Quando parliamo di „costruire nel costruito“ (Bauen im Bestand) dobbiamo distinguere essenzialmente due significati. Da un lato, il costruito come tutto ciò che è stato edificato, la città, il luogo, l'edificio, la preesistenza materiale nell'accezione più ampia. Dall'altro, il costruito del pensiero, la cultura, i ricordi, l'idea di funzione o tipologia: la somma delle aspettative, che vengono riversate nell'opera.
In questo senso, il fare architettura è sempre un lavoro nel costruito e intorno al costruito e in tal senso, il costruito è nella sua essenza più che la sostanza fisica di un edificio.
Da questo punto di vista, il costruito è sempre ricco di valori. La domanda cruciale consiste, dunque, nella valutazione di questa preesistenza. Questo ha a che vedere con la scelta di quale costruito rielaborare e di quale sottolineare e più in generale, di come classificare gli interventi nel costruito. Diviene chiaro, che il costruire sottopone il costruito e le sue condizioni ad un „discorso costruttivo“.
Per poter affrontare la questione, sono stati concepiti nel tempo diversi „racconti“ per rendere un determinato tipo di approccio plausibile e con ciò praticabile. Da diversi periodi storici e in diversi modi queste procedure hanno trovato grande applicazione e sembra così che ogni epoca abbia favorito la propria al punto da soppiantare completamente ogni altra.
"Tabula rasa"
Il „racconto“ della „Tabula-rasa“ è per la verità un po' desueto. Ma anche se al momento sembra essere preso in considerazione solo per casi particolari, esso ha determinato ampia parte della storia dell'architettura tedesca del dopoguerra. Questa modalità di approccio afferma di poter sostituire una storia esistente con una migliore e nuova, addirittura di sentirsi in dovere di farlo. L'esigenza assoluta su cui si deve fondare questa scelta per essere praticabile, la rende plausibile solo in alcuni casi eccezionali.
La discontinuità
La discontinuità può valere come „racconto“ architettonicamente corretto. Questo è il caso classico della Carta di Atene. Come principio, la „discontinuità“ scaturisce dall'attivare accanto alla storia precedente una ulteriore, per lasciar emergere nel contrasto una nuova unità. Il punto cruciale è in questo caso il contrasto.
Il contrasto è funzionale alla distinguibilità delle storie. Questo contrasto viene sottolineato fino ad un eccesso religioso e moralistico.
La ricostruzione
La ricostruzione presume che sia possibile ripetere una storia o, prima ancora, che ci siano storie, il cui valore è così alto che valga la pena ripeterle o almeno prendersi carico dell'impresa della ripetizione. Che la ripetizione sia sempre un'impresa dagli esiti materialmente incerti viene taciuto volentieri, anche perchè la ricostruzione gode di sempre maggiore legittimazione da parte dell’opinione pubblica.
„Continuare a scrivere“
I dibattiti degli ultimi anni vertono sulla questione Tabula rasa versus Discontinuità.
Attualmente, comincia a farsi largo nel dibattito un'idea che può essere definita come „continuare a scrivere“ (Weiterschreiben).
Il „continuare a scrivere“ rinuncia alla riconoscibilità immediata degli strati del tempo e stabilisce una sorta di dissolvenza. Una dissolvenza incrociata che lascia sfocati i margini della storia ed è così un modo che desidera stabilire una fusione, che non nega la storia precedente e al contempo pensa di poter essere parte di qualcosa di nuovo. In tal senso, non è molto importante dove termina la storia precedente e dove comincia la nuova, ma è importante con quale logica è perseguita tale unità. Questo atteggiamento conduce inevitabilmente ad una indeterminatezza storica, che solleva diverse domande. La cosa più interessante è che la maggioranza di queste domande hanno una natura morale e vertono intorno alla legittimità, all'onestà, all'autenticità ed a concetti affini. Non viene quasi mai considerato che questa modalità di approccio è, compresa buona parte del periodo modernista, il modo consueto con cui sono sempre stati trasformati gli edifici.
In quanto architetto di formazione classica, per poter accettare il „continuare a scrivere“ come possibilità, è però necessario mettere in dubbio tutta una serie di presupposti apparentemente incontestabili. Se tralasciamo per un momento la questione dell'autoralità, essenzialmente gli argomenti contro il „continuare a scrivere“ sono l'idea che ci sia uno sguardo all'indietro ed uno sguardo in avanti e che dunque la storia sia un processo lineare all'interno del quale sia auspicabile procedere verso il meglio.
Questo è comprensibile dal punto di vista dello storico e probabilmente è il modo di pensare più sensato, quello che vede la storia come sequenza di accadimenti successivi da descrivere uno dopo l'altro. Come architetto, impegnato più nella produzione che nella classificazione, l'approccio lineare mi sembra poco utile.
Esso limita le possibilità e con ciò relega l'architettura su una delle tre posizioni fondamentali: ad un più diffuso atteggiamento descritto come innovativo e rivolto in avanti, che viene sempre contrapposto ad uno storicistico e non meno diffuso rivolto all'indietro, sembra essersi aggiunto anche un cosiddetto spirito contemporaneo che di solito viene considerato come "alla moda".
Al di là di questa classificazione in generale sono difficili da sostenere posizioni che si occupano in diversa maniera di ciò che potrebbe essere la storia o di ciò che potenzialmente la storia sarebbe in grado di fare.
L'idea di „continuare a scrivere“ non si preoccupa della domanda se sia legittima l'adozione di un nesso storico o sia necessario il ricorso ad una cosidetta innovazione. Essa si preoccupa tutta della propria ragione interna e non di una sua classificazione lineare.
È chiaro che un approccio di questo tipo ha dei nemici ovunque.
Gli uni lo rifiuteranno come immorale poichè non osserva il modello corrente della linearità del tempo e della legittimità che ne deriva. Gli altri, riguardo l'autoralità, temeranno la perdità di originalità e il tornaconto legato alla distinguibilità ad essa collegata.
Presumibilmente entrambe le preoccupazioni sono infondate in quanto il „continuare a scrivere“ non porta nè ad una architettura senza storia, nè alla perdita di importanza dell'autore. Al contrario, essa apre un campo fin'ora poco riconosciuto, che arricchirebbe notevolmente il numero delle possibililità di approccio al nostro costruito, edificato e pensato (Gebaut und Gedacht).
Andreas Hild (Amburgo 1961), architetto, è titolare dello studio Hild und K Architekten di Monaco di Baviera con Dionys Ottl. Ha insegnato in diverse università in Europa e nel mondo. Ha costruito importanti opere pubbliche e private (Klostergarten St. Anna, 2003; Technische Universität di Monaco di Baviera, 2007-2012; edifici sulla Reichenbachstraße, 2010).