modena, con gli Estensi, evolvono in centro mercantile e capitale militare, mentre Bologna prosegue la sua parabola di centro universitario e scambiatore. L’architettura assolve ai compiti di consolidamento territoriale predisponendo impianti tipologici con differenti gradi di integrazione e sperimentalità, ma grazie a diversi artefici, fortemente caratterizzanti dei singoli contesti. Con la progressiva affermazione dell’idea di Stato moderno, l’Emilia assiste di nuovo al dispiegarsi di un internazionalismo, che dopo la premessa eccezionale del Petitot, di un’“avanguardia della restaurazione” che imprime nella Parma borbonica, il carattere ossimorico di un’aggiornatissima rêverie, si esplicano in una generalizzata e consapevole adesione al neoclassicismo, declinato localmente come stile preunitario di auspicate virtù civili. Al momento dell’unità nazionale, tuttavia, la precisa definizione dei caratteri urbani si dissolve nel processo di costruzione dei nuovi servizi, cui segue nel ‘900, la trasformazione del binomio territorio-città mercantile e il tramonto del secolare rapporto d’interdipendenza produttiva e l’affermazione, in atto, del processo di diffusione territoriale delle merci e delle architetture sulla base della pura logica reddituale.
Queste, dunque, alcune delle “condizioni e delle altre cose ancora radicate”, che in forma di costanti o di variabili, ritornano oggi, di fronte alle “correnti delle razze”, come possibili materiali di costruzione dell’architettura in terra emiliana.L'Arco di Augusto a Rimini