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Andrea Calgarotto
Il progetto del nuovo centro di Le Havre è per Auguste Perret e per gli altri architetti coinvolti nell’impresa l’occasione per svolgere una riflessione sull’idea di misura. Lo sforzo dei progettisti è stabilire la giusta misura capace di commisurare e coordinare le parti nell’insieme. Attraversando le scale del progetto questa ricerca riflette la capacità degli architetti di sviluppare un pensiero sincronico che coinvolge piano e architettura simultaneamente.
Il 5 e 6 settembre 1944 la Royal Air Force sferra sulla città francese di Le Havre una serie di bombardamenti aerei che trasformano l’antico centro cittadino in un cumulo di macerie fumanti. Nel maggio dell’anno successivo Auguste Perret riceve l’incarico dal Ministère de la Reconstruction et de l’Urbanisme di guidare la ricostruzione della città[1]. In questo compito è affiancato da un gruppo di architetti della generazione successiva, riuniti in un’associazione denominata Atelier de Reconstruction du Havre. Sono architetti che, dopo essersi formati negli atelier accademici diretti dallo stesso Perret, si riconoscono come gruppo di ‘discepoli’ coesi attorno al loro vecchio patron[2]. «Perret – ricorda Pierre Dalloz, funzionario del Ministero – era circondato da un gruppo di discepoli a lui legati dall’ammirazione e dall’amicizia. Quando, per la centesima o millesima volta, egli enunciava uno dei suoi perentori aforismi tutti assentivano: ognuno riconosceva e riveriva quella verità che era diventata sua propria»[3].
Già nei primi mesi di lavoro Perret e gli architetti dell’Atelier affrontano il progetto per il nuovo centro cittadino secondo un pensiero sincronico che permette loro di concepire il piano e l’architettura simultaneamente. È un approccio che mira all’unità estetica dell’intervento come premessa a un abitare civile.
La città è pensata come un grande manufatto interamente formalizzato in ogni sua parte. Il piano assume gli elementi strutturali dell’antico impianto cittadino rettificandoli in un nuovo ordine fondato sull’angolo retto. Tre centralità – place de l’Hôtel de Ville, Porte Océane e il Front mer sud – sono poste ai vertici di un triangolo rettangolo i cui lati corrispondono ai principali assi stradali: la rue de Paris, l’avenue Foch e il boulevard François Ier. Questi elementi, con la chiesa di Saint-Joseph e place Gambetta, aperta su un antico bacino portuale, configurano un sistema emergente e rappresentativo in rapporto dialogico con il tessuto residenziale, ordinato su due maglie ortogonali.
Il progetto per il nuovo centro di Le Havre è per gli architetti l’occasione per svolgere una riflessione sul tema della misura. Il loro sforzo è teso a ricercare la giusta misura capace di disciplinare e coordinare le parti, favorendo l’unità del centro cittadino. Questa ricerca è attuata con l’adozione del dispositivo geometrico della griglia a maglia quadrata. Modulando il sedime degli edifici e lo spazio aperto, la griglia è un supporto alla progettazione: individua un principio d’ordine – ideale e concreto – sul quale comporre le parti nel piano. È un principio d’ordine rigoroso ma aperto a diverse sperimentazioni espressive. Pur essendo un dispositivo neutro, isotropo e ‘democratico’, la griglia non impedisce agli architetti di stabilire assi, gerarchie e centralità. È facile, a questo punto, riconoscere una certa affinità tra l’approccio dell’équipe impegnata a Le Havre e le indicazioni fornite da Jean-Nicolas-Louis Durand nelle sue lezioni di architettura[4].
Coerentemente con la ricerca architettonica svolta da Perret nella prima metà del Novecento, l’architettura immaginata per Le Havre assume l’ossatura in calcestruzzo armato come dispositivo costruttivo e figurativo. L’ossatura, esibita nelle facciate, è sottoposta a una ricerca espressiva che mira a individuare le parti e ordinarle sul piano-facciata secondo rapporti gerarchici.
Stabilendo i punti di appoggio dei pilastri, la griglia modulare genera telai costruttivi dal passo uniforme. Questa condizione si riflette nella composizione delle facciate, il cui disegno è caratterizzato dal ritmo regolare dell’ossatura. È un ritmo che permette all’occhio umano di misurare l’estensione degli edifici e lo spazio circostante; preserva l’unità dei prospetti ma permette, al contempo, quelle variazioni capaci di articolare il paesaggio urbano e le singole architetture. Lo stesso Perret chiarisce questo punto definendo la griglia «un ampio e flessibile canovaccio utilizzato per riportare la varietà dei diversi tamponamenti, dei balconi e dei portici, la libera sistemazione dei negozi all’interno di un quadro»[5].
Il modulo planimetrico è stabilito inizialmente in 6,5 metri, poi è ridotto a 6,4 metri, quindi portato a 6,24 e 6,21 metri nelle principali realizzazioni. Queste modificazioni rivelano, da parte degli architetti, la ricerca di una misura capace di conciliare ragioni distributive, espressive e costruttive. Un modulo di circa sei metri, oltre a rappresentare un optimum per la costruzione a telaio in calcestruzzo armato, permette di collocare, in una cella strutturale, due stanze di circa tre metri di larghezza, oppure una stanza di quattro metri affiancata a un locale di servizio di due metri.
Le lievi variazioni nei moduli, intercorse durante l’iter progettuale, rivelano il tentativo di stabilire un nesso tra la misura del modulo e le misure degli elementi costruttivi. Gli architetti orientano la loro ricerca verso l’impiego di pochi elementi ripetibili, le cui misure sono legate a una rigorosa modulazione. La fantasia si cimenta così nella combinazione, non nella costante invenzione di nuove soluzioni.
La normalizzazione delle componenti edilizie, oltre a favorire una costruzione razionale ed economica, rappresenta la condizione ideale per l’uso di tecniche di prefabbricazione, che saranno effettivamente impiegate durante la fase esecutiva.
Nel passaggio dalla concezione all’esecuzione, solamente i principali interventi architettonici saranno realizzati secondo le premesse iniziali. Tra questi interventi, Porte Océane[6] è quello che più di tutti porta a compimento la ricerca della giusta misura. L’intervento è un grand ensemble residenziale, costruito lungo la costa occidentale, che offre agli architetti l’occasione di lavorare sul tema della porta di città. Si tratta, chiaramente, di una metafora dell’antico elemento di disegno urbano: un segno nel paesaggio che individua il limite tra città e oceano. L’immagine della soglia è veicolata da due torri gemelle che configurano un diaframma virtuale che stabilisce il margine della città e ne articola il profilo. L’intervento è completato da corpi in linea, di cinque o sei piani, che delimitano uno spazio cruciforme aperto verso l’oceano con uno stretto varco grazie al quale l’occhio può perdersi nell’orizzonte.
L’intero intervento è modulato su un reticolo a maglia quadrata di 6,21 m di lato. La trama di pilastri e travi in calcestruzzo armato, lasciata a vista, stabilisce un’ordonnance che infonde grande unità ai fronti. I tamponamenti sono configurati dall’alternanza di aperture, comprese fra travi successive, e pannelli in graniglia e cemento a tutta altezza.
Il modulo è scelto per garantire il coordinamento tra le parti: un sottomodulo, pari alla nona parte del modulo principale, regola la larghezza dei pannelli e delle aperture, permettendo numerosi ritmi e combinazioni tra pannelli e aperture. Verso la città prevale l’uso dello stesso tamponamento per accentuare l’unità dello spazio pubblico. Verso l’oceano i ritmi molto più articolati dei tamponamenti sono ricondotti all’unità dalla trama regolare dell’ossatura.
Il carattere seriale dell’intervento offre agli architetti l’opportunità di sperimentare due diverse tecniche costruttive. Nella porzione sud le strutture portanti vengono realizzate tramite getti di calcestruzzo in loco e completate da tamponamenti realizzati a piè d’opera; nella porzione nord viene adottato un sistema di prefabbricazione in officina degli elementi portanti e di tamponamento.
Nel quadro interpretativo delineato da queste note, la griglia modulare, riflesso della ricerca della giusta misura, è uno strumento che tenta di stabilire un nesso – concettuale e concreto – tra le scale del progetto, tra l’architettura e il piano. Procede nel segno di quella sincronicità scalare che rappresenta il dato emergente e caratteristico dell’approccio impiegato nel progetto per il nuovo centro di Le Havre. La lettura proposta in queste note non intende giustificare gli esiti globali del nuovo centro cittadino partendo dalla sola idea di misura; si limita a evidenziare uno degli aspetti che coesistono dialetticamente nel processo di genesi dell’intervento e che presenta caratteri di trasmissibilità nel progetto contemporaneo.
[1] Per una ricostruzione delle vicende storiche cfr. Martine Liotard, Le Havre 1930-2006, la renaissance ou l’irruption du moderne, Picard, Paris 2007.
[2] Sulla ‘scuola’ di Perret cfr. Joseph Abram, Perret et l’École du classicisme structurel (1910-1960), rapporto di ricerca, École d’architecture de Nancy, Nancy 1985.
[3] Pierre Dalloz, Auguste Perret e la ricostruzione di Le Havre, in «Casabella-Continuità», n. 215, 1957, p. 52.
[4] Jean-Nicolas-Louis Durand, Préçis des leçons d’architecture données à l’École Polytechnique, 2 voll., Paris, 1803-1805, trad. it. Lezioni di architettura, CLUP, Milano 1986.
[5] Auguste Perret e André Le Donné, Avant-propos, in «Annales de l’Institut Tecnique du Bâtiment et des Travaux Publics», n. 65, 1953, p. 438.
[6] Il progetto è sviluppato da due équipe di architetti guidati da altrettanti membri dell’Atelier de Reconstruction du Havre: Jacques Poirrier per la parte nord, André Hermant per la porzione sud. In questo caso Auguste Perret si limita a supervisionare i progetti.