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Festival dell'architettura

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Gustavo Adolfo Carabajal

L'utilità dell'apparentemente inutile

La casa per un uccello, un aquilone, un gioco

Progetto e costruzione di un aquilone. Astegno, WAVe Iuav 2004 diretto da Carlos Ferrater - ZOOM

Progetto e costruzione di un aquilone. Astegno, WAVe Iuav 2004 diretto da Carlos Ferrater

Abstract

L’esperienza dei workshop diventa occasione per frequentare l’argomento dell’utilità dell’apparentemente inutile: Cosa si ottiene affrontando i problemi del progetto di una casa per un uccello, un aquilone o un gioco? Si avvia un’indagine sulle tecniche del progetto e sulla sua rappresentazione, con l'obiettivo di approfondire gli aspetti essenziali del lavoro dell'architetto: come si inizia, come avviene il processo di ideazione, il modo di documentarsi, il tema della scala, il ruolo della struttura, i materiali, gli elementi naturali e le componenti ambientali specifiche di un luogo. Questi esercizi sono il luogo della collezione dei materiali per una enciclopedia non scrivibile dell'ispirazione, dell'immaginazione o addirittura delle decisioni felici delle quali parlano.


“Sólo este lenguaje instantáneo se revela eficaz
para encarar el momento presente.”
Walter Benjamin. Sentido único (1928)


La valutazione sul ruolo dei workshop come momento d’insegnamento intensivo della progettazione architettonica, nel percorso formativo degli studenti, merita in primo luogo una riflessione sul come s’intende l’insegnamento del progetto.

Il progetto nasce sempre all’interno di una negoziazione fra quello che si è imparato in modo simultaneo o in maniera sequenziale. Studiare, ricercare o guardare solo una parte è, come minimo, un’attività riduttiva qualche volta utile. Nell’insegnamento del genere narrativo letterario si apprende che esso impone la composizione di una sequenza di fatti ed azioni. Tutta la descrizione è di fatto sequenziale, solo le immagini -anche molto parziali- possono offrire simultaneità. Risulta evidente, quindi, la difficoltà dell’insegnamento di descrivere e mostrare processi di formazione simultanei come quelli che si sviluppano all’interno dell’attività di progetto. Non è raro assistere a descrizioni in cui l’architettura è raccontata come frutto dell’attività di un istante, di un presente continuo che in realtà racchiude un periodo di tempo più lungo. Per quanto possa apparire paradossale, anche questo è il risultato del confronto permanente -che si produce in tutta l’attività creativa- fra quello che si è assimilato in modo simultaneo o sequenziale.

Le attività sviluppate per gli studenti nella forma didattica del Laboratorio di progettazione, che prevede l’integrazione di più insegnamenti, tende alla simultaneità dell’acquisizione delle conoscenze. La stessa è resa possibile solo se lo studente ha un atteggiamento positivo ed attivo nel generare il dovuto confronto ed integrazione del sapere acquisito. Nell’attività di progetto, quindi, l’apprendista compone una serie di informazioni multiple e specializzate.

Il modo d’operare dell’architetto non è sequenziale, non si può immaginare una determinata tipologia strutturale a continuazione delle principali decisioni spaziali prese. Neppure è possibile immaginare che affrontare il ruolo ed il destino delle reti tecnologiche sia ridotto a prevedere qualche buco dove esse devono districarsi, o a lasciare spazio sufficiente per affrontare il tema in un momento successivo. Il progetto di architettura è un processo -guidato con una certa intenzionalità- nel quale esiste, necessariamente, un confronto continuo d’informazioni e conoscenze multiple che conferiscono entità alla proposta.

La sfida, nel caso specifico dell’esperienza dei workshop estivi intensivi, è doppia: da una parte lavorare con studenti che ancora stanno acquisendo gli strumenti essenziali per affrontare un progetto d’architettura; e dall’altra predisporre un’esperienza -per studenti, non dimentichiamo, che frequentano diversi livelli di studio- che possa essere affrontata da tutti, che collochi tutti allo stesso livello, indipendentemente dalla preparazione e dalle conoscenze precedentemente acquisite. La sfida –attività strutturata– diventa occasione didattica ex tempore per frequentare l’argomento dell’utilità dell’apparentemente inutile: “Per l’uomo odierno, infatti, è sempre più complicato provare interesse per qualcosa che non implichi un uso pratico e immediato per scopi tecnici[1].

A cosa serve la Filosofia?
A cosa serve la poesia?
Cosa si ricava da un teorema?

Nel saggio di N. Ordine si porta alla luce, attraverso la riflessione di grandi filosofi, il rischio di come l’ossessione del possesso ed il culto dell’utilità possano inaridire lo spirito e minare alcuni valori fondamentali come la dignitas hominis. Lo fa, tra l’altro, ricordandoci come già nel mondo classico si aveva coscienza della differenza tra scienza puramente speculativa (disinteressata) e scienza applicata. Riporta l’aneddoto che coinvolge Euclide raccontato da Stobeo: per rispondere all’interrogativo di un suo allievo - che, appena imparato un primo teorema, gli chiese “Ma cosa ne ricaverò” – il famoso matematico fece venire uno schiavo e gli ordinò di dare una monetina allo studente “poiché [costui] ha bisogno di ricavare qualcosa da ciò che impara”[2].

Cosa si ottiene affrontando i problemi proposti del progetto di una casa per un uccello, un aquilone o un gioco?

L'esercitazione proposta –collocata alla fine di un anno accademico lungo ed in piena estate– ha avuto come vocazione quella di illustrare e quasi istituzionalizzare l'espressione, apparentemente superficiale, secondo cui per concepire architettura quasi tutto vale.

Si è avviata con lo studente un’indagine sulle tecniche del progetto e sulla sua rappresentazione, con l'obiettivo di approfondire gli aspetti essenziali del lavoro dell'architetto: come si inizia, come avviene il processo di ideazione, il modo di documentarsi, il tema della scala, il ruolo della struttura, i materiali, gli elementi naturali, le componenti ambientali specifiche, di un luogo ecc.; rafforzando il senso dell'esperienza individuale ed originale del progetto.

Questi esercizi promuovono la pratica del mostrare più che dell'affermare, e sono stati il luogo della collezione dei materiali per una enciclopedia non scrivibile dell'ispirazione, dell'immaginazione o addirittura delle decisioni felici delle quali taluni parlano.

Non vi è stata l'intermediazione della scala nello sviluppo e nella realizzazione del progetto, tutti i partecipanti al laboratorio hanno lavorato e costruito, in scala 1:1, decidendo man mano i materiali da utilizzare, la struttura adottata, le finiture ecc. Si è insistito sull’importanza di capire, fin dall’inizio, che tutto deve essere concepito con finalità costruttiva. Progettare e costruire è, in sostanza, il mestiere dell’architetto. Si è inteso inoltre, con questo tipo d'esercitazione, stimolare l'autocritica ed il confronto fra i partecipanti al workshop ed è stato evidente fin dall'inizio che il risultato conclusivo avrebbe avuto una valutazione quasi automatica: se il gioco è divertente o ingegnoso, se l'aquilone vola e se gli uccelli vengono alle loro case. Per lo sviluppo del lavoro, per documentarsi, ci siamo rivolti ad esperti il cui contributo è stato fondamentale –oltre al contributo specifico– per mostrare agli studenti l’importanza del cercare, dialogare e collaborare con chi ha le competenze specifiche, in questa occasione: l’ornitologo, l’esperto di aquiloni acrobatici, l’inventore di giochi.

Case per uccelli
La casa per un uccello non è una gabbia.
Questo tipo di esperienze ha dei precedenti illustri nell’ambito dell’architettura contemporanea. Nel 1993, per un’esposizione nella galleria d’arte “Antonio de Barnola” di Barcellona, Carlos Ferrater, Enric Miralles ed Elias Torres, fra gli altri, sono invitati a realizzare il progetto per Una casa para pajaros. Il modello a scala naturale presentato dal primo era composto da un tetraedro di tubi assemblati con nodi inventati da Alex D’Acosta. Questa struttura era tesa da un unico filo di nylon che costruiva la tessitura delle superfici dei lati del tetraedro. In questo modo erano risolti, allo stesso tempo, l’accesso all’interno e l’equilibrio fra i lati, con una consistenza strutturale favorita dalla tensione. La casa, che risolveva le questioni funzionali relative al tema, possedeva l’eleganza di una scultura di Naum Gabo ed una qualità in più: ad una scala minore poteva essere immaginata come nido; ad una maggiore come voliera.

Un altro progetto felice era quello di Enric Miralles. Era composto da un insieme di tre fronde o frasche artificiali idonee per uccelli di passo: una metallica conformando un abbeveratoio; un’altra contenente un neon alquanto perverso; la terza, foderata di pane, metteva in luce la sua condizione di essere effimera a partire della sua commestibilità.

Così come le peculiarità che differenziano il gran numero di specie di uccelli, dalle innumerevoli forme alle infinite fantasie di colori e canti, anche le esigenze abitative si concretizzano in numerosissime forme e fantasiose soluzioni. La scelta del posto dove costruire il nido, i materiali, la forma e l'esposizione non sono fattori casuali, ma rispondono a precisi compromessi tra funzionalità e disponibilità delle risorse. La capacità di costruire il nido non è tramandata culturalmente, ma fa parte di quel grande bagaglio di conoscenze acquisite nel lungo percorso evolutivo di ogni specie.

Spesso Ia presenza dell'uomo porta a modificazioni dell'habitat molto veloci, alle quali non corrisponde un'altrettanto veloce evoluzione biologica delle specie interessate, producendo gravi effetti sulla loro possibilità di costruire i nidi e di conseguenza di riprodursi. Un caso esemplare è quello delle rondini.

Gli aquiloni
Il progetto-costruzione di un aquilone pone alcune questioni sostanziali utili ad un apprendimento empirico del fare. Esso necessita dell’applicazione di un tecnica specifica legata a questioni aerodinamiche, della quale è necessario impadronirsi. Non si può procedere senza una opportuna scelta dei materiali. Bisogna tenere in considerazione le dimensioni, le misure: più piccolo è l'aquilone, più sarà possibile farlo librare in aria e volteggiarvi, poiché il vento a disposizione sarà sufficiente a farlo innalzare e muovere; più l'aquilone è grande, più necessita di vento per muoversi. Per farlo alzare velocemente bisogna porsi in modo che il vento venga da dietro le proprie spalle, e così via. Senza queste considerazioni accurate si rischia di costruire un bellissimo oggetto formalmente attraente che però, se non prende il volo, può essere tutto tranne che un aquilone.

Gli aquiloni in Oriente si conoscono fin dalla preistoria ed hanno sempre goduto della massima popolarità ed importanza. I cervi-volanti orientali evocano episodi leggendari o storici con le loro forme, i loro nomi e le loro decorazioni tradizionali.

In Giappone la loro sagoma varia: può avere forma geometrica o assumere contorni umani, foggia di uccello o di qualsiasi altro animale. La consuetudine vuole che essi siano tenuti in aria, la notte, sopra le case per allontanare gli spiriti maligni.

In Corea ed in Malesia esiste la consuetudine di descrivere le sventure accadute durante l'anno sul dorso di un aquilone che poi si fa volare nell'aria; quando l'altezza massima sembra raggiunta si brucia lo spago, affinché l'aquilone si allontani ben carico del suo fardello, in modo che il suo proprietario possa iniziare un nuovo anno senza problemi.

Nell'Honduras e nel Guatemala si fanno volare grandi aquiloni nel giorno dedicato ai defunti, quando il cambiamento del vento lascia sperare nell'arrivo della stagione asciutta.

È molto diffusa in vari paesi la battaglia degli aquiloni: uno dei partecipanti cerca di guidare il proprio cervo-volante in modo da sbarrare il percorso all'altro concorrente e quando le corde sono molto vicine egli dà un colpo alla propria in modo che tagli quella dell'avversario e l'aquilone di questo cada.

Il gioco
Ciò che c’è da imparare sviluppando questa esercitazione è l’importanza delle regole. Un gioco e le sue regole sono la stessa cosa, le regole sono il gioco e viceversa.

Inoltre, affrontare questo tipo di progetto significa, prima di tutto, comprendere gli elementi che interagiscono tra loro nei giochi.

In generale, un gioco è contraddistinto dalla fusione più o meno efficace di due componenti fondamentali: il meccanismo e l'ambientazione. II meccanismo è la conditio sine qua non di un gioco. Può esistere un gioco astratto, e cioè un meccanismo senza ambientazione, ma non può esistere un'ambientazione senza meccanismo. Quest’ultimo è il motore che fa muovere iI gioco, è cioè quella regola o quell'insieme di regole che governano le mosse dei giocatori e le condizioni di vittoria.

Ad esempio, il meccanismo motore del tradizionale Gioco dell'Oca è: "AI proprio turno il giocatore tira un dado e muove la sua pedina di un numero corrispondente di passi". Questo sensazionale meccanismo, creato da una mente brillante, è stato pensato per la prima volta circa mezzo millennio fa.

L'ambientazione di un gioco, invece, spesso non è nient'altro che un mero vestito. Come tutti i vestiti è quindi intercambiabile con una certa facilità o addirittura del tutto eliminabile; in questo caso il sistema, rimasto "nudo", diventa un gioco astratto[3].

Rosario, aprile 2014


Gustavo Adolfo Carabajal è Ordinario nell’Area di Teoria e Tecnica del Progetto Architettonico e membro del Collegio del Dottorato in Architettura presso la FAPyD dell'Universidad Nacional de Rosario, Argentina.



[1] Ordine Nuccio, L’utilità dell’inutile, Bompiani – Milano 2013

[2] ibidem op cit, (pag. 152)

[3] Colovini Leo, I giochi nel cassetto. Guida teorica per aspiranti autori di giochi, Unicopli -Venice Connecion – Milano 2002

Progetto e costruzione di un aquilone. Astegno, WAVe Iuav 2004 diretto da Carlos Ferrater

Progetto e costruzione di un aquilone. Astegno, WAVe Iuav 2004 diretto da Carlos Ferrater