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Ambrogio Lorenzetti, affresco del Buon Governo, particolare (1338-39). Siena Palazzo Pubblico, Sala dei Nove.
Abstract
La ricerca impossibile in architettura, ovvero l’impossibile come ricerca, l’impossibile con tutto il suo carico di tentazioni e speranze è assunto in questo articolo come energia rivitalizzante i significati che favoriscono una buona nascita del progetto di architettura. Si tratta dell’impossibile fare immagini capaci di riflettere, potenziandoli reciprocamente, dimensione logica e dimensione simbolica delle forme dell’architettura. Ricerca impossibile da ridurre alla sola ragione discorsiva della produzione di significati generati dal mondo dell’informazione informatico/mediatica ma necessaria per risvegliare l’intreccio costitutivo di una concezione immaginativa del progetto di architettura e costitutiva dell’anima della realtà.
ROMEO: «È la mia anima che chiama il mio nome / Nella notte la lingua degli amanti ha un dolce / Suono d’argento, come una musica / Dolcissima per le orecchie che la ascoltano». Nel giardino della casa dei Capuleti Giulietta e Romeo sono afferrati nel vortice sincero di pensieri e gesti in cui l’immaginazione s’inventa fantasie e immagini di libertà. Qui l’immaginazione virtuosa, il più vitale “strumento dell’anima”, congiunta ai sensi e ai desideri, fa innamorare. Di questo stesso sostegno e nutrimento, di una buona e sincera immaginazione, ha forse bisogno il progetto di architettura. Esso, infatti, è l’immaginare e il predisporre le cose in modo tale da favorire accadimenti. GIULIETTA: «Più ricca di realtà che di parole / La fantasia si vanta della sua sostanza, / Non dell’ornamento. Solo i mendicanti / Possono contare il loro denaro. / Ma il mio amore sincero è cresciuto / In tale eccesso che io non so sommare / La metà dei miei beni».
Dalle parole di Romeo e Giulietta, ciò che si pone dunque alla nostra considerazione è che il flusso di coscienza della poesia con i suoi accadimenti immaginari, e così dunque anche l’ideazione di un progetto o la realizzazione di un’opera, sembrano sbocciare come frutti dal pathos dell’anima piuttosto che svilupparsi come una prova della sola ragione discorsiva o produttiva. Le parole di Shakespeare chiedono alla nostra coscienza di risvegliarsi per cogliere e interpretare la realtà affinché ogni nostra azione, ogni nostro progetto, non siano privi di senso e intrappolati in attaccamenti funzionali e deviazioni strumentali.
Sul Risorto di Piero della Francesca di Sansepolcro Massimo Cacciari ha scritto che il “termine di sacrificio è assolutamente fuorviante; qui si tratta del puro donarsi, nella sua misura più consapevole e libera – libera, poiché qui il dono non corrisponde ad alcun calcolo, non è in vista di alcun effetto. L’atto di questo donare è l’im-possibile per l’anima umana, per la sua invincibile philopsychìa. E tuttavia mai il Verbum è stato predicato con più forza che da questa figura silenziosa e sola. Essa apre, attraverso la sua pura presenza, all’idea dell’im-possibile per noi, e cioè della possibilità estrema che avvenga, che si dia la capacità di corrispondere alla misura di libertà, di conoscenza e di dono che in lui, per un’unica volta, si è incarnata.” (1) Queste parole chiariscono il significato dell’affresco di Piero della Francesca in cui la ‘fragile dignità’ dell’uomo è chiamata a rispecchiarsi nell’attesa dell’evento im-possibile. In questo frammento e ancor di più nell’intero testo di Cacciari sul Risorto di Sansepolcro, le parole nascono e incantano procedendo da un’immagine muta. È da questa immagine visiva che inizia l'evento del discorso, l’inizio della ricerca del suo senso e del suo simbolismo. Un discorso che diventa potente, impressionante, perché si sviluppa proprio articolando indissolubilmente le relazioni tra pensiero, linguaggio e immagine. Se, infatti, noi provassimo ad ‘ascoltare’ la resurrezione attraverso il solo linguaggio discorsivo, allontanandoci quindi progressivamente dell’immagine visiva del Risorto, dai suoi elementi di pathos visivo, per sviluppare sempre più i tratti di una spiegazione del significato teologico o in qualche modo astratto del risorgere, sempre più grande diventerebbe il rischio di dimenticare il Risorto stesso, il suo pàthema, il suo volto. Quest’allontanamento decide del nostro inconsapevole distacco dal mondo ‘interferente’ della vita, dalla cifra dell’esistenza vissuta, e di ciò che di essa non si può comprendere pienamente, in direzione delle verità discorsive, rassicuranti, esplicite e delle immagini incontrovertibili cui tende, per esempio, il mondo della scienza o quello dell’informazione massmediatica. La potenza sperimentale e linguistica che la logica scientifica e della comunicazione informatico-mediatica conferiscono alla volontà dell’uomo consistono proprio nel proposito di poter descrivere, spiegare e prevedere, con sempre più corrispondenza alle cose e ai fatti a cui si riferiscono, ciò che è e ciò che può diventare per l’uomo meritevole d’interesse e di maggiore profitto.
Ora è quanto mai chiaro che l’architettura, in quanto prodotto meritevole e strumento della vita degli uomini, non può non affrontare una ricerca e un’interrogazione su ciò che è, su ciò che dovrebbe essere e sul come realizzare queste interrogazioni. Ebbene, osservate le imprescindibili differenze con l’immagine di Sansepolcro, possiamo dire che il rischio dell’annichilimento dell’elemento patetico e della cifra dell’esistenza vissuta - che è possibile rilevare quando l’umana esigenza di conoscenza si sposta progressivamente in favore del trionfo dell’elemento discorsivo e astratto, come nell’esempio dell’allontanamento del significato concettuale del Risorto dalla sua immagine visiva – può essere avvertito anche per immagini non propriamente sacre. E nei limiti che ogni immagine architettonica pone alla ricerca del senso di una visione prefigurativa e trasformativa della realtà, lo stesso discorso può essere adottato nella lettura delle immagini progettuali e per la ricerca architettonica.
La via dell’espressione in cerca dell’im-possibile verità è anche quella che Manfredo Tafuri ha suggerito di seguire agli architetti contemporanei invitandoli a resuscitare il rapporto tra pensiero e immagine sollevandolo proprio dalle voci e dalle opere del genio dell’Umanesimo e del Rinascimento. L’invito, sicuramente non senza rischi e non facile da seguire è congiunto all’avvertimento a cogliere, del Rinascimento, la sua energia e la sua potenza originaria, affrancandosi dall’idea surrettizia che vede l’epoca della rinascenza esclusivamente come il punto iniziale, l’origine di un processo disteso unicamente “su un piano inclinato, teleologicamente orientato verso il trionfo del pensiero calcolante e progettante contemporaneo”. (2)
L’esigenza di una riscoperta dei linguaggi e delle forme dell’Umanesimo e del Rinascimento italiano e della “vertigine semantica su cui esso poggia” è stato anche oggetto delle riflessioni del filosofo Roberto Esposito. Questa vertigine semantica è in direzione di una “impossibilità, per l’essere umano, di definirsi affermativamente in quanto tale e dunque la necessità di qualificarsi in rapporto a ciò che, essendo sempre più, oppure meno, dell’uomo, lo decentra spingendolo al di là di se stesso”. (3)
Massimo Cacciari è tornato, in Labirinto filosofico, a ribadire l’opportunità della rivitalizzazione delle relazioni tra pensiero e immagine fondative del cuore stesso dell’anima occidentale e per riaffermare che il pensare per immagini “costituisce il tratto profondo del pensiero dell’Umanesimo, e, direi, il carattere, se ve n’è uno, del genus italicum del filosofare”. (4) Le parole alle quali Cacciari invita all’ascolto per riattivare l’energia vitale peculiare dei linguaggi filosofici e artistici del Rinascimento, sono tratte dalle argomentazioni del Filebo di Platone: «Sapienti immagini il filosofo vuole dipingere nell’anima (Filebo) e di quelle farla innamorare».
Il filosofo, secondo Platone, e - seguendo le tracce degli autori citati - l’umanista, l’artista o l’architetto del Rinascimento, attraverso i loro linguaggi specifici dipingono immagini. Essi cioè non svolgono soltanto un esatto ragionamento logico. Il loro pensare e fare, le loro parole e le loro forme, sono immaginative, cioè producono e suscitano immagini nell’anima degli uomini, capaci di far innamorare. L’immaginazione, come facoltà fondamentale della nostra anima con la quale noi produciamo immagini, secondo Platone/Cacciari, non è semplicemente una facoltà con la quale noi entriamo in rapporto con l’aspetto sensibile della realtà, ma essa produce nella nostra coscienza forme. Il senso di questo incedere immaginativo – “una sorta di pensiero in immagine, o di immaginario pensante” (5) - costituisce, anche secondo Roberto Esposito, il modo in cui nell’Umanesimo il mondo viene alla luce. Egli infatti ha scritto: “L’intero Umanesimo […] sostituisce la potenza creativa dei verba all’entità sostanziale delle res, l’acutezza inventiva dell’ingenium alla fissità metafisica delle essentiae, la plasticità contagiosa dell’imaginatio alla rigidità astratta della logica”. (6)
Il mezzo dunque con il quale la nostra coscienza, la nostra interiorità, opera per rapportarsi alla realtà esterna è dunque di ordine immaginativo fantastico. Il movimento di relazione della nostra coscienza col mondo avviene attraverso la produzione d’immagini e di forme. Giacché, quindi, siamo in relazione immaginifica con la realtà, il pensare per immagini appare dunque costitutivo del nostro esserci.
Se seguiamo questa energia produttiva e le tracce che ci offre il testo di Cacciari, possiamo riconoscere come ogni altro momento della nostra coscienza, quindi anche la ricerca progettuale, si sviluppa dal nostro esserci che si fa immagine. Ciò significa che l’immagine è immediatezza e mediazione, riflesso reale o ipotetico di una realtà vivificante e originaria in grado di scardinare la composta uniformità del cose, conferendo al reale la ricerca dell’impossibile. L’immagine è dunque elemento costitutivo della comunicazione; del linguaggio, rappresenta la parte silenziosa, muta, quindi autenticamente originaria. Ma ogni linguaggio e ogni immagine non esauriscono mai il loro senso. Vi è sempre qualcosa di un’idea che il linguaggio non riesce a dire così come c’è sempre qualcosa di un’immagine che rimane indefinibile. In questa indicibilità, o invisibilità che è presente nella nostra esperienza, si racchiudono e vivono le intime passioni e le invenzioni degli uomini. “L’immagine non ‘ripete’ l’idea, ad uso, magari, della memoria, ma in-dica ciò che l’idea non può da sé rappresentare. E questo vale per un aspetto essenzialissimo, che ancora si fatica a comprendere, a causa dei fraintendimenti dualistico-misticheggianti che ‘offendono’ il neoplatonismo rinascimentale: la speculazione (speculum) non perviene al proprio fine se non si fa contemplazione ( ‘figura’ della futura visio facialis), ma questa non è tale se non dà piacere. Piacere significa toccare l’oggetto della propria philìa, o del proprio eros”. (7) L’immagine, ha scritto il filosofo francese Jean-Luc Nancy, è costitutivamente absenso, ovvero “qualcosa che dà la sua verità solo nel ritrarsi della sua presenza”. (8) Una mancanza che fa innamorare e che, pertanto è anche pathos. Nessun pensiero discorsivo e nessun immaginare può dunque essere autenticamente tale se crede di escludere dalla propria espressione l’elemento patetico. In questa assenza che diventa presenza, che diventa linguaggio e immagine, abita l’espressione del sentimento. Il pensare per immagini implica dunque il rapporto che ogni linguaggio, verbale, visivo, musicale e anche scientifico, intrattiene con il pathos, con il sentimento. Esprimere il sentimento di una figura è possibile mettendola in immagine. E la forza dell’immagine, dell’elemento narrativo immaginativo che hanno certe immagini, certe architetture, fa innamorare. Ma è soltanto attraverso l’immagine secondo Cacciari che noi “presagiamo” tale gioia. La gioia prima, luminosa e immanente del piacere che nasce nella contemplazione.
La ricerca impossibile in architettura è un’intenzione comunicativa. Ed è anche un’esortazione a rigenerare i nessi tra il pensiero e le immagini e queste con il pathos che suscitano. La consapevolezza che il logos, la razionalità di cui il progetto di architettura necessariamente deve nutrirsi, può comunicare soltanto se al suo interno alimenta similmente la dimensione traboccante di sensi che scaturisce dall’emozione, dalle passioni e dai sentimenti. In altre parole: la ricerca delle relazioni tra pensiero/linguaggio/immagine/pathos è una ricerca da resuscitare perché in grado di restituire una visione unitaria del nostro esserci e del nostro fare immagini, progetti e opere di architettura, senza annullare la complessità dei distinti che compongono la realtà. Fino al livello più profondo che la ricerca dell’impossibile può indicare. Fino al silenzio dell’immagine che dona e t’innamora. Fino alla ricerca del sommo bene.
Reckoner / You can’t take it with you / Dancing for your pleasure/ You are not to blame for / Bitter-sweet distractor / Dare not speak its name / Dedicated to all you all human beings / Because we separate like / Ripples on a blank shore / Because we separate like / Ripples on a blank shore / Reckoner / Take me with you / Dedicated to all you all human beings / Reckoner. Ogni occasione riporta l’architettura sulla soglia del rapporto con l’altro, con le altre discipline, con altre attese e speranze. Nell’architettura dei differenti suoni, ritmi e melodie acustiche di Reckoner dei Radiohead, e nelle immagini quasi indecifrabili che la voce di Thom Yorke evoca, c’è un’esperienza in-comunicabile e razionale allo stesso tempo, che non può che restare tale, enigmatica, e che ha a che fare, probabilmente, ai limiti dell’im-possibile, con la sua stessa verità.
(1) Massimo Cacciari, Il Risorto di Sansepolcro, in Id. Tre icone, Adelphi, Milano 2007, pag. 41.
(2) Manfredo Tafuri, Venezia e il Rinascimento, Einaudi, Torino 1985, pag. XIX.
(3) Roberto Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Einaudi, Torino, 2010, pag. 37.
(4) Massimo Cacciari, Labirinto filosofico, Adelphi, Milano, pag. 132.
(5) Roberto Esposito, Pensiero vivente. Op. cit., pag. 87.
(6) Roberto Esposito, Pensiero vivente. Op. cit., pag. 41.
(7) Massimo Cacciari, Labirinto filosofico, Adelphi, Milano, pag. 134.
(8) Jean-Luc Nancy, La rappresentazione interdetta, in Id., Tre saggi sull’immagine, Napoli, Cronopio, 2007, pag.62.
Ildebrando Clemente è Ricercatore in Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura dell'Alma Mater Studiorum Università di Bologna ed ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Composizione architettonica presso l'Università IUAV di Venezia.
Il Cristo risorto di Piero della Francesca. Affresco realizzato nel Palazzo del Governo cittadino di Sansepolcro (1467-68).