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Festival dell'architettura

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Riccardo Palma

Forma Orbis

Il campo di fondazione dell'architettura

La “quadratura” dei colli, in Marliani G. B. (1534), Topographia antiquae Romae. Seb. Gryphium: Lione. - ZOOM

La “quadratura” dei colli, in Marliani G. B. (1534), Topographia antiquae Romae. Seb. Gryphium: Lione.

Abstract
La Forma Orbis è concepita qui come la rappresentazione cartografica della superficie della Terra che rende operante un “Campo di fondazione” per l’architettura. In questo Campo è rappresentato il “divenire” tra le figure della Terra e le figure dell’architettura. Sulla base di questi assunti, il contributo esplora la differenza tra Suolo e Campo e analizza la crisi del ruolo della tipologia per il progetto urbano all’interno dell’opera di Piranesi. Il contributo si conclude leggendo la fondazione di Roma sia come uno degli eventi più arcaici nella storia della città occidentale, sia come uno dei problemi più attuali per la fondazione della città contemporanea.

Vitruvio e la necessità del campo
"As in a magnetic field, we are dealing not with extensive and scalable magnitude but with vectorial intensities" (Agamben, 2000, 20).

L’architettura ha a che fare con diversi “campi” attraversati da sistemi complessi di forze che lavorano con differenti intensità: le caratteristiche climatiche, le leggi e le regole urbanistiche, i vincoli tecnici, gli immaginari sociali e antropologici, e così via.
Un “campo”, molto scontato ma non trascurabile, con i quale l’architettura si trova a fare i conti, è il Suolo, cioè la superficie della Terra. Ciò nonostante esistono alcune importanti differenze tra il Suolo e il Campo. Il Campo, come scrive Agamben, non è semplicemente uno spazio continuo e fissato una volta per tutte: se vogliamo impiegare il Suolo come “campo di fondazione” per l’architettura dobbiamo trasformare lo spazio “liscio” del Suolo nello spazio “striato” del Campo: la Forma Orbis, appunto. Secondo la mia ipotesi, questa trasformazione può essere realizzata attraverso rappresentazioni cartografiche del Suolo orientate al progetto di architettura (Pizzigoni, 2011). Solo striando il Suolo, infatti, l’architettura può trovare la sua collocazione e solo un Campo striato è in grado di accogliere gli edifici. Perciò la differenza tra Suolo e Campo risiede nello status di rappresentazione del secondo.
Un esempio molto semplice ma importante di Campo di fondazione “striato” è la carta delle curve di livello. Le curve di livello che connettono i punti di uguale altitudine non esistono in natura: esse sono il risultato di una discretizzazione convenzionale dello spazio che riduce il continuum del Suolo una serie alternata di gradoni e superfici piane. Con la carta delle curve di livello l’intera superficie del Suolo diviene un unico sistema di terrazzamenti. Questa riduzione trasforma il Suolo in un Campo per l’architettura.
Perciò, noi non saremo mai in grado di progettare un edificio se contemporaneamente non disporremo di un Campo sul quale disegnarlo. Come conseguenza, Vitruvio scrive che la dispositio “è una propria situazione (conlocatio) delle cose” (Vitruvio, I, I-II). Ma, come possiamo trovare la “propria situazione” di un’architettura, se non disponiamo di una rappresentazione del sito? Non a caso Vitruvio prosegue il suo testo descrivendo le forme di rappresentazione (in greco ideai) appropriate al carattere del progetto. 
La prima di queste forme è l’ichnographia, la pianta. In greco ichnos significa “traccia”, “impronta”: se l’ichnographia è il disegno della traccia dell’architettura sul Suolo, quello che noi stiamo chiamando Campo è la rappresentazione del “divenire” del Suolo in una forma architettonica. Gilles Deleuze chiama questo tipo di divenire “territorializzazione” (Deleuze and Guattarì, 1980). Dentro un Campo di fondazione, linee vettoriali disegnano la somma integrale di tutte le figure architettoniche che il Suolo contiene.

Piranesi e la negazione del Campo
Manfredo Tafuri, nel suo saggio “Le strutture del linguaggio nella storia dell'architettura moderna” (Tafuri, 1968), descrive come nel Rinascimento i rapporti tra gli oggetti architettonici e la città erano resi possibili dall’idea di tipologia. Le architetture di Brunelleschi, Francesco di Giorgio, Alberti e gli altri architetti del Rinascimento, possono abitare lo spazio urbano per mezzo della tipologia, perché: "la struttura prospettica e unitaria del tipo, immersa nel tessuto antiprospettico della città medievale, funge da nucleo irradiante di valori assoluti, divenendo cardine di integrazione tra casualità e razionalità" (Tafuri, 1968, 18). 
Lo spazio della città medievale è pensato come uno spazio negativo nel quale la strategia tipologica inserisce edifici in grado di introdurre nuove polarizzazioni. Questi edifici agiscono come poli di un Campo di risonanza e sono legati tra loro attraverso le relazioni tipologiche che vengono prodotte mediante la dimensione immateriale della memoria. Perciò la loro presenza nello spazio urbano non presuppone l’esistenza di un Campo – inteso come rappresentazione del Suolo – perché esse sono in grado di risuonare insieme agli altri membri della loro famiglia tipologica sono in virtù del fatto che lo spazio urbano viene considerato come una superficie neutra. Il tipo – dal greco tupos, l’impronta di uno stampo – “imprime” la sua forma all’interno di una dimensione immateriale, molto lontana del Campo dell’architettura.
Secondo Tafuri, questa prospettiva tipologica dell’architettura collassa con l’opera di Giovan Battista Piranesi: l’analisi che fa Tafuri dell’opera grafica di Piranesi – specialmente delle Carceri e di un altro famoso “Campo”, il Campo Marzio – mostra come l’assenza di un Campo, assenza che la dimensione tipologica presuppone, rende impossibile la fondazione dell’architettura. Le architetture del Campo Marzio crescono in uno spazio infinito e neutrale che nega tutti gli altri spazi. Tafuri sottolinea come esse siano il prodotto della crisi della tipologia: "Il riscatto della mutevolezza della scena urbana tramite l'esaltazione dei suoi nodi, dei suoi frammenti di spazio, delle sue sovra strutture, implica infatti l'abbandono della tipologia come strumento di controllo razionale della città e la messa tra parentesi del problema relativo all'univocità del concetto di spazio” (Tafuri, 1980, 48) 
Ma perché Piranesi sceglie il Campo Marzio con lo scopo di distruggere l’idea di tipologia? Come sostiene Tafuri, ciò che scompare nel Campo Marzio è lo stessa nozione di “luogo”: "Ciò che va posto subito in chiaro, è che tutto quel frazionare, distorcere, moltiplicare, scomporre, al di là delle reazioni emotive che può sollecitare, altro non è che una critica sistematica al concetto di luogo" (Tafuri, 1980, 86). Così, per Piranesi il Campo Marzio dell’Antica Roma non è un Campo. Piuttosto è la sola area pianeggiante di Roma: un luogo senza rilievi, delimitato dalle pendici dei colli e dai meandri del Tevere. Il disegno di Piranesi non mostra nessuna caratteristica orografica e l’intero sito è trattato come una pianura anche quando il disegno rappresenta le porzioni collinari della città. Infatti il Campo Marzio è un “campo magnetico omogeneo, intasato di oggetti tra loro estranei" (Tafuri, 1980, 48) nel quale i caratteri geomorfologici del sito della città – i colli e le valli – sono cancellati.
Piranesi si era confrontato con l’assenza del Campo anche nel suo Parere su l’Architettura (Piranesi 1765) dove aveva già sviluppato – o meglio “decostruito” – la teoria tipologica dell’origine dell’architettura, dalla capanna primitiva fino alla sua dissoluzione nella “piazza, campagna rasa”, dimostrando che la ricerca razionale delle origini conduce alla dissoluzione del corpo stesso dell’architettura. Ciò che Piranesi scopre alla fine del suo ragionamento è il Suolo, o meglio la coppia indecidibile “piazza/campagna”. Ma Piranesi, come gli architetti del Rinascimento, non può scorgere il Campo al di là del Suolo. Non esiste Campo in grado di ricevere e disporre le architetture di Piranesi. Le infinite variazioni tipologiche saturano l’intero spazio urbano, ridotto ad una superficie semplice e passiva.
Paradossalmente, questa catastrofica esaltazione della superficie astratta del Campo Marzio, che rappresenta plasticamente cosa significa operare nella “campagna rasa” descritta nel Parere, è fortemente contraddetta dall’interesse scientifico di Piranesi nei confronti del mondo sotterraneo, delle fondazioni, delle caverne. Come sottolinea Teresa Stoppani, anche le Carceri possono essere interpretate come una rappresentazione simbolica di questa ricerca di un Campo “sotto” le architetture romane: “Far from gloomy, dark and enclosed, these vast and permeable underground spaces are connected to the monumental city above. With them Piranesi suggests that the true ‘magnificence’ of the Roman edifice resided in the structural and infrastructural works that supported the architecture of the city above” (Stoppani, 2013)
Piranesi è perciò preso in una contraddizione che si rifiuta di risolvere: mentre l’approccio tipologico non è più capace di organizzare la struttura urbana – perché la somma parossistica delle tipologie non è in grado di produrre nessun ordine – nello stesso tempo, mediante lo studio archeologico degli edifici romani, egli, alla ricerca di un Campo impossibile, esplora scientificamente il Suolo sopra il quale queste architetture furono costruite.

Romolo e l’invenzione del Campo
Ma, se accettiamo la distinzione tra Suolo e Campo, possiamo scoprire che il Campo che Piranesi invano stava cercando nel suolo di Roma, era già stato predisposto quando la città fu fondata. Senza necessariamente supporre l’esistenza storica di Romolo, le ricerche archeologiche di Andrea Carandini nel suolo del Palatino provano che nella seconda metà del VIII secolo A.C. fu realizzato un progetto deliberato che implicava trasformazioni architettoniche, politiche e religiose e che trasformava il precedente sistema di villaggi (Carandini, 1997). La mia ipotesi qui è che questo progetto contenga almeno due dispositivi cartografici che contribuirono a produrre un Campo di fondazione per le successive architetture urbane (fig. 1).
Il principale atto dei riti etruschi di fondazione, che anche Romolo praticò, era il tracciamento del templum in terrae, un recinto rettangolare, orientato secondo i punti cardinali, dal quale l’Augure osservava il volo degli uccelli che indicava il sito “appropriato” per la nuova città. Il templum permise il “divenire” del Suolo naturale in un Campo architettonico, cioè permise la trasformazione dei caratteri geomorfologici del sito di Roma nelle architetture del nuovo insediamento. Il significato di questa trasformazione non è semplicemente simbolico – il piccolo luogo del templum che rappresenta il grande luogo della futura città – ma ha principalmente un valore operativo (fig. 2).
La leggenda della fondazione di Roma ci dice che Romolo, mediante il tracciamento del templum sopra il Palatino, ha anticipato il tracciamento delle mura della città lungo le pendici rocciose del colle. Così, la Roma Quadrata – una definizione comunemente impiegata dagli storici romani – significava sia la “quadratura” del recinto del templum stesso, sia la “quadratura” degli altri colli dell’insediamento. Oggi queste “quadrature” possono ancora essere ammirate, per esempio, nelle monumentali sostruzioni del Palatino o nelle altrettanto monumentali sostruzioni del Tempio del Divo Claudio sotto il colle Celio (fig. 3).
Il secondo dispositivo cartografico inaugurato dalla fondazione di Rome permise di trasformare la palude del Velabro nello spazio pubblico del Foro Romano. Prima che i templi, le basiliche, i palazzi e le domus, fossero costruiti, il Foro fu la prima vera architettura di Roma, la prima architettura pubblica della città: una semplice superficie calpestabile, ottenuta colmando la valle del Velabro.
Questa trasformazione fu una vera trasfigurazione, ovvero un “cambiamento di stato”, dall’acqua alla pietra attraverso il quale una superficie costruita sostituisce (e nello stesso tempo rappresenta) l’acqua. Un’immagine indecidibile è stata prodotta: l’immagine astratta dell’acqua stagnante che appare come un solido e liscio basamento architettonico. Il piano del Foro Romano mette quindi in scena la trasformazione architettonica dell’ancestrale e indimenticabile immagine delle paludi primitive. Si tratta ancora una volta di una rappresentazione cartografica: come in una carta fatta di pietra, una serie di monumentali incisioni nella superficie del Foro – le voragini del Lacus Curtius, del Lapis Niger, della Fons Giuturnae, e di altri monumenti – ricorda costantemente, e perciò riproduce incessantemente, l’ancestrale cancellazione della palude e la sua condizione di indecidibilità nei confronti dell’architettura dello spazio pubblico (fig. 4).
Come spiega Agamben "analogy intervenes in the dichotomies of logic [...] not to take them up into a higher synthesis but to transform them into a force field traversed by polar tensions, where (as in an electromagnetic field) their substantial identities evaporate" (Agamben, 2000). Perciò nel Campo di fondazione di Roma furono prodotte due coppie di figure indecidibili in grado di tradurre il sito naturale in un sistema di architettura. Esse sono il muro/pendice e il basamento/palude.
Per concludere, è forse possibile pensare che la fondazione non generi la città – il sito di Roma era già abitato da una confederazione organizzata di villaggi quando Romolo fondò Roma – ma piuttosto che prima di tutto la fondazione sia un progetto in grado di produrre una nuova Forma Orbis per l’architettura. All’interno di questo Campo le dicotomie si presentano come indecidibili e la Terra “diviene” architettura mediante un’infinita trasformazione molecolare, basata sulle forze architettoniche che “striano” il sito: “What interests us in striation and smoothing are precisely the passages and combinations: how the forces at work within space continually striate it, and how in the course of its striation it develops other forces and emits new smooth spaces ...” (Deleuze, Guattari, 2005, 500).

Bibliografia
Agamben G. (2000), What is a Paradigm? In Agamben G., The signature of All Things. New York: Zone Books.
Bufalini L. (1551), Pianta di Roma.
Carandini A. (1997), La nascita di Roma. Dèi, lari eroi e uomini all’alba di una civiltà. Einaudi: Torino.
Deleuze G., Guattarì F. (2005), A thousand plateaus. Capitalism and schizophrenia. The University of Minnesota Press: Minneapolis [Deleuze G., Guattarì F. (1980), Mille Plateaux. Capitalisme et schizophrénie. Les Editions de Minuit: Paris].
Lanciani R. (1893-1901), Forma Urbis Romae. Hoepli: Milano.
Marliani G. B. (1534), Topographia antiquae Romae. Seb. Gryphium: Lione.
Piranesi G. B. (1765), Osservazioni di Gio. Battista Piranesi sopra la lettre de M. Mariette aux auteurs de la Gazette Littéraire de l’Europe, Inserita nel Supplemento dell’istessa Gazzetta stampata Dimanche 4 Novembre MDCCLXV. E Parere su l’Architettura, con una Prefazione ad uno nuovo Trattato della introduzione e del progresso delle belle arti in Europa ne’ tempi antichi. Roma.
Pizzigoni A. (2011), Il luogo: spazio cartografico e dispositivi del progetto. In Motta G., Pizzigoni A., La Nuova Griglia Politecnica. Architettura e macchina di progetto. Franco Angeli: Milano, 223-266.
Stoppani T. (2013), Material and Critical: Piranesi’s Erasures. In Wingham I. (ed.), Mobility of the Line. Art, Architecture, Design. Birkhäuser: Basel, 234-246.
Tafuri M. (1968), Le strutture del linguaggio nella storia dell’architettura moderna. In Locatelli A. (ed.), Teoria della progettazione architettonica. Dedalo: Bari, 13-30.
Tafuri M. (1980), La sfera e il labirinto. Avanguardie e architettura da Piranesi agli anni ’70. Einaudi: Torino [Tafuri M. (1987), The sphere and the labyrinth. The MIT Press: Cambridge Massachusetts, London].
Vitruvio Pollione M., De Architectura.

Riccardo Palma è Dottore di ricerca in Composizione architettonica e urbana e Professore Associato presso il Politecnico di Torino.
Le pendici diventano muri, in Bufalini L. (1551), Pianta di Roma. - ZOOM

Le pendici diventano muri, in Bufalini L. (1551), Pianta di Roma.