Il processo di densificazione messo in atto (con maggior vigore nella seconda metà del XX secolo) dalla città di Bucarest aveva come obiettivo ultimo la costruzione della moderna capitale rumena: esasperazione della maniera di costruire la città con l’intenzione di fissarne un’immagine chiara e forte, ponendosi come obiettivo principale, in fase di progetto, quella che Kevin Lynch definisce “figurabilità”, “cioè la qualità che conferisce ad un oggetto fisico un elevata probabilità di evocare in ogni osservatore un immagine vigorosa” (Lynch, 1960).
La grande Bucarest perseguita da Ceauşescu non è altro che la naturale prosecuzione della tensione rinnovatrice di una città che, sin dalla sua fondazione, si presentava come un insediamento a bassa densità e che per tale ragione viene comunemente definito “grande villaggio”. Tale tensione rinnovatrice è alla base del consenso unanime che hanno ricevuto tutte le trasformazioni che si sono avvicendate sul tessuto urbano dalla metà del XIX secolo, un sentire che Ana Maria Zahariade (storica dell'architettura) descrive così: “Per i rumeni, il «grande villaggio» era la metafora del divario tra loro e l’Europa occidentale, espressione della delusione e del complesso di inferiorità” (Zahariade, 2010).
Tale processo appare evidente con maggior vigore in quei punti dove il nuovo layer si sovrappone al tessuto del “grande villaggio” in uno strato sottile: una città che potremmo definire città Potëmkin (dal nome del principe russo che nel 1787 si narra che abbia fatto costruire villaggi di carta pesta per impressionare la propria regina). Il termine “villaggi Potëmkin” nel gergo giornalistico è utilizzato per descrivere quelle città costruite esclusivamente per fini propagandistici. La città Potëmkin è l’effetto del crush tra il “grande villaggio” e il nuovo modello super-imposto, è una fodera che di coerente riesce a restituirci solo un’immagine, a meno che ci troviamo nel lato giusto della stessa, ovvero il fronte. Ma la città Potëmkin è la somma del suo fronte e del suo retro poiché è in questa sua dualità che ci restituisce la sua dimensione dell’assurdo.
Osservando la Calea Moşilor, una delle strade storiche di penetrazione nella città, si nota come la
sua importanza viene sottolineata dall'intervento di densificazione dei suoi fronti. Attraverso le interruzioni necessarie ad innervare alcune strade secondarie, si evidenzia il salto di scala tra le due diverse densità urbane. Gli espropri, difficili anche durante il regime, venivano messi in atto con il solo scopo di liberare il suolo strettamente necessario alla realizzazione dei nuovi edifici. La linea di confine tra nuovo e vecchio non è dunque una linea retta, ma al contrario una spezzata che ricalca i limiti delle proprietà retrostanti. La consistenza del retro della città Potëmkin qui appare chiaramente: nelle superfici di contatto non vi è alcun tentativo di mediazione. Gli spazi risultanti a volte sono ampi, altre volte tra vecchio e nuovo rimane meno di un metro, ma ciò che li accomuna è la loro non definizione. Questa che doveva essere solo una fase transitoria, oggi, in cui l’idea di sostituzione non ha più senso, è divenuta forma consolidata: questo processo di consolidamento non ne ha risolto i problemi, e nemmeno il fluire della storia ne ha corretto, od almeno mitigato, gli scompensi.
Allo studioso che si vuole addentrare nel fenomeno si possono presentare due casi: il primo è il caso in cui è evidente come questi spazi in attesa siano i suoli delle proprietà ormai espropriate; il secondo è quello in cui persistono i vecchi edifici espropriati solo del terreno e lo spazio residuo può anche ridursi ad una manciata di centimetri. I nuovi edifici, sorti nell’idea che la città retrostante sarebbe stata sostituita non si relazionano con quello che si trova alle loro spalle; allo stesso tempo, la città a bassa densità si è sempre insediata per cellule limitrofe e non comunicanti tra loro, per tale ragione l’accesso alle singole unità avviene lungo le vecchie strade e su questi spazi non vi sono aperture. In questa zona i piani terra sono tutti destinati ad attività commerciali e gli edifici sono interamente abitati, eppure questi lacerti di città Potëmkin sono estranei all’esperienza urbana, tanto che per poterli esperire bisogna seguire percorsi complessi: una condizione che ci fa presagire la necessità di quei micro interventi che ne migliorerebbero la permeabilità, individuando per il livello basamentale funzioni pubbliche che consentano ed incentivino questo passare attraverso, in modo da rendere il più possibile continua ed integrata l’esperienza urbana.
Le difficoltà che caratterizzano il processo di democratizzazione rumeno e le condizioni economiche del paese hanno fatto sì che difficilmente ci si trova in presenza di strumenti atti a regolare questo fenomeno, e neanche i singoli interventi privati, isolati, riescono a dare risposte concrete. Tuttavia si trovano delle risposte in alcuni studi condotti su queste parti di città, tra questi vogliamo segnalare “Apartment bolcks and their Rehabilitation” del gruppo Zeppelin. (AA.VV., 2009): in questo progetto di riqualificazione dei grandi condominii costruiti durante la seconda metà del XX secolo la costruzione di nuovi appartamenti all’ultimo livello permette la riconversione dei piani terra, al momento destinati a residenza, in modo da introdurre attività a carattere pubblico e commerciale che possano riattivare questi spazi tra gli edifici, e migliorarne la permeabilità.
Questo processo, inoltre, viene affrontato anche dal punto di vista della fattibilità economica: attraverso micro interventi la riconversione del complesso abitativo si autofinanzia.
L'importanza di una tale ricerca sta nel dare una risposta ad una problematica urbana difficilmente affrontabile alla scala della città e che nella piccola scala dell'edificio riesce a proporre un modello sostenibile che continui a lavorare all'interno di questo particolare aspetto della densificazione.
Luigi Pintacuda è Dottore di Ricerca in Architettura presso lo IUAV di Venezia. Vive a Palermo dove svolge la professione di architetto e collabora con la Facoltà di Architettura della città.
Bibliografia
AA.VV. (2009). Magic Blocks, Scenarios for socialist collective housing estate in Bucharest, Bucharest: Zeppelin.
Lynch, K. (1960). The Image of the City. Boston: MIT Press. (ed. italiana (1964), L'immagine della città, Venezia: Marsilio).
Zahariade, A.M. (2010). Simptome de tranzitie II - Symptoms of transition II, Bucureşti: Architext.