AbstractIl ruolo fondamentale che oggi assume
l’istituzione universitaria nei confronti della città europea richiede un
ripensamento dei luoghi nei quali essa si insedia. Uno di questi è il campus. L’esperienza
svolta all’interno del progetto Mastercampus stimola il ragionamento rispetto
ad alcuni elementi chiave per comprendere questo tipo insediativo e la
relazione che instaura con la città di riferimento, alla luce delle nuove
esigenze ed opportunità europee.
Testo
L’insediamento
universitario di Parma, posto a sud ed esterno alla città, viene realizzato
negli anni Settanta, in una fase storica che, dopo quella del secondo
dopoguerra, vede l’affermarsi di un nuovo sviluppo urbano periferico. Un
incremento della domanda formativa e altri fattori legati all’economia e alle
strategie pianificatorie della città determinano la scelta di prevedere un asse
attrezzato prevalentemente direzionale di cui l’università, intesa nell’accezione
insediativa del campus periferico - caratterizzato anche dalla presenza di
residenze studentesche - avrebbe costituito una componente fondamentale.
Tuttavia,
il successivo cambiamento delle scelte pianificatorie degli anni Ottanta
tradisce l’impostazione coerente iniziale in cui la matrice insediativa è costituita
da una “[…] maglia ortogonale tridimensionalmente elaborata, attraverso modelli
di sintesi della forma determinati dall’elaborazione matematica di dati
prestazionali”.[1]
Tale “procedimento scientifico progettuale”[2]
non viene successivamente adottato, prevalendo invece una costruzione a
padiglioni isolati ed autonomi con parcheggi in aderenza e rete stradale
carrabile come unico collegamento tra essi, senza per altro costruire residenze
studentesche se non, nella storia più recente, al di fuori dell’area
universitaria.
Il
risultato visibile oggi è la scarsa presenza di servizi collettivi, la totale
assenza di spazi aggregativi o di un luogo di riferimento in cui studenti e
professori possano ritrovarsi, oltre alla mancanza di una rete di percorsi
pedonali che metta a sistema gli spazi esterni con i padiglioni dipartimentali
presenti; il mezzo privato è protagonista, e l’assenza di una organizzazione
degli spazi fa prevalere, ancora una volta, la presenza di vuoti senza qualità,
in questo caso prati verdi “terra di nessuno”, come in una qualsiasi anonima periferia
urbana contemporanea.
Ma
nonostante questi problemi restituenti un evidente “deficit di urbanità”[3],
nel tempo si sono insediate importanti realtà dipartimentali per la didattica e
la ricerca all’interno dei settantasette ettari dell’area, “con centinaia di
docenti e ricercatori nonché migliaia di allievi frequentanti quotidianamente
gli oltre 117.000 mq delle strutture costruite”[4],
così formandosi una comunità universitaria di grandi potenzialità, che
necessita di una ben più qualificata caratterizzazione insediativa.
Il progetto Mastercampus dell’Università di Parma
vuole liberare tale potenziale inespresso e, attingendo dalla tradizione del
campus universitario anglosassone, innanzitutto rendere l’insediamento di via Langhirano
un luogo abitato e non solamente frequentato durante fasce orarie giornaliere.
Ma l’abitare, particolarmente nel campus universitario, diventa un’azione che deve
assumere un presupposto a carattere intellettuale. A differenza di altri
contesti urbani infatti, il campus per sua natura è abitato da persone che si
dedicano a vario titolo alla formazione e alla ricerca; docenti, ricercatori e
studenti fanno parte di quella comunità accademica con “propensione auto-riflessiva,
analitica e sintetica, […] capace di esprimere strumenti qualificati di analisi
e di progetto per la trasformazione del proprio habitat”[5], con
ricadute positive per tutta la società.
Per tale motivo il progetto assume il Campus Universitario Scienze e Tecnologie
dell’Università di Parma “[…] quale modello ideale dove sperimentare la
realizzazione di scenari avanzati per la città futura in generale, intesa nei
suoi aspetti sociali, culturali, economici, ambientali e di identità
rappresentativa”.[6] Se infatti l’università è
l’istituzione propensa alla ricerca e alla scoperta, e se la città, in
particolare quella europea, risulta oggi notevolmente influenzata da un mondo
globalizzato uniformante che tende ad indirizzi condizionati dall’economia della conoscenza e
dall’innovazione tecnologica, Mastercampus assume le linee guida dettate dall’Unione
Europea per una competitività internazionale e cerca di interpretare quelle che
sono le nuove esigenze legate alla ricerca e allo sviluppo, reinterpretando il
tipo insediativo del campus sotto una chiave fortemente sperimentale e allo
stesso tempo di valorizzazione delle peculiarità locali.
Per fare questo, la scelta è sia quella di
aprirsi alla città, incrementando su più livelli le relazioni istituzionali con
la Municipalità di Parma (dal potenziamento delle infrastrutture di
collegamento agli eventi culturali) e mettendosi in rapporto con il mondo
produttivo, che può così trovare spazio all’interno dello stesso campus, sia intensificare
la rete di scambi internazionali, allargando relazioni su vari livelli e
rendendosi attrattivo potenziando il proprio Know-how.
Tutto il sistema, così come lo stesso progetto
Mastercampus Scienze e Tecnologie, fa parte della Mastercampus Strategy che
coinvolge anche tutti gli altri poli insediativi dell’Università degli Studi di
Parma presenti all’interno dell’organismo urbano. Si costituisce così un quadro
complessivo con una potenzialità notevole e con benefiche ricadute per tutto il
contesto cittadino e in generale del territorio di riferimento, come già sta
avvenendo con l’apertura del Museo dello CSAC e le molteplici attività avviate.
Dunque in Mastercampus progetto e strategia
metodologica si intrecciano. Per liberare tutto il potenziale inespresso e sintetizzare in forme il
processo, è stata predisposta una piattaforma integrata di discipline, conoscenze
e tecniche che prevede un’articolazione progettuale ordinata per aree tematiche
di intervento, supportate da specifiche schede propositive redatte da gruppi di
ricerca guidati da docenti e ricercatori dell’Ateneo.
Un
continuo dialogo e confronto tra i gli attori che vivono e alimentano lo stesso
insediamento universitario ha quindi permesso di raggiungere una consapevolezza
rispetto ai bisogni e alle quantità necessarie per poter disegnare il masterplan
di progetto, con l’obiettivo di dare una rappresentazione qualitativa, conferendo
senso formale, alla distribuzione quantitativa e funzionale.
La forma finale, in questo caso, la si raggiunge intervenendo
su un’area già costruita, avvalendosi della tecnica di densificazione [7], quindi costruendo
nel costruito. Nel ridisegnare la matrice insediativa si tiene conto anche della
caratterizzazione storico-geografica, consapevoli di stare tra città e
campagna, all’interno di un territorio in cui l’impronta della centuriazione è
ancora ben presente.
Questi presupposti vengono metodologicamente
interpretati attraverso la composizione architettonica e urbana. Lo spazio principale
di questa rinnovata parte di città, nucleo di tutto l’intervento, è simbolicamente
la componente urbana per eccellenza, la piazza, dove si collocano i servizi
collettivi, quali il campus market, la mensa (Ristora-Net), lo Science Bar, la
Casa dello Studente e lo Science Center, costituendo una massa critica
sufficiente a rendere il luogo un centro attrattivo del sistema. Il tentativo è
raggiungere un equilibrio tra centripeto e centrifugo per costituire uno spazio
definito ma che allo stesso tempo non venga percepito chiuso.
La piazza si
trova all’intersezione di un cardo ed
un decumano a richiamo appunto del
contesto storico-geografico nel quale il campus si inserisce: l’asse nord-sud
collega una parte residenziale esterna - che ora viene inglobata nel sistema,
costituita da altri servizi quali, un supermercato, una palestra con piscina ed
un cinema multisala, sfruttando anche molti parcheggi esistenti inutilizzati
per poter permettere la riduzione del traffico veicolare all’interno dell’area -
e la Corte di Scienze degli Alimenti, che vista dalla piazza costituisce un
fuoco prospettico che richiama il fruitore al suo interno e lo connette con i
Food-Labs posti a sud, attraverso una progressiva riduzione della densità
costruita, aprendosi poi verso la campagna circostante.
Le
residenze-laboratorio - spazi per la ricerca sui prodotti alimentari, grande
tema propulsivo dell’economia del territorio emiliano - costituiscono un filtro
tra l’”urbanità” del campus e l’aperta campagna; l’idea è quella di non
progettare barriere, di non chiudere il campus, ma con la ordinata disposizione
degli edifici e la relativa proporzione degli spazi tra essi si determina
l’essere dentro o fuori dal complesso; l’asse est-ovest invece connette la
parte sportiva ad ovest con un pezzo di campagna ad est, dove sono collocati
altri Food-Labs.
L’intero sistema si completa attraverso un asse che dalla
Corte di Scienze degli Alimenti procede verso l’ingresso ad ovest del campus universitario;
a questo si “aggrappano” altri spazi, come una piccola corte preesistente,
alcuni dipartimenti e soprattutto il nuovo Polo dell’Innovazione. Questo è un
incubatore di aziende che permette il lavoro a stretto contatto tra imprese del
territorio e ricercatori universitari, attivando così un altro di quei livelli
di relazione di cui si parlava precedentemente, tra città ed università.
L’obiettivo di Mastercampus è quindi quello di un
superamento del concetto di campus per come lo si è inteso finora; pur
ripartendo da questo tipo insediativo, punta a costituirsi come quartiere
urbano modello, un insediamento nuovo che assuma i caratteri della città, con
alcuni suoi tipi di spazi, pur rispettando la prevalenza di funzioni, fruitori
e abitanti dell’università.
Rispetto ad altri casi della storia, in cui il
campus entra in città, ne costituisce una parte o addirittura la genera, qui è
la città ad entrare nel campus universitario preesistente.
L’esperienza svolta all’interno del processo
progettuale stimola quindi il ragionamento rispetto ad alcuni nodi concettuali che
si propongono come presupposti per una riflessione più ampia legata ai temi
dell’architettura.
Innanzitutto
è importante ripartire dalla tradizione del campus universitario anglosassone.
Voler elevare un insediamento universitario a campus attraverso l’inserimento di residenze per studenti, ricercatori
e docenti, significa volersi inserire in questa tradizione ed è importante
coglierne i caratteri e lo spirito che la contraddistinguono.
Come
sappiamo il tipo del Campus nasce negli Stati Uniti d’America e lo si
identifica universalmente nel suo esempio maturo, quello di Thomas Jefferson
per l’Università della Virginia; qui si forma una comunità di docenti e
studenti che abitano il luogo, qualificato dalla presenza dal grande Lawn centrale, come spazio di ritrovo
della comunità, e dalla Rotunda,
quest’ultima fuoco prospettico principale e spazio della conoscenza al quale
tutti possono accedere.
L’abitare
favorisce il formarsi di una comunità che vive a stretto contatto e condivide
la missione che è chiamata a svolgere. Infatti lo studio e la ricerca razionali
verso la verità scientificamente dimostrata, presuppongono un atteggiamento
sperimentale; per tale motivo si potrebbe dire che comunità e sperimentazione
sono due caratteri vocazionali dell’università e in questo caso si definiscono
e rappresentano tramite un preciso tipo insediativo.
Come
ci ricorda Maria Cristina Loi, all’academic
village presso Charlottesville viene dato il “[…] nome campus col quale fin dal periodo coloniale venivano chiamate le
università-college in generale […]” e attraverso questo progetto, Jefferson gli
dà una definizione compiuta; non solo dal punto di vista terminologico, ma per
il fatto che in questa nuova istituzione, “[…] campus significò attività in
comune, city in microcosm, nucleo
generatore della città in crescita intorno a esso”.[8]
Curiosamente
un insediamento progettato volutamente al di fuori della città, un academic village appunto, si scopre
contenitore di uno dei principi urbani stessi. Questo
porsi fuori dalla città è un aspetto che lo stesso Canella rileva in tutti gli
insediamenti universitari, definito come antiurbanità.[9]
Egli nei suoi studi sul tema universitario della fine degli anni Sessanta
sostiene che “Il tratto fondamentale che contraddistingue l’insediamento
universitario, fin dal suo affermarsi come entità fisica specifica in epoca
medievale, è quello della segregazione dalla città”[10].
Quindi, l’essere dentro o fuori alla città poco importa. L’università pretende
una propria autonomia; lo studio e la vita universitaria non devono essere
assorbiti dalla vita urbana. Ma come dicevamo è vero anche che all’interno dei
luoghi universitari spesso si genera comunque una vita collettiva piuttosto
intensa.
Quest’ultima
però non è sufficiente perché l’insediamento possa essere definito città, o come accade per quello che
sembra essere il primo esempio di campus in Europa, la Ciudad Universitaria de Madrid[11], di vita in comune forse non si può
nemmeno parlare; in quel caso, così come per altri dello stesso periodo
storico, “il termine di città
universitaria risulta del tutto anacronistico, riferibile come è alla
consistenza numerica della popolazione e volumetrica dell’intervento, piuttosto
che alla trama sociale”.[12]
L’esempio
madrileno è comunque sintomatico di un atteggiamento europeo, quello di
riconoscere nella città il massimo grado di rappresentazione per una civiltà. Ma
nella condizione contemporanea lo stesso concetto moderno di città tende sempre
più a dissolversi, sia nella forma che nella sua struttura. Lo sviluppo urbano più
recente, avvenuto in discontinuità rispetto alla matrice insediativa europea,
ha portato alla teorizzazione di concetti quali l’Anticittà, in cui prevale il carattere della disgregazione, tipico
del fenomeno dello Sprawl. Siamo
quindi andati “oltre la città”[13],
ma questo provoca solo una “condizione oggettuale”[14]
dell’architettura, con assenza di logiche relazionali, proprio le uniche in
grado di alimentare una comunità (intesa appunto come trama sociale), da non confondere con la sommatoria di consumatori
che si recano in quei centri commerciali utilizzati come catalizzatori di massa.
Negli
ultimi anni però, in Europa, sembra che sia tornata una “nuova “domanda di
città” che deriva dal rilancio del ruolo urbano a fronte della crisi degli
stati-nazione […]”[15].
Questo fatto non può che rilanciare la città, così come viene intesa in Europa,
soprattutto per un fattore di esperienza sull’evoluzione del fenomeno
insediativo.
La
stessa Unione Europea, dalla Dichiarazione
di Toledo in poi, promuove sul piano politico la città, in particolare
secondo l’accezione in voga oggi di Smart
City, apparentemente frutto “[…] dell’intendere la qualità insediativa quale mero ambito performativo ad
esempio in chiave energetica, dei trasporti e delle comunicazioni,
dell’ambiente. Un insieme di fattori, pur della massima importanza, che però
evidentemente non bastano per fare la città […]”[16]. Alla Smart City tendono gli obiettivi
Europa 2020, supportati attraverso lo strumento finanziario Horizon 2020 che
mira ad incentivare ricerca e sviluppo sul tema.Questo
indirizzo intrapreso dall’Unione fa emergere nuove necessità di competitività a
livello globale, in cui la componente universitaria è chiamata a giocare un
ruolo importante; non più da sola, estraniandosi dal resto del contesto in cui
si trova, ma necessariamente attraverso collaborazioni sinergiche con tutti gli
altri attori del mondo produttivo e della ricerca legati al progresso
tecnologico, e con le municipalità di riferimento.
Dunque
si prospetta inevitabilmente un rinnovamento a livello sia fisico che concettuale
per il tipo insediativo del campus e la difficoltà sta nel mantenerne alcune caratteristiche
originarie contemporaneamente alla volontà (necessaria) di dare una rappresentazione
urbana a quello che la nostra epoca richiede, come può essere il dover trovare
rapidamente soluzioni per contesti in rapida crescita, influenzati
dall’incalzare di nuove dinamiche economiche, sociali, ambientali etc., senza
pregiudicare quello che deve essere il senso formativo (per le nuove
generazioni) di un luogo universitario come questo.
Ma
come diceva Gardella riferendosi all’architettura, “L’unico modo di avere
continuità autentica è quello di cambiare. La continuità non consiste nell’immobilismo,
ma nel continuo fluire e il fluire è analogo a quello dell’acqua di un fiume:
se l’acqua ristagna, il fiume e l’architettura diventano palude”[17].
Quindi il cambiamento non necessariamente interrompe un’idea, un concetto, ma
permette di rafforzarlo, di ripulirlo dagli strati superficiali per riscoprirne
l’essenza e dare continuità alla sostanza che l’ha scaturito attraverso
l’introduzione di nuove componenti che costituiscono un aggiornamento e una
rivitalizzazione.
Portando
all’estrema sintesi il senso di un luogo universitario, potremmo affermare che esso
risieda nella ricerca continua della conoscenza e del modo caratteristico attraverso
il quale essa si compie: non solo con lo studio individuale ma soprattutto attraverso
lo scambio di informazioni, il confronto e il dialogo continuo tra i
protagonisti di questa missione, all’interno di un processo in divenire che
tende alla scoperta delle verità nascoste, sperimentando continuamente soluzioni
innovative. Questo obiettivo guida per esempio la pubblicazione Campus and The City, in cui si provano
ad elaborare concetti teorici che guidino una rinnovata immagine del campus
universitario riconosciuto appunto quale luogo per una società della conoscenza
(Knowledge Society) integrandolo con
la città.[18]
Aprirsi
quindi alla città, mettersi a sistema con essa e relazionarsi con il mondo
esterno in generale, sia rispetto a situazioni già esistenti, sia per campus di
nuova fondazione, presuppone un ragionamento su quella che è la collocazione,
la posizione che l’insediamento ha rispetto al resto del territorio.
Il
posizionarsi in architettura, come già in Vitruvio, ha la sua importanza
rispetto a qualcosa: rispetto all’ambiente e al ciclo solare; rispetto alle vie
di comunicazione e rifornimento (come percorsi d’acqua, assi stradali o ferrovia).
Ma oggi, se è vero che stiamo procedendo verso una economia della conoscenza, diventa assolutamente importante il
posizionamento dei centri del sapere e della ricerca sperimentale rispetto alla
città e ai centri produttivi, e viceversa. Questo, a seconda della distanza tra
i poli, attiva tutta un’altra serie di ragionamenti.
Già in una intervista del
1968 Nuno Portas rileva come l’università costituisca un mezzo sociale e la
formazione spesso progredisca più all’interno di spazi esterni alla didattica che
nelle aule propriamente dette;[19]
caffè, mense, spazi comuni nelle biblioteche, sono luoghi che assumono una
certa importanza per lo scambio del sapere. Allo stesso modo si potrebbe
traslare l’affermazione a livello urbano e considerare i mezzi di trasporto,
gli assi viari e le infrastrutture come possibili luoghi dell’apprendimento e
scambio di informazioni.
Quindi la tendenza dovrebbe essere quella di permettere
una circolazione del sapere più libera, che pervada la società stessa, evitando
sempre di più la specializzazione dei luoghi, senza però perderne una
prevalenza dei caratteri.
Nello stesso testo-intervista anche José Martins
Barata, continuando sullo stesso filo logico, esplora la possibilità di uno
sviluppo universitario come creazione di una immagine modello di città,
ampliando il discorso a tutto il sistema dell’istruzione, che dalle scuole deve
iniziare un percorso di inserimento degli allievi nella società, arrivando ad
una partecipazione mediata attraverso il filtro universitario.[20]
Per tale ragione, per poter replicare certe dinamiche urbane, è chiaro che
l’architettura giochi il suo preciso ruolo all’interno dell’insediamento.
In
Mastercampus, come detto, la città entra nel campus universitario, ovvero la
componente urbana entra all’interno di un insediamento con una funzione
specifica ed esclusiva; infatti, ancora una volta, è della città e del suo futuro
che è necessario discutere.
Il progetto di Parma riconosce così nel campus un
luogo urbano “ritrovato”, dove si possano sperimentare scenari avanzati per
l’evoluzione della città stessa, e per farlo cerca di costruire quelli di
partenza, proponendo una nuova strada per l’architettura di questo tipo
insediativo, ridefinendo e strutturando l’area con una nuova matrice di base, attraverso
la metodologia compositiva identitaria per la città europea, fatta di
tracciati, spazi conformati attraverso la giustapposizione di edifici, precise
distanze e prospettive, costruendo una scena urbana fatta di figure con
caratteri nuovi che vada a costituire il nuovo nucleo dell’insediamento;
tuttavia senza rinunciare ai grandi spazi aperti e verdi spesso presenti nei
campus universitari, che qui costituiscono una graduale relazione con il
contesto rurale a sud dell’area, contribuendo alla forma e alla definizione
generale del nuovo quartiere urbano modello.
Oggi,
quindi, il tema del campus universitario non è più così distante da quello
della città. Probabilmente può contribuire ad aprire un dibattito architettonico
e urbano nuovo, con punti di vista, come quello economico, della sostenibilità,
della specializzazione del sapere e della tecnologia, che spesso “distraggono”
l’architetto, assimilati una volta per tutte all’interno dell’architettura del
campus universitario (e non solo).
Ma
è importante, innanzitutto, attivare il “momento analitico dell’architettura”[21],
analizzando esempi originari, campus avanzati e in generale la città europea,
per estrarne le matrici significanti che possano costituire, in una sintesi, l’elemento
di partenza per proporre un nuovo modello di campus universitario europeo, riconoscendo
nell’organizzazione dello spazio[22]
e nella sua definizione (intesa come atto del definire, limitare) formale, una
delle qualità proprie di questo tipo insediativo; interessante è anche capire
come, attraverso l’architettura, questa definizione e forma generale possa integrare
le nuove necessità di relazione con la città di riferimento e con il contesto nel
quale si inserisce - tenendo conto della posizione in cui si colloca –,
oltre che i bisogni di flessibilità
funzionale e di relazione interna tra edifici e spazi aperti, che apparentemente
sembrano contraddirla e metterla in crisi.
Note
[1] Per uno spunto analitico sulla situazione attuale e la tradizione degli insediamenti universitari nel caso di Parma, una spiegazione esauriente del progetto Mastercampus e di tutte le attività avviate all’interno della Mastercampus Strategy, si rimanda ai testi di Carlo Quintelli presenti in “Mastercampus: il campus come quartiere urbano modello”, dossier prodotto dal Mastercampus-Lab per la presentazione del progetto, Università degli Studi di Parma, giugno 2014 e al sito internet www.mastercampus.it
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Per una elaborazione del concetto di densificazione urbana si vedano le ricerche svolte nell’ambito del dottorato di ricerca sotto la guida del Professor Carlo Quintelli, consultando le tesi di dottorato di:N. Montini, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di parti di città, Parma, 2015
A. Nolli, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane in sistema di relazione policentrico, Parma, 2015
P. Strina, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di tipo metropolitano, Parma, 2015
[8] M. Loi, Thomas Jefferson, 1734-1826. Primo architetto americano, Torino, 1993
[9] G. Canella, L. Stellario D’Angiolini, Università, ragione, contesto, tipo, Bari, 1975
[10] Ibidem
[11] P. C. Calvo-Sotelo, Joan Martha Costello, The Journey of the Utopia: The Story of the First American Style Campus in Europe, Nova Science Publishers, Hauppauge NY, 2005
[12] G. Canella, Ibidem
[13] C. Quintelli, Oltre la città, FAmagazine, anno IV, n. 24, Settembre 2013
[14] Ibidem
[15] C. Quintelli, City again?, in L. Amistadi, E. Prandi, European City Architecture. Project Structure Image, Parma, 2011
[16] C. Quintelli, Oltre la città, Ibidem
[17] F. Nonis in, P. Ciorra e A. Rosati (a cura di), FOOD dal cucchiaio al mondo, Catalogo della mostra, MAXXI, Quodlibet, 2015
[18] K. Christiaanse, K. Hoeger, Campus and the city: urban design for the knowledge society, Zurich, 2007
[19] N. Portas, J. Martins Barata, A Universidade na Cidade: problemas arquitectónicos e de inserção no espaço urbano, in “ANÁLISE SOCIAL” n. 22-23-24. Vol. VI, 1968, pp. 492-509.
[20] Ibidem
[21] A. Rossi, L’architettura della città, CittàStudi, Milano, 2006.
[22] A proposito dell’organizzazione dello spazio, si veda lo scritto del 1962 di Fernando Távora, Da organização do espaço, Porto, 1962, riportato anche in edizione Fac-Simile, FAUP Publicações, Porto, 1982. Trad. It. parziale di Giovanni Leoni: Organizzare lo spazio, in ‹‹Casabella››, LXV, 2001, n°693, p. 46-49.
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dottorato: P. Strina, Tecnica di
densificazione attraverso le centralità urbane di tipo metropolitano,
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Sitografia
www.mastercampus.it
www.csacparma.it
Andrea Matta, laureato in architettura, è dottorando in “Architettura e Città” presso il DICATeA dell’Università degli Studi di Parma. Fa parte del Mastercampus-Lab e ha partecipato al progetto Mastercampus della stessa università. Attualmente sta svolgendo un periodo di studi presso la FAUP, Porto.