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Mauro Marzo
OMA, Bijlmermeer. Confronto progetto - stato di fatto
L’esistenza e la persistenza nelle nostre città di fenomeni di degrado sociale e ambientale, di vuoti privi di qualità, di aree “a standard” inutilizzate, sembrano essere condizioni passivamente accettate dalle amministrazioni locali, inevitabili conseguenze del tumultuoso sviluppo edilizio che ha devastato i territori dal dopo guerra agli anni ’80 dello scorso secolo.
Solo in pochi casi, trasformando le criticità in risorse, gli enti territoriali sono riusciti a considerare tale negativo stato delle cose come occasione per avviare la riqualificazione di porzioni più o meno consistenti di tessuti edilizi.
Non stupisce dunque che ampie fasce dell’opinione pubblica nutrano scarsa fiducia nella possibilità di risanare le sacche di degrado urbano delle nostre città, e ritengano che – almeno nei casi più compromessi - l’unico atto davvero risolutore sia rappresentato dalla demolizione.
Un destino di abbattimento sembrava prospettarsi anche per l’area collocata a sud di Amsterdam di Bijlmermeer, nel momento in cui, nel 1986, il gruppo OMA è chiamato ad elaborare un piano di riqualificazione quale alternativa alla demolizione.
Porzione centrale di un vasto quartiere periferico di edilizia abitativa sociale, Bijlmermeer fu costruita secondo modelli insediativi di derivazione modernista con redents disgiunti dalla trama viaria principale e amplissimi spazi trattati a verde.
Il paesaggio urbano che ne deriva non è dissimile da quello di altri infiniti brani periferici costruiti intorno ai grandi centri urbani dell’Europa settentrionale, tra gli anni ’50 e gli anni ’70 del novecento; gli edifici in linea si dispongono secondo una trama esagonale al di sopra di un spazio interrato affatto privo di qualità e adibito ad ospitare attività commerciali e sociali; la rete stradale, per converso, soprelevata rispetto alla quota del suolo si connette a blocchi di parcheggi multipiano.
Eppure, lungi dal giudicare la situazione desolante di questo paesaggio irrecuperabile, il progetto OMA tende ad evidenziare le potenzialità specifiche di tale area, a definire i margini entro quali operare per riqualificarla, a chiarire attraverso quali modalità intervenire.
Solo un anno prima, d’altronde. nel 1985, in un breve scritto di grande interesse, intitolato La terrificante bellezza del ventesimo secolo, Rem Koolhaas aveva illustrato il carattere di “sistematica idealizzazione” e di “automatica sopravvalutazione dell’esistente” che connota l’approccio progettuale di OMA in siti caratterizzati da condizioni di diffuso degrado.
Come un archeologo di fronte ad uno scavo, OMA conduce su Bijlmermeer un’analisi attenta ai minimi dettagli, al fine di rinvenire tracce di pensieri, figure architettoniche, resti di modelli urbanistici cui affidare la capacità di riattivare la vita di questa parte di città.
Anche nelle situazioni di peggiore deterioramento - ci raccontano molti gli scritti di Koolhaas - è dato sempre di poter rinvenire nell’esistente residui di “cariche concettuali e ideologiche retroattive” che vanno innescate per riqualificare gli spazi della città.
Per ricalibrare la trama urbana eccessivamente dilatata di questo brano della periferia, il programma di riqualificazione OMA si concentra quindi sulla specificità di relazioni riscontrabili tra la conformazione dei pieni e la misura degli spazi aperti.
Il progetto restituisce senso ai vuoti: rendendoli “densi” di attività attraverso il trasferimento in essi delle funzioni prima collocate in spazi interrati; popolando con negozi e servizi le fasce di suolo poste al di sotto delle corsie dei viadotti; introducendo nel verde contrappunti tra masse arboree e prati, zone arbustive e specchi d’acqua; “densificando” il costruito mediante l’inserimento di nuovi brani di tessuto costituiti da case a patio (derivate dalla lezione di Hilberseimer), da case urbane (ispirate all’opera di Unghers) e da torri che dialoghino a distanza con il dipanarsi dei redents.
L’investigazione compiuta sul quartiere di Bijlmermeer consente dunque ad OMA di rilevare criticità e potenzialità dell’area e di formulare un’ipotesi di progetto incentrata su una strategia di “densificazione urbana” che, da un lato, si pone in controtendenza rispetto ad un dibattito cittadino orientato verso la demolizione e, dall’altro, suggerisce la prefigurazione di una “città densa” assai differente da quella che, solo pochi anni prima, era stata proposta nel progetto per Roma Interrotta da Colin Rowe.
Che il progetto per Bijlmermeer possa costituire un tassello utile a chi oggi intenda ragionare sulla “densificazione edilizia” come strumento di possibili interventi volti a riqualificare la città contemporanea, appare indubbio.
Eppure qualcosa va aggiunto.
Rileggere questo progetto a più di 25 anni dalla sua stesura consente infatti di verificare la perdurante attualità delle riflessioni sul fenomeno urbano elaborate allora da Koolhaas e di rendersi conto di come l’incrollabile certezza di quest’architetto, circa l’esistenza di frammenti di valore anche negli ambiti urbani maggiormente degradati, costituisce una modalità di approccio al reale oggi quanto mai necessaria.
Mauro Marzo è Tutor al Dottorato di ricerca in Composizione architettonica della Scuola di dottorato Iuav, docente a contratto di Progettazione architettonica presso dell’Università di Parma e l’Università Iuav di Venezia.
Bibliografia
Koolhaas R. (1985). Le contexte: la splendeur terrifiante du XX siècle, L’Architecture d’aujour’hui, n. 238.
Lucan J. (1990). OMA. Rem Koolhaas, Milano: Electa.
Gargiani R. (2006). Rem Koolhaas/OMA, Roma-Bari: Laterza.
Area di Bijlmermeer, Amsterdam Zuidoost