Ti trovi in: Home page > Archivio Magazine > Il caso di Tor Bella Monaca a Roma / 2
Carlo Quintelli
Torre Righetti nella campagna romana
L’intenzione demolitoria e al tempo stesso espansiva del Sindaco Alemanno riguardante il quartiere di Tor Bella Monaca a Roma sembra prevalere un’idea di città riducibile a strumento di comunicazione del ruolo politico amministrativo. In alternativa, secondo quanto sviluppato da una rete di laboratori universitari coinvolti da Housing Lab – La Sapienza (vedi Marta Calzolaretti su FAE magazine) si ritiene esaurita e senza ormai più alcuna ragionevole motivazione - economica, sociale, ambientale - la corsa continua ad occupare territorio, in particolare quello agricolo, per realizzare un prodotto edilizio incapace di fornire un supporto evolutivo ad una compagine socio-insediativa problematica e abbandonata dalla civitas. Ulteriore perplessità riguarda lo strumento della demolizione, poiché, rimanendo al contesto europeo, non del tutto condizionato da efficientismo e disinvoltura di una tradizione della fisiologia capitalistica della ricostruzione (ieri in America oggi soprattutto nei contesti asiatici), l’approccio demolitorio assume il significato di un azzeramento che ci priva sempre e comunque di qualcosa, si tratti di risorse della memoria, di pezzi di realtà sociale realizzati tra mille difficoltà, non ultimo di tanta materia costruita bisognosa solo di modificazione, attrezzamento, manutenzione. Ma la gestualità iconoclasta e azzerante la complessità urbana risulta sempre efficace per affermare o l’esercizio univoco del potere (ad esempio di mussoliniana memoria), o il tecnicismo di una dinamica socio-economica che utilizza la città quale volano dei propri processi evolutivi (ad esempio nella città della rendita della Parigi haussmanniana). In altre parole il dato ideologico programmatico risulta straordinariamente forte e spesso convincente proprio attraverso il richiamo alla tabula rasa, alla semplificazione in una realtà dove complessità e complicazione, contrappunto e contraddizione, degrado e pregiudizi sul degrado tendono sempre più a confondersi. Rispetto a questa riflessione appare da subito assai poco contemporanea l’intenzione del Sindaco Alemanno, per come rimandi ad un’idea di modernità otto-novecentesca che ha elaborato modelli conformati su ben altre strutture sociali e sensibilità culturali, nella peculiarità di determinate contingenze storiche. Con l’aggravante di un’identità del progetto, elaborato da Léon Krier, tutta rivolta ad un uso modellistico e simulacrale della memoria, quella, per intenderci, che si vorrebbe limitata alla cittadella scenografica dell’outlet commerciale, di generica quanto consumabile identificazione storicista, ora così disponibile anche per la città reale.
Tra anacronismo degli strumenti ed equivoche proposte di un’identità urbana falsificata (e quindi socialmente falsificante), il quartiere-città di Tor Bella Monaca abbisogna in realtà di un’interpretazione calata nella sua pur difficile realtà socio abitativa, nei caratteri spesso contraddittori della sua conformazione, ma soprattutto nella suscettività a farsi carico di una metamorfosi in grado di dare continuità ed innovazione alla propria storia. In questo senso il gruppo di lavoro dell’Università di Parma propone una strategia di azione che richiami la necessità di comprendere il progetto innanzitutto nella sua dimensione urbana complessiva, tra agro romano, insediamenti spontanei e fino ad oggi progettati. Quella di una fisiologia urbana da riprendere, completare e vivificare, a partire dalle condizioni di relazione tra insediamento ed infrastrutture, mobilità metropolitana e di quartiere, secondo differenti regimi di accessibilità. Altro aspetto riguarda la definizione della massa insediativa seconda una logica per parti in cui si rafforzi il ruolo delle stesse (per figura e funzioni) e in cui va compresa la realtà “auto costruita”, ma viva, di Torre Angela. La logica di configurazione per parti richiede quindi un riassetto relazionale che pretende un’ipotesi di gerarchizzazione delle centralità urbane, condensatori privilegiati di servizi pubblici e privati, a costituire i capisaldi aggregativi e rappresentativi di una realtà comunitaria composita e di non univoca caratterizzazione. A questa azione strutturante si accompagna quella tesa ad una maggiore densificazione insediativa, finalizzata a sostenere l’ammortamento di nuovi servizi pubblici e privati, ma soprattutto condizioni abitative capaci di suscitare gli effetti di una scala meno dilatata e più umana, secondo stati e relazioni di prossimità capaci di alimentare una maggiore vivibilità urbana. In quest’opera di riscrittura e completamento urbano, intesa in senso palinsestico, il progetto non potrà che oscillare, di volta in volta, tra forme degli oggetti e dei tessuti, come nel confronto tra i centri di Saint-Dié e Parma utilizzato da Colin Rowe, intessendo una consequenzialità transcalare capace però di trattenersi dal dare forma letteralmente compiuta al proprio disegno. Come a voler cogliere una dialettica del contesto romano dove espressione esemplare della forma e una certa indefinizione della stessa – per decadimento, non finito, ibridazione – si ritrovino nel rapporto tra città monumentale ed agro, attraverso la visione dei tanti visitatori, non ultimo Henry James come suggerisce Renato Nicolini, ma anche di Pasolini ed oggi, forse, di rappers e documentaristi dediti alle periferie estreme. Un’attenzione questa già sufficiente a distoglierci dalla facile adesione ad una modellistica della riqualificazione urbana, della banlieue francese anziché delle periferie dell’industria dismessa della città industriale, qui non replicabile, ma ancor più dal provincialismo di una città da corporazione del gusto televisivo, secondo un riciclato Truman Show alla romana. Piuttosto sperimentando, a partire dal dato della figurazione oltre che della fisiologia urbana rilevata da Carlo Cattaneo, nuove forme di significazione, tra forma urbis e natura agri.
Carlo Quintelli è Professore Ordinario in Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura di Parma
Colin Rowe. Confronto tra i centri di Saint-Dié e Parma.