Abstract“Spazi Sociali per l‘Apprendimento” è un lavoro il cui proposito è la riflessione su come
l’architettura deve affrontare le sfide poste dalle nuove teorie educative e
dalle nuove necessità (come imparare, interagire con gli altri, lavorare,
abitare etc.) nel contesto della Scuola di Architettura di Granada e nell’ambiente in cui sorge, il quartiere storico de El Realejo. A tale scopo, si
analizzano realtà fisiche e sociali capaci di supportare nuovi modelli di
insegnamento-apprendimento. Questo progetto indica spazi che offrano la
possibilità di mettere in pratica azioni che favoriscano processi di
integrazione e relazione città-università.
Testo
“Gli analfabeti del 21°
secolo non saranno coloro che non sanno leggere e scrivere, ma coloro che non
sanno apprendere, disapprendere e riapprendere.”
Alvin Toffler (parafrasando H. Gerjuoy) [1]
Lo sviluppo di Internet può intendersi
come l’agente catalizzatore per
il cambiamento da una società industriale ad una società dell’informazione. Si
tratta, per questo, di una realtà in cui l’avvento dell’era digitale ha
trasformato completamente il mondo fisico, almeno il modo in cui noi viviamo in
esso. Nel campo dell’educazione e dell’apprendimento, questo cambiamento ha
provocato una perdita da parte dei centri tradizionali dell’esclusiva nella
trasmissione-produzione del sapere. Il libero accesso all’informazione darà
l’opportunità alla maggior parte delle persone, per la prima volta nella
storia, di costruire il proprio paesaggio di apprendimento. Secondo M.
Serres “ il sapere è fuggito oltre i limiti delle istituzioni”. [2]
Ciò ci porta ad interrogarci circa il
ruolo dei centri tradizionali di insegnamento in questo contesto di
apprendimento. Ha senso
l’esistenza di scuole così come le intendiamo oggi?
È
necessario mettere in discussione gli assiomi che, fino ai nostri giorni, hanno
costruito i luoghi di apprendimento: da una parte, mettere in discussione
natura, configurazione e relazione con
il contestodi quei luoghi di carattere ufficiale o istituzionale (la
scuola, l’aula, l’auditorio, il laboratorio etc.); allo stesso tempo, mettere
in discussione il ruolo di quei luoghi che, al di là del circuito
tradizionale, hanno contribuito ai
processi di apprendimento informali (il corridoio, il cortile, la caffetteria,
lo spazio pubblico etc.).
Le
scuole devono ridefinire la propria funzione, non solo come luoghi di
educazione formale, ma attraendo e promuovendo sinergie che facilitino nuovi
modi di educare ed imparare. Queste non possiedono più l’esclusiva
dell’educazione. In altre parole, adesso sarebbero nodi di centralità che
sorgono in un tessuto di apprendimento dispersi nella propria città; luoghi di
incontri e relazione tra persone.
Oggigiorno
i limiti dell’apprendimento variano secondo la realtà dalla quale si
considerano. Seppure dispositivi digitali favoriscono lo sviluppo dei processi
di apprendimento oltre i limiti delle istituzioni, da un punto di vista fisico,
il contesto educativo si presenta come un territorio di limiti rigidi e
definiti, con due ambiti ben diversi, l’interno e l’esterno.
L’interno,
come ambito che assumiamo per l’apprendimento e l’educazione, la zona delle
istituzioni, dei luoghi di apprendimento tradizionale, degli spazi in cui ciò
che avviene è il risultato di un copione già scritto o prevedibile. L’esterno,
come ambito di indeterminazione, spontaneità, esplorazione; ovvero, la zona
verso la quale potrebbe espandersi un contesto educativo chiuso.
Come
superare tale problema? Qual’è l’interfaccia possibile affinché questo sviluppo
dei processi di apprendimento si produca anche in un senso fisico? La risposta
sarà la città. Le dinamiche urbane possono apportare diverse possibilità di
riflessione rispetto ai nuovi spazi e situazioni di apprendimento, forse,
attraverso il contagio tra l’interno e l’esterno, assimilando l’uno dall’altro
le caratteristiche che li arricchiscono.
È
possibile pensare che l’interno, in certi spazi e tempi, possa essere
contagiato dalle caratteristiche dell’esterno? Alcuni luoghi di una scuola
possiedono caratteristiche per l’indeterminazione e la spontaneità? Possiamo
incontrare nella città spazi capaci di ospitare attività di insegnamento e
apprendimento, tanto nello spazio pubblico come in quello privato? Possono
esistere spazi satellite nei quali possiamo apprendere?
Secondo
l’architetto e teorico Herman Hertzberger, “la città è
la miglior scuola”. [3] A tale scopo, lo spazio urbano dovrebbe assumere il
ruolo di “macro-aula” stabilendo un paradigma di Spazio per l’Educazione.
Queste linee di pensiero, cosí come le esperienze urbane come quelle esposte da
Christopher Alexander in “Urbanistica e Partecipazione. Il caso dell’Università
dell’ Oregon”, [4]descrivono la città contemporanea come il marco
fondamentale per un’educazione integrale della cittadinanza.
Da un punto di vista spaziale, l’università può
intendersi come un sottosistema incluso in un sistema de maggiore entità, la
città. Normalmente si relazionano in due modi fondamentali:
- attraverso il campus universitario isolato, situato in un ambito
periferico. Questo tipo normalmente funziona con una certa autonomia rispetto
al tessuto urbano prossimo, dato che nella maggior parte dei casi le sue
connessioni sono vincolate ad infrastrutture per la mobilità che risolvono
spostamenti di media e lunga distanza.
- La seconda tipologia è il campus
urbano, o potrebbe chiamarsi disperso. In questo caso, gli edifici che
configurano lo stesso campus (in modo unico o raggruppato), si inseriscono in
una trama consolidata della città. In questo senso, la connessione con il
contesto si risolve in modo molto più empatico, con una struttura di quartiere.
Questo è il caso della Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Granada
(E.T.S.A.G.) e l’ambiente in
cui sorge, il quartiere storico de EL REALEJO, situato nel
centro di Granada.
Da una prospettiva sociale, la relazione tra l’università e la
città può intendersi secondo diversi punti di vista. Da una parte, la posizione
attiva della comunità universitaria nelle dinamiche socioculturali della città,
grazie ad un’offerta culturale e di apprendimento. Dall’altra la cittadinanza,
che accetta quest’offerta, e in più contribuisce con produzione e cultura che
sorgono a partire da essa. Sono fondamentali, quindi, scenari che rendano
possibile un apprendimento con l’interazione città-università, come realtà di
apprendimento urbano, in spazi pubblici, privati, all‘aria aperta o chiusi,
effimeri o permanenti.
Il miglioramento nella
relazione e interazione città –università comporta la riflessione su queste due
varianti: la spaziale e la sociale. Ciò significa, cercare una serie di
dispositivi o catalizzatori che possano racchiudere entrambi i sistemi,
favorendo l’incontro e l’interazione. Spazi sociali per l’apprendimento. Nel
caso della ETSAG e EL REALEJO, il conseguimento di questi spazi è vincolato
alla capacità di creare condizioni ottimali in luoghi che già esistono (tanto
nella scuola come nel quartiere) ma che, attualmente, non hanno un uso
specifico data la sua condizione marginale. Nonostante ciò, questa stessa
condizione rende possibile attivare sinergie che fomentino l’incontro tra persone,
perché si trovano nel “tra“ dell’immaginario collettivo (non appartengono né al
dentro né al fuori : corridoi, cortili, zone di transito, accessi, spazi
pubblici, locali di quartiere).
Tenendo in conto che i processi di insegnamento e apprendimento
contemporanei possono avvenire ovunque, l’uso di questi spazi è un’opportunità
preziosa per l’incontro eterogeneo di
individui o gruppi di individui. Il supporto virtuale, per quanto favorisca la
connettività, tende a generare un’individualizzazione del lavoro (individuo e
monitor). L’architettura dei centri di insegnamento deve costruire luoghi per
la collettività e lo scambio di idee in una realtà fisica.
L’occupazione di questi luoghi deve cercare atmosfere calde
e accoglienti. La capacità di affascinare ed esercitare un’attrazione verso
comunità diverse è fondamentale per dissolvere i limiti fisici e mentali tra le
stesse (tra le comunità). Un esempio ricorrente è la spontaneità del gioco nel
caso dei bambini. Molti antropologi ed architetti (es. Aldo Van Eyck) hanno
riflettuto su come i bambini hanno interagito con i luoghi per il gioco. I
comportamenti dei bambini sono caratterizzati dall’interazione, la spontaneità,
i movimenti erratici e l’investigazione creativa delle possibilità di un luogo.
Forse è il momento di considerare il processo di apprendimento più come un
gioco piacevole, che come un’imposizione. Citando Einstein “l’apprendimento deve essere accolto come il miglior regalo, e
non come un obbligo amaro”. [5]
Il fisico invitava ad apprendere inseguendo il piacere. L’era digitale offre la possibilità di
disegnare una mappa di apprendimento proprio, che ci inserisca in un ambiente
educativo di natura collettiva oltre i limiti delle istituzioni. Dal punto di
vista fisico, quest’interfaccia è la città. Come ente complesso, la città offre
praticamente infinite possibilità di apprendimento, da un apprendimento
informale (vincolato a proposte educative non programmate o istituzionalizzate)
ad un apprendimento formale (o istituzionale). La capacità dell’università di
accogliere e generare situazioni ambigue capaci di rendere compatibili i due
tipi di apprendimento, è una delle sue
maggiori potenzialità (attrazioni):
la città come area di gioco di un processo di apprendimento. La città dev’essere
la scuola e la scuola dev’essere città.
Note
[1] A. Toffler parafrasando H. Gerjuoynell'articolo "The Future as a Way of Life", Horizon magazine, Summer 1965
[2] M. Serres, Pulgarcita,
Manifiestos le Pommier, de la Academia Francesa, Parigi, 2012, pp 7-22
[3] H. Hertzberger, Spaces and Learning, 010 Publishers,
Rotterdam, 2008, Relating to chapter 4, pp 202-253
[4] C. Alexander:
Urbanismo y Participación. El caso de la Universidad de Oregón, Gustavo Gili,
Barcelona, 1976, pp 30-46
[5]Riflessione di Albert Einstein sul testo contenuto in Helen Dukas y Banesh Hoffmann,The Human Side. New Glimpses from his Archives, Princeton University Press, 1979
Bibliografia:
Tesi di laurea: R. Lopez-Toribio, Espacios Sociales de
Aprendizaje. Caso Especício de la E.T.S.A.G. en el Barrio de El Realejo, Granada,
2015
A. Toffler, The Future as a Way of Life, Horizon magazine,
Summer 1965
M. Serres, Pulgarcita, Manifiestos le Pommier,
de la Academia Francesa, París, 2012
R. Díaz, ¿Y si la educación puede suceder en cualquier
momento y en cualquier lugar?, en Educación Expandida, Zemos 98, 2009
H. Hertzberger, Spaces and Learning, 010 Publishers,
Rotterdam, 2008
P. Calvo-Sotelo, Espacios innovadores para la
excelencia universitaria: estudio de paradigmas de optimización docente y
adaptación al Espacio Europeo de Educación Superior, Ministerio de Educación,
Universidad San Pablo, 2010
Asociación Internacional de Ciudades Educadoras, Carta de
la Ciudad Educadora (revisada en 2004 Génova,). [Fecha de consulta agosto de
2015]. Disponibile in: http://www.bcn.cat/edcities/aice/estatiques/espanyol/sec_charter.html
C.Alexander, Urbanismo y Participación. El caso de la
Universidad de Oregón, Gustavo Gili, Barcelona, 1976
A. Den Heijer, nel suo articolo Campus of the future: to
share or not to be all’interno del Programa Campus de Excelencia Internacional
(Conferencia Internacional sobre Espacios Sociales de Aprendizaje), Ministerio
de Educación, Barcellona, 2011
Scritti di A. van Eyck in V. Ligtelijn e F. Strauven (a cura di), Writings: vol. 1: The Child, the City and
the Artist, Sun Publishers, The Netherlands, 2006
Rafael
López-Toribio è uno studente della Scuola di Architettura di Granada. Ha collaborato con il“Department of
Urban and Regional Planning” at the University of Granada. Ha partecipato al progetto di ricerca "Cultural Routes of Granada
Urban Heritage" CEI Biotic. Attualmente sta lavorando al ”Delegation of
Architecture, Housing and Land” del Ministero dello Sviluppo spagnolo a Madrid.