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Ernesto Natahan Rogers e il Cuore della Città

Federica Visconti

BBPR, Torre Velasca, Milano, 1950-58 (da Esperienza dell’Architettura, Milano 1997). - ZOOM

BBPR, Torre Velasca, Milano, 1950-58 (da Esperienza dell’Architettura, Milano 1997).

Nel 1951, all’VIII Congresso CIAM di Hoddesden, in Inghilterra, Ernesto Nathan Rogers presenta una relazione dal titolo Il Cuore: problema umano della città che sarà poi pubblicata, con rielaborazioni, quattro anni più tardi, pei i tipi Hoepli, nel volume E.N. Rogers, J.L. Sert, J. Tyrwhitt, Il cuore della città: per una vita più umana della comunità e, nel 1958 da Einaudi, nel libro di Rogers Esperienza dell’architettura.

A distanza di oltre sessanta anni quel testo appare ancora straordinariamente attuale - pur con alcune avvertenze - e quindi utile ad orientare il ragionamento, anche progettuale, sull’intervento nella città della storia.

Un primo punto riguarda la scelta del termine cuore che, come Rogers chiarisce, aggiunge alle nozioni geometriche e funzionali della parola centro, l’idea che in questo nucleo centrale della città siano, più che altrove, riassunti i valori di una comunità. Anzi, questa è certamente la connotazione più importante se è vero che può esistere più di un centro all’interno di una medesima realtà urbana - e quindi la connotazione geometrica non è essenziale - e che un centro, dal punto di vista funzionale, dovrebbe - come Rogers ci ricorda - essere «[…] un luogo atto ai più diversi rapporti umani […]» e «[…] nel suo significato migliore […] espressione più naturale della contemplazione […]» (Rogers, 1997, 260).

A partire da questa premessa definitoria Rogers individua, da architetto militante, nel cosmopolitismo livellatore e nel folklorismo demagogico (Rogers, 1997, 258) due opposti, ma ugualmente pericolosi, atteggiamenti. «Distruggere ciecamente o conservare passivamente sono […] i risultati di una medesima aridità mentale: sono colpe morali» (Rogers, 1997, 258), ci dice Rogers e, dopo alcune decine di anni, questa frase non può non apparire una duplice e sconsolante premonizione. Pensiamo, da un lato, a quanto si è verificato in alcune realtà economicamente emergenti, la Cina innanzitutto ma anche l’India o parti del Sud America, dove le megalopoli contemporanee hanno consumato e consumano il territorio in maniera indifferenziata, quanto a forma e funzione, e indifferente ai valori identitari locali e, dall’altro, a quanto avviene, nella vecchia Europa ad esempio, dove i centri storici vengono imbalsamati da una visione spesso acritica della conservazione che in più produce il paradosso del lasciar spazio solo a quelle architetture che Gregotti ha definito immagini di design ingrandite che certo non sono più definibili monumenti in quanto non rappresentano una comunità della quale riassumono i valori civili ma soltanto l’architetto e, spesso, valori di natura prevalentemente economica.

Ma, oltre che militante, Rogers era anche un architetto operante e quindi si preoccupa, subito dopo la critica, di indicare una strada possibile, un metodo che individua nella dialettica tra «gli opposti termini dell’oggettivo e del soggettivo» (Rogers, 1997, 259). E qui Rogers si sofferma molto di più, per la verità, sulla esplicazione della importanza, della necessità, del metodo - tema a lui caro anche per le sue derivazioni gropiusiane - che non sui suoi concreti contenuti, che però potrebbero essere declinati, sub specie attualità, nel rapporto tra analisi e progetto. Il cuore delle nostre città è un luogo ricco di valori che sono innanzitutto valori formali e che hanno, in più, la capacità di rappresentare i valori della comunità che in quel luogo si riconosce. L’oggettività dovrebbe stare nella capacità di riconoscere questi valori (analisi) in maniera critica e selettiva, la soggettività è nel trovare, tra le molte - ma non tutte legittime se non coerenti con la individuazione di quei valori - soluzioni possibili quella che rappresenti una trasformazione (progetto) ancora in continuità con una tradizione che è quella dei nostri luoghi civili ma anche del nostro operare di architetti.

E, in tal senso, come non pensare, alla Torre Velasca (BBPR, 1950-58) che, con il suo profilo alto quasi cento metri, si erge su Milano, moderna, ardita anche nelle sue soluzioni tecniche e costruttive, eppure intrinsecamente legata ai caratteri della architettura lombarda e alla forma della ‘sua’ città.


Riferimenti bibliografici

Rogers, E.N. (1955). Il Cuore: problema umano della città. In Rogers, E.N. Sert J.L., Tyrwhitt, J., Il cuore della città: per una città più umana delle comunità. Milano: Hoepli.

Rogers, E.N. (1958). Esperienza dell’architettura. Torino: Einaudi.

Rogers, E.N. (1997). Esperienza dell’architettura. Milano: Skira, 257-260.

 

Federica Visconti (1971), dottore di ricerca in Progettazione Urbana, è professore associato di Composizione Architettonica e Urbana della Facoltà di Architettura della Università degli Studi di Napoli “Federico II”

E.N. Rogers, Esperienza dell’Architettura, Torino 1958 - ZOOM

E.N. Rogers, Esperienza dell’Architettura, Torino 1958