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Lamberto Amistadi
Un disegno di John Hejduk è l'occasione per riflettere sul rapporto tra ideazione, rappresentazione e realizzazione dell'opera di architettura, seguendo i ragionamenti del maestro americano.
Attraverso i mezzi che le sono propri, walls, roofs, boundaries, l'immagine architettonica ha la capacità di evocare e richiamare il senso profondo di situazioni inattese, “rinfrescare” la nostra visione delle cose contro il pericolo dell'automatizzazione.
Ne esce un quadro in cui, nel circolo creativo che coinvolge artefice e fruitore, la realtà dell'architettura contribuisce per la sua parte al progetto di “fabbricazione del mondo”.
Il disegno suggerisce a Pommer fondamentalmente due questioni, legate una all'altra o una l'effetto dell'altra: la capacità evocativa del disegno, cioè di evocare una realtà "(...) which neither perspective views nor the building itself could evoke in the same way." E che tale evocazione è in qualche modo indotta forzatamente ("The drawing thereby enforces in the imagination (...)." - "We are forced to imagine (...)." da una rappresentazione che lavora all'interno del circolo o del corto circuito che si instaura tra concezione dell'opera e osservatore.
I. Realtà e Finzione
La natura di un'opera si può comprendere dal modo in cui è concepita e dal modo in cui può essere osservata, all'interno del circolo concezione (ideazione, elaborazione mentale, immaginazione) – rappresentazione - realizzazione (fabbricazione, costruzione). (3)
Io posso immaginare una brocca, una mela, un tavolo e metterli in relazione tra di loro, cioè comporli. Posso disegnare questi oggetti immaginati su una superficie bidimensionale e rappresentarli all'interno di una cornice. (4) Disegnato su una superficie di carta, ciò che ho immaginato è una finzione, ma è anche una realizzazione, la realtà di un disegno su un foglio di carta. Io posso anche realizzare la brocca e il tavolo che ho immaginato e comporli nello spazio tridimensionale, nel cosiddetto spazio reale. Posso imprimere una pellicola con una videocamera girando intorno alla costruzione per 360°, con diverse luci naturali dall'alba all'oscurità o realizzare io stesso la sorgente di luce. Posso anche fotografare la brocca-mela-tavolo, producendo un'immagine fissa della rappresentazione di una costruzione.
A differenza della pittura, a causa della sua complessità, l'architettura non può essere concepita a partire da un'immagine singola, ma si compone di una serie di immagini che sono solo dei frammenti della realtà dell'opera, a partire da un'immagine "inside his mind's eye", che funziona da catalizzatore. (5) Siamo di fronte all'illusione di una realtà, di cui l'architetto può fare un certo numero di rappresentazioni su un foglio di carta. Egli può disegnare piante, prospetti e sezioni, isometrie, assonometrie e prospettive. Tutte sono nello specifico reali (inchiostro e carta), tutte sono rappresentazioni di ciò che verrà e illusione di spazio e profondità. "In any case, drawing on a piece of paper is an architectural reality."(6)
Poi l'architettura è costruita. Allo stesso modo che per quanto riguarda il suo concepimento, essa non può essere colta simultaneamente dall'osservatore in tutta la sua interezza. Noi possiamo osservare l'interno dall'esterno, l'esterno dall'interno e l'interno dall'interno. Si tratta di una serie di frammenti interni ed esterni. Da distante l'osservatore può percepire l'edificio simile al modello, quindi si avvicina all'opera fino ad essere compreso nel suo spazio interno. Può ripetere lo stesso percorso con una telecamera che riprende immagini in movimento o con una macchina fotografica che riprende immagini fisse. Si può vedere la pellicola sviluppata e proiettata su uno schermo, ma il confronto più profondo, "a most reduced confrontation", avviene quando l'osservatore fisso guarda una singola immagine fissa, un singolo fotogramma: "The mind of the observer is heightened to an extreme, exorcising out from a single fixed photographic image all its possible sensations and meanings – a fragment of time suspended, a recapturing of the very image that has been photographed." (7) L'intensità del confronto non dipende solo dall'empatia con le modalità attraverso cui l'opera è stata concepita, cioè la singola immagine, il frammento catalizzatore. Ma anche dalla fissità con cui l'osservatore osserva l'immagine fissa. Hejduk pone in relazione il movimento del corpo e della mente nello spazio, stabilendo una proporzionalità inversa che ci ricorda la tradizione tardo-medievale dello "spirito peregrino", che abbandona il corpo nel sogno o nell'estasi. (8) Quando il corpo è in movimento, la mente assume un ruolo secondario e viceversa. "When our mind is working intensively, our body, for all intents and purposes, seems to be fixed and might as well not be in motion." (9)
II. Processo e Intuizione
Le diverse forme che la realtà assume nel circolo concezione - rappresentazione – realizzazione concorrono a produrre l'oggetto della trasfigurazione, come la produzione di un quadro concorre a produrre ciò che viene ritratto. (10) "In this movement and tension between the real and the imagined, between drawing, model and construction", (11) il lavoro di interpretazione e reinterpretazione, rappresentazione e ri-presentazione, decodificazione e ricodificazione riguardano ogni volta (e ogni volta daccapo) il passaggio dal non-rivelato al rivelato, dall'invisibile al visibile. È in tale passaggio, in questi "between", che si identifica l'ossessione di Hejduk ed è questo spazio, mistico e misterioso, che egli assume come luogo della trasfigurazione: "The many masks of apparent reality have made me wonder, speculate and ponder about the revealed and the unrevealed." (...) "Some sort of distortion is occurring, a distortion that has to do with intuition as primal yearning [corsivo mio], wich, in turn, has something to do with the interpretation and re-interpretation of space and all the mysteries the word space encompasses, including its spirit."
Hejduk torna spesso sulla necessità che tale processo di trasfigurazione sia stimolato con una forzatura. Altre volte aveva parlato di "dictatorial insistence", (12) questa volta di una "sort of distortion", che assume la forma di un movimento minimo, di uno scarto: "I believe that full comprehnsion of an object involves the least physical movement [corsivo mio] of the observer. I can speculate that painting is fixed, sculpture is fixed, and architecture is fixed." (13) Picasso fa partire la monumentale interpretazione di "Las Meninas" di Velázquez dalla rotazione verso sinistra della testa dell'infanta Margarita Maria, che funziona da catalizzatore per la trasfigurazione dell'intera opera. (14) Con la nota intuizione della rotazione del campo di 45°, la "Diamond configuration", Hejduk scardina ogni familiarità con la rappresentazione assonometrica, facendogli assumere i tratti di una rappresentazione piana ("shallow depth"). Mentre gli artisti delle avanguardie astratte riconoscono nel modello assonometrico la possibilità di rappresentare la nuova architettura, che non riconosce tipi fondamentali e immutabili, rifugge simmetria e frontalità, "(…) non distingue un 'davanti' (facciata) dal 'retro', il 'destro' dal 'sinistro' e, se possibile, neppure l' 'in alto' dall' 'in basso' " (15) , la "Diamond configuration" consente ad Hejduk di recuperare i riferimenti spaziali primordiali (alto, basso, ecc.) indispensabili a qualsiasi iconologia. (16)
III. Conclusione: Teatro senza Spettacolo (17)
Gli scardinamenti di Hejduk, le forme inusuali che assumono i suoi disegni, le assonometrie e i montaggi planimetrici, non hanno niente di sadico o di allucinato, come dice Tafuri. (18) Ciò che lo interessa è esperire la capacità evocativa dell'architettura: "What is important is that there is an ambience or an atmosphere that can be estracted in drawing that will give the same sensory aspect as being there, like going into the church and being overwhelmed by the Stations of the Cross (a set of plaques which exude the sense of a profound situation). You can exude the sense of a situation by drawing, by model or by good form. None is more exclusive than the other or more correct. They are." (19)
La preoccupazione di Hejduk è quella di rappresentare il senso profondo di una situazione, non con una spiegazione, ma attraverso un chiarimento che passa dall'essere sopraffatti da una rappresentazione, che trasuda ("exude"), come da un corpo, il senso di una "situazione profonda". La sua rottura delle convenzioni della rappresentazione assomiglia al concetto di "defamiliarizzazione" di cui Šklovskij investe il linguaggio letterario e l'arte, che non hanno alcuna funzione pratica, ma hanno il compito di farci vedere le cose con occhi diversi e di "rinfrescare" la nostra visione delle cose contro il pericolo dell‘automatizzazione. (20) Nel disegno della Grandfather Wall House il cielo e la terra perdono la loro posizione abituale e l'osservatore è posto direttamente di fronte al muro con una precisione assiale impossibile da raggiungere nella realtà. E ciononostante, si tratta di una teatralità antiscenografica, in cui la mente dell'osservatore è forzata ad immaginare nuovi modi di percorrere e abitare gli spazi da una composizione per frammenti, in cui l'immagine architettonica – come dice Pommer, indirizza e guida l'idea, "(...) it is architecture as signpost to idea".
Ciò che Hejduk ricerca attraverso il progetto è la capacità evocativa dell'architettura in sé, esperita attraverso i suoi elementi, "(...) a reflection on the nature of architecture itself, on what architecture is or ought to be, on walls and roofs and boundaries, for example, rather than on technology or a social program, or a vision of the future, as earlier modern architecture was meant to be." (21) E ciò di cui Hejduk cerca una comprensione piena ("full comprehnsion"), attraverso scarti continui a partire dal proprio sistema simbolico di riferimento, è l'architettura stessa.
Note
(1) Lo scritto è la recensione ad una serie di mostre prodotte a New York tra il 1977 e il 1978 sui disegni di Michael Graves, Venturi & Rauch, Walter Pichler, John Hejduk e Aldo Rossi: "Drawings Towards a More Modern Architecture" presentata congiuntamente dal Cooper-Hewitt Museum e dal Drawing Center di New York; "Architecture I" organizzata da Pierre Apraxine per la galleria Leo Castelli e in una versione ampliata presso l'Institute of Contemporary Art di Philadelphia con il titolo "Architecture: Seven Architects".
Richard Pommer dirigeva al tempo il Department of Art History al Vassar College di New York.
(4) „It must also put reality into a frame. The so-called reality is transformed.". John Hejduk, The Flatness of Depth, in Op.cit..
(5) "Whatever the initial catalyst is, let us assume that an architect has an architectural image inside his mind's eye. The initial image is like a single still-frame, because I do not believe that at first any architect has a total image of an architecture simultaneously- to my esperience or knowledge, it doesn't work that way. There may be a series of images one after the other over a period of time, but that period, no matter how small, is a necessary ingredient for the evolution toward a totality. It must be understood that so-called total architecture is ultimately made up of parts and fragments and fabrication.". John Hejduk, The Flatness of Depth, in Op.cit..
(6) John Hejduk, The Flatness of Depth, in Op.cit.. Molto esplicitamente Hejduk parla dell'architettura come di un sistema notazionale: "Althoug the perspective is the most heightened illusion – whereas the representation of a plan may be considered the closest to reality – if we consider it as substantively notational, the so-called reality of built architecture can only come into being through a notational system.". Per Nelson Goodman un sistema simbolico è notazionale quando permette di risalire retroattivamente dall'opera alla rappresentazione a partire dalla quale essa è stata realizzata e che ne certifica altresì l'identità. Goodman considera l'architettura un sistema notazionale di transizione, il cui linguaggio "non ha ancora acquistato la piena autorità per poter creare in ogni caso un divorzio fra l'identità dell'opera e la sua produzione particolare (...)". Nelson Goodman, I linguaggi dell'arte, cap. V, par. 9, L'architettura.
(7) Vedi l'intera sequenza delle rappresentazioni e ri-presentazioni in John Hejduk, The Flatness of Depth, in Op.cit..
(8) Cfr. Robert Klein, Pensiero e simbolo nel Rinascimento, in La forma e l'intelligibile, Torino 1975
(9) John Hejduk, The Flatness of Depth, in Op.cit..
(10) È nota la risposta di Picasso a chi gli rimproverava il fatto che il suo ritratto di Gertrude Stein non le assomigliasse affatto: "Non importa, le assomiglierà!"
(11) Richard Pommer, Op.cit..
(12) "Objects relate in various ways to its dictatorial insistence". John Hejduk, Out of time and into space, in Mask of Medusa, Op.cit.. Cfr. Lamberto Amistadi, Paesaggio come rappresentazione, TECA 3, Napoli 2008, pp.37-41.
(13) John Hejduk, The Flatness of Depth, in Op.cit..
(14) "If one set out to copy Las Meninas in all good faith, let's say, when one got to a certain point and if the person doing the copying were me, I'd say: How about putting that girl a little more to the right or the left? [corsivo mio] I'd try to do it in my own way, forgetting Velázquez. Trying it out, I'd surely end up modifying the light or changing it, because of having changed the position of the figure. And so, little by little, I'd be painting meninas that would seem detestable to the professional copyst; they wouldn't be the ones the copyst would believe he'd seen in Velázquez's canvas, but they'd be 'my' meninas (...).". Da Picasso's Las Meninas, Editorial Meteora, Barcelona 2001, p.28
(15) Theo van Doesburg, De architectuur als synthese der nieuwe beelding, in «De Stijl», 6, pp.78-83. Cfr. Bruno Reichlin, L'assonometria come progetto. Uno studio su Alberto Sartoris, «Lotus», 22, 1979.
(16) Vedi: John Hejduk, Introduction to Diamond catalogue, Cubist influence, in Mask of Medusa, op. cit..
(17) Nel suo Teatro senza spettacolo Carmelo Bene scardina le convenzioni della rappresentazione teatrale.
(18) Cfr. Manfredo Tafuri, John Hejduk: «l'evento interrotto», in Five architects N.Y., Roma 1998.
(19) John Hejduk in Mask of Medusa, Section A, op.cit.., p.58.
(20) Cfr. Viktor Borisovič Šklovskij, L'arte come procedimento, in I formalisti russi, a cura di T. Todorov, Torino 1968
(21) Richard Pommer, Op.cit..
Fig.2 - John Hejduk, Genesi della "Diamond Configuration". Sotto: la isometria della "Diamond Configuration" appare come una rappresentazione piatta e frontale.