Abstract
Questo saggio propone di svolgere un ragionamento sul concetto di scuola come corpo. Una metafora affascinante che guida nella riflessione sulla dimensione fisica, tattile, intimamente sensibile dell’edificio scolastico e di tutti i suoi materiali. Specchio dell’innovazione della relazione tra insegnante-allievo e sapere, il corpo si collega direttamente a come la scuola incarna l’approccio pedagogico e gli spazi (l’architettura) dell’edificio. Come il corpo, la scuola ha la capacità di esprimersi con la sua statura, la sua presenza. Si propone l’impiego della metafora della scuola come un corpo, catturando alcune declinazioni fisiche ed espressive degli edifici scolastici (dalla sua ossatura, al suo metabolismo, alla sua empatia, per non parlare di quanto il corpo assorbe e reagisce con tutti i cinque sensi) in modo da costruire un ponte tra pedagogia e architettura lontano dal lessico consolidato tra tutte e due le discipline.
Ragionare sul concetto di scuola come corpo significa chiedersi: che corpo ha la scuola? Di cosa è fatto? Come parla il corpo della scuola, se con questo intendiamo tutto ciò che accoglie, organizza, struttura, inquadra e informa l’azione didattica? Il corpo della scuola è fatto di architetture, quindi di muri e di finestre, di aule, androni e corridoi, di ambienti comuni e luoghi per le attività specifiche, spazi interni ed esterni, volumi che si distribuiscono nel contesto urbano. Si rispecchia nei materiali e colori, di arredi e suppellettili, di oggetti più o meno didattici. La fisicità della scuola non è un dettaglio, è il corpo che lei indossa. Come scrive Umberto Galimberti (1987) è il corpo che dà abito (luogo) e che è, al tempo stesso abitato.
In pedagogia si parla del corpo umano come un vero e proprio dispositivo pedagogico che “si iscrive” in qualsiasi processo formativo (Mariani 2004, Ulivieri, 2000, Massa 1986, Gamelli 2001). La centralità del corpo come luogo e attore dell’apprendimento offre la chiave dell’innesto tra pedagogia e architettura. Il corpo è il luogo della conoscenza inteso contemporaneamente come sapere e spazio - la conoscenza si attiva con il corpo nello spazio fisico.
Nel saggio “Il corpo tra formazione e scuola”1 Alessandro Mariani parla del crocevia in cui ci si trova oggi la scuola. Da una parte, la tradizione “gentiliana” resiste con il suo approccio cognitivo basato sul’“osservare, schedare, sorvegliare” e di conseguenza emargina gli allievi dal processo formativo. Come lettura corporea, questa eredità pedagogica si sviluppa in modo frammentario su solo alcune singole parti del corpo stesso: “la testa, l’occhio, la mano”. D’altra parte, lo slogan “a scuola con il corpo” cattura lo spirito del XX secolo in contrapposizione alla parcellizzazione della conoscenza, prendendo il corpo nella sua integrità come soggetto attivo nel “fare-educazione.” Questo bivio si sintetizza in un confronto tra la cosiddetta “pedagogia passiva,” e “pedagogia attiva” e imprime un richiamo corporeo diverso. Si può quindi affermare che, quando si parla dell’innovazione della scuola, ci si collega direttamente a come il corpo stesso incarna l’approccio pedagogico e gli spazi (l’architettura) della scuola.
Per sciogliere questo nodo tuttora irrisolto è possibile inserirsi nella prospettiva della Bildung, intesa come processo di formazione/educazione a tutto tondo, che ci rende capace di cogliere le sfumature diverse tra oggetti, ambienti, situazioni, persone.
Il tema della cognizione, come area di indagine delle scienze che si interessano all’apprendimento e sviluppo umano, dà sempre più valore alla triangolazione forte tra emozioni, sentimenti e intenzioni. Conoscere e sentire vanno di pari passo, come ragione e sentimento e si sostanziano l’una dell’altra. La manifestazione di questo dialogo si trova nel corpo, che respira e traspira questo intenso dialogo, mostrandone in definitiva l’esito più o meno felice.
È il corpo dunque il punto di riferimento centrale in questo discorso. Un corpo che racconta di una totalità in chiave olistica, che descrive anche tutte le sue promanazioni (ambienti, spazi, relazioni).
Il corpo, infatti, non ci offre solo una reazione fisiologica a determinate situazioni, ma è lo specchio di tutte le variabili dell’organismo, da quello neurologico a quello viscerale, da quello cognitivo a quello comportamentale, dando significato, spessore e colore a tutti gli eventi della nostra vita (Varani, p.6).
Attraverso il corpo, quindi il vedere, sentire, toccare, odorare e ascoltare si definisce la percezione dello “stare nel mondo” o che è più della somma delle singole informazioni desunte dai singoli organi, ma che definisce un complessivo “stare bene” al quale il concetto di comfort non può che ordinarsi.
Negli ultimi anni sono stati realizzati nel mondo progetti di scuole che offrono una panoramica di soluzioni architettoniche internazionali che sembra reggere e dare impulsi alla richiesta impellente di realizzare non solo una scuola più coinvolgente, comunicativa e immersa nella realtà, ma soprattutto una scuola che trovi una coerenza tra il dire e il fare, tra i buoni principi dichiarati e le fenomenologie vissute.
Si propone l’impiego della metafora della scuola come un corpo, catturando alcune declinazioni fisiche ed espressive degli edifici scolastici in modo da costruire un ponte tra pedagogia e architettura lontano dal lessico consolidato tra tutte e due le discipline. L’ambizione qui è quella di crearne uno nuovo.
Il corpo della scuola – La scuola è un corpo
La scuola come corpo complesso e sfaccettato deve manifestare di essere in buona salute non solo a parole. Si deve vedere, sentire e toccare il suo “benessere”.
Per parlare dello stato di una scuola la proposta è quella di usare la metafora del benessere di un corpo. Cosa consideriamo per stabilire la salute di una persona, quali sono gli elementi che ci danno il senso del suo stare bene?
Il primo elemento che ci colpisce è il volto e la corporatura, sua la statura e il portamento. Si parla del suo aspetto esteriore, di come questo si pone nel mondo e di fronte agli altri. Un secondo elemento che caratterizza lo stato di salute della persona è la sua ossatura, grossa o sottile he sia, è questa che regge il corpo, che senza non può fare. È quindi un sistema nervoso in ordine che garantisce la buona funzionalità di tutte le parti del corpo e che i movimenti siano coordinati e armonici. Ciò che distingue il benessere di una persona è anche il carattere, non solo estroverso o introverso, ma soprattutto quando esprime la propria particolarità, il proprio unico e indistinguibile modo di essere. Il suo benessere è profondamente legato al suo metabolismo e all’alimentazione, che se fuori equilibrio determinano una mancanza di energia. Altro elemento determinante per definire la salute di un individuo è il baricentro corporeo. Il baricentro di un atleta o di un ballerino, infatti, è capace di spostarsi dal suo centro naturale ad altri centri senza perdere l’equilibrio. A questo si aggiunge la sua sonorità, o intonazione musicale della voce, che quanto più è armonica, tanto più risulta piacevole. L’ultimo elemento che definisce il benessere della persona consiste in una buona nutrizione.
La metafora del benessere della persona umana può essere trasposta al corpo della scuola: il suo volto e la sua corporatura corrispondono alle facciate e ai volumi dell’edificio che si interfacciano con il tessuto urbano; la sua ossatura corrisponde al corpo docente senza il quale il sistema della scuola non regge; il sistema nervoso corrisponde all’organizzazione funzionale degli spazi scolastici che sempre di più necessitano di una dinamizzazione; il carattere corrisponde alle caratteristiche complessive dell’edificio scolastico, che trasmettono un suo modo di essere e un proposito formativo; il metabolismo corrisponde alla capacità della scuola di elaborare gli stimoli culturali che provengono sia dal sistema dei saperi che dai contesti sociali nei quali la scuola è immersa; il baricentro corporeo corrisponde alla capacità dell’edificio di trovare nuovi equilibri in altri centri dove posizionare il proprio equilibrio nella gestione delle attività formative; la sonorità di un edificio è anch’essa determinante per stabilire le qualità degli spazi e la nutrizione corrisponde alla capacità della scuola di recuperare il rapporto con la natura e con l’ambiente.
Per fare buone scuole si può fare riferimento a esempi che danno peso alle potenzialità dell’architettura per ricavare dal semplice “portamento” di un edificio anche una didattica “coinvolgente” a tutto tondo.
a. la presenza
Come il corpo per l’individuo, anche la scuola ha la capacità di esprimersi con la sua statura, la sua presenza nel contesto urbano. Un uomo alto e robusto di statura può dare l’impressione di una persona imponente, se si comporta in un certo modo, oppure può sembrare un orsacchiotto presentandosi in un altro. Le sottigliezze del portamento apportano alla scuola una gamma di posture e atteggiamenti capaci di comunicare in un istante la sua posizione (intesa come ruolo) in un determinato contesto. La scuola Collodiana, con le sue volumetrie robuste e lineari afferma una posizione consolidata, istituzionalizzata. Una scuola ex-caserma, senza volerlo, lascia traccia del sua carattere originario con la sua postura rigorosa.
Per costruire scuole visibili, presenti, che comunicano con la cittadinanza, si può fare leva sulle potenzialità dell’architettura e ricavare dal semplice “portamento” di un edificio anche una didattica “coinvolgente” a tutto tondo.
La presenza, o l’aspetto fisico della scuola in termini architettonici, è rappresentata dalla sua facciata e dalla sua volumetria. Questi due elementi nella progettazione contemporanea di edifici scolastici rivelano una ricerca vivace. Gli architetti si pongono la domanda ed elaborano possibili risposte su quanto e come sta cambiando il volto della scuola, che si sta sempre più connotando non più come un luogo imponente, una cattedrale del sapere, ma piuttosto come un luogo creativo e reattivo, accessibile e permeabile, che si pone in dialogo con ciò che le sta intorno.
Gli studi internazionali (Montagstiftung 2012, Harris&Wider 2014) mostrano come la scuola stia diventando un catalizzatore per l’organizzazione sociale e culturale delle città e dei paesi, si sta configurando come nuovo centro civico. La richiesta di una sua presenza e riconoscibilità nella società è il sintomo di un bisogno profondo di ritrovare uno spazio di incontro informale protetto, che abbia come mission fondamentale quella culturale. Sono numerosi gli studi, a cui seguono impegni e sforzi anche a livello politico, in cui si evidenzia la necessità di considerare lo sviluppo culturale umano una questione che accompagna gli individui per tutta la vita (Longworth 2003, Schlemman 2007, Dozza 2012, Ellerani 2013). Il life long learning si ripercuote sul significato della scuola come luogo di incontro e di scambio intergenerazionale, che supera l’originaria mission di introdurre i minori al processo di acculturazione. Si fa luogo di cultura a tutto tondo, luogo dove chi vuole sapere, conoscere, cercare, capire, è sempre benvenuto. Di qui la nuova attenzione alla presenza, ovvero all’aspetto dell’edificio che, sia nuovo o ristrutturato, comunica all’esterno il suo significato.
b. l’ossatura
La struttura della scuola ha alla sua base operativa il corpo docente, insieme al personale A.T.A (i segreteria/custodi/bidelli) e il dirigente scolastico. Sono queste figure che reggono il corpo del sistema e che vanno a costituire la cosiddetta “ossatura” della scuola. Quando si parla della scuola innovativa, si parla anche di un ambiente di lavoro collaborativo in cui il sistema organizzativo (Dalin 1984) funziona. Il tema dello sviluppo della scuola, o Schulentwicklung (Baum 2014, Heitmann 2013) nei contesti di lingua tedesca e School developement (Dalin 2004, Day 2012) nei contesti di lingua inglese, sono di assoluta attualità ed interessano molto il mondo della scuola italiana, che sta elaborando un percorso di interpretazione dell’autonomia scolastica in termini di management dell’organizzazione e leadersip educativa (si veda a proposito il grande lavoro di elaborazione scientifica e di confronto con le pratiche scolastiche promosso da Cesare Scurati con la rivista Dirigenti Scuola, dagli anni ’80 in poi). Da questi studi (tra i più recenti si cita Cerini 2010) si evince che la scuola riesce a connotarsi come sistema organizzato, con una buona coesione interna, fondata su principi e valori assunti con responsabilità e continuità dai suoi membri, quando il corpo docente “sta bene”, “è a proprio agio”, si sente valorizzato e sostenuto dal dirigente scolastico, che mette in atto anche azioni per promuovere tra gli insegnanti un senso di appropriazione e identificazione con la scuola. (Bobbio, Scurati 2008). A partire da questo assunto, le ricerche interdisciplinari tra pedagogia e architettura dimostrano come i modelli di scuola più recenti (Rittelmayer 2013, Montag Stiftung 2012, Hille 2011) pongano particolare attenzione agli spazi dedicati al personale scolastico per promuovere non solo una coesione interna, ma soprattutto per offrire benessere a al personale che opera nelle strutture. Si cerca di realizzare ambienti in cui i docenti possono soggiornare e non solo fare riunioni e lasciare temporaneamente le loro cose. Non è più nemmeno solo un luogo di servizio, dove fare fotocopie, trovare le informazioni o circolari interne, e dove avere uno spazio per riporre carte e documenti. Gli spazi per i docenti diventano dei veri e propri luoghi di accoglienza e ambienti in cui rimanere a lavorare piacevolmente anche quando non ci si trova in classe. Sono spazi non più isolati, ricavati dalle aule inutilizzate o poco funzionali ad altre attività. Diventano luoghi in posizione strategica, nel cuore della scuola. Come di cabine di regia dell’azione didattica, si collocano nei luoghi più vivaci e pulsanti, collegati con la vita nelle classi.
c. il sistema nervoso
Una scuola sana è un luogo sinaptico dove i vari ambienti sono interconnessi e in rete. Prevale un linguaggio dell’apprendimento non lineare, dove gli spazi acquisiscono e favoriscono una morfologia simile ai neuroni, al sistema nervoso. Tutti gli spazi della scuola sono parte di un unicum, un tutto, e la loro organizzazione ne definisce il sistema (Woolner 2014).
Le tendenze mostrano un progressivo abbandono del modello che isola le attività, i materiali didattici e gli strumenti nelle diverse aule, a vantaggio di paesaggi di apprendimento in cui le classi si aprono e collegano agli spazi esterni, i corridoi diventano atelier didattici, i materiali si allocano un po’ dappertutto, dando vita a una scuola laboratorio. Questo permettere di recuperare più spazio negli ambienti raccolti per le attività dedicate (momenti frontali a grande gruppo, attività specifiche ecc.) e di trovare maggiore collegamento tra gli atri e i corridoi, gli angoli e le rientranze, accolgono libri, computer, materiali di esercitazione, cartine, giornali, strumenti, colori, tutto l’occorrente per svolgere le attività di ricerca e di approfondimento delle conoscenze. Martin Nugel (2013) nell’analisi del rapporto tra pedagogia e architettura descrive in questo senso la profonda funzione pedagogica degli ambienti: essi diventano gli elementi imprescindibili su cui porre le basi del processo di formazione, i grandi alleati della scuola per promuovere sempre meglio una didattica centrata sul bambino e sul processo conoscitivo, guidato fondamentalmente da motivazioni e bisogni. La richiesta di non concentrare più tutte le attività in un unico ambiente (la classe) ma di organizzarle in maniera dinamica e reticolare nei diversi spazi scolastici, non è solo finalizzata a sfruttare tutto lo spazio scolastico, spesso sottoutilizzato (pensiamo agli enormi corridoi e atri vuoti nelle vecchie scuole-caserme), ma si ordina a un principio pedagogico sempre più importante ovvero quello di stimolare allievi e insegnanti all’assunzione di responsabilità, al principio della condivisione (di oggetti, di spazi, di regole in comune per gestirli) e soprattutto alla conquista dell’autonomia (di movimento, di azione, di ricerca).
d. il carattere: empatia e simbiosi
È innegabile che gli edifici abbiano un carattere, che le scelte architettoniche vadano a definire la relazione con lo spazio. Questa relazione e la percezione dello spazio negli ambienti è un tema ampiamente dibattuto (Wölfflin 2010, Costa 2009). Una scuola che entra empaticamente in sintonia con insegnanti e allievi sulla relazione tra spazi e didattiche è un edificio che con il suo carattere coinvolge i diversi sensi nell’esperienza scolastica.
Gli spazi hanno ciascuno una forma e un colore, una dimensione tattile e un riferimento acustico che possono accentuare o smorzare gli umori, le attitudini, i pensieri positivi e negativi. Sono luoghi che comunicano e che se quindi informano un messaggio ben preciso possono acquisire un carattere che va in sintonia e in simbiosi con gli intenti formativi.
Gli ambienti possono quindi essere modulati per accogliere i diversi bisogni degli individui come l’innato bisogno di imparare, il bisogno di stimoli, ma anche il bisogno di raccoglimento e di concentrazione, il bisogno di condivisione e socializzazione, il bisogno di momenti di svago e relax (Weyland 2014). Allo stesso modo possono ordinarsi alle diverse esigenze didattiche che si suole oggi suddividere in attività frontale o di input (30%), attività individuale, di approfondimento, ripasso e esercitazione (30%), attività di gruppo, per progetti, di ricerca (30%) e attività plenaria, di discussione e presentazione (Seydel 2013, Boehme-Hermann 2009,). Il carattere di una scuola, tuttavia, va oltre tutti questi elementi, per dare alle persone una impressione complessiva sulla propria identità.
e. L’apparato digerente: metabolizzare gli spazi
Sono anni che si parla di una scuola dal metabolismo rallentato, con poca energia vitale (Recalcati 2014, , Fiorin 2008, Contini 2009, per indicarne solo alcuni). La metabolizzazione della cultura da parte della scuola sembra inceppata. Per rispondere a questo stallo, le ricerche interdisciplinari tra pedagogia e architettura (Weyland-Attia 2013, 2015, Woolner 2014, Rittelmayer 2013, Montagstiftung 2012) indicano che a livello internazionale l’edificio scolastico sta subendo una radicale trasformazione: da ambiente tradizionalmente esclusivo per gli alunni e gli insegnanti viene reinterpretato e considerato come un luogo aperto a nuovi fonti di alimentazione. Diventa un centro di cultura pulsante, vivace e attraente per tutta la comunità. La scuola si riconfigura come un luogo aperto e polivalente, con spazi carichi di energia, che riescono a riequilibrare l’apparente lentezza del sistema formativo a confronto con i tempi accelerati della società contemporanea.
Da sempre sono stati messi a disposizione alcuni spazi scolastici per le attività extrascolastiche e per la comunità. Tuttavia cambia l’approccio complessivo all’idea di scuola: quello che per tanti anni è stato rivendicato come spazio protetto, inviolabile da destinarsi all’insegnamento e all’apprendimento, con le sue recinzioni di protezione e con i cancelli che annunciano la proprietà di un suolo, non corrisponde più alle esigenze di un ambiente comunicativo e aperto alle più diverse sollecitazioni. Portando attività “estranee” all’interno delle mura della scuola, si mettono in relazione aspetti culturali e sociali importanti per alimentare la scuola, per rinvigorirla.
La palestra, l’aula magna, la biblioteca, la mensa, l’atrio d’ingresso sono tutti spazi che si ripensano per portare la vita esterna dentro le scuole, per connetterla alla realtà. Questi spazi si progettano sempre di più per un utilizzo flessibile durante gli orari extra-scolastici, mettendo a disposizione un luogo identitario per tutta la comunità, di cui la scuola è cellula pulsante ed energetica.
f. il baricentro corporeo
Nella scuola il baricentro è stato tradizionalmente l’aula (Trapp 2008), punto di riferimento pressochè prioritario per allievi e insegnanti, luogo identitario per cui essere a scuola (lo spazio fisico in cui si passa la maggior parte del tempo scolastico) e fare scuola (apprendere-insegnare-relazionarsi) diventano una cosa sola e si collocano nella classe. Il ripensamento del ruolo formativo dell’istituzione scolastica, da distributrice di informazioni e conoscenze a centro organizzatore di esperienze e ricerche, con una differenziazione delle attività didattiche da alternarsi tra frontali e plenarie, di gruppo e individuali, conduce a una generale revisione del ruolo centrale dello spazio aula a favore di altri centri catalizzatori delle attività scolastiche.
Si stanno configurando nuove organizzazioni funzionali che spostano il baricentro nel concetto del “cluster.” Un cluster è un raggruppamento di aule, aule gruppo e spazi intermedi che permette una didattica più complessa e diversificata, mettendo gli alunni in un contesto di apprendimento fluido e dinamico.
La scuola innovativa cerca di bilanciare continuamente tra loro le modalità di apprendimento e trova concretezza nel raggruppamento di aule o spazi didattici per creare un nucleo più articolato e più variegato. Il cluster propone un modello dove il sapere non è più univoco e uni-direzionato ma sfumato e stratificato.
g. La cadenza e l’intonazione
Come gli esterni, anche interni di un edificio scolastico comunicano. Essi possono parlare, risuonano attraverso la diversa modulazione delle superfici, delle vedute e a seconda della dimensione degli spazi. La sonorità di una scuola influisce molto su come questa viene vissuta. A seconda delle qualità acustiche dei diversi ambienti, anche i comportamenti e la tonalità delle voci si adattano di conseguenza: la comunicazione a seconda delle necessità e delle attività, assume un tono più alto o più basso.
In architettura si stanno cercando sempre migliori soluzioni progettuali per offrire una cadenza armonica e un’intonazione sonora adeguata agli ambienti, soprattutto per quanto riguarda quelli pubblici e maggiormente affollati. L’attenzione alla modulazione del riverbero acustico degli spazi, permette di offrire una complessità esperienziale che non corrisponde necessariamente ad una totale insonorizzazione acustica, ma a una diversità di esperienze sonore che invita anche da sé a un utilizzo diversificato degli ambienti.
h. nutrizione
La scuola si nutre di cultura e può essere considerata come un luogo che offre il nutrimento della conoscenza. Tutta via essa trae nutrimento anche dal rapporto con l’ambiente, inteso sia in termini socio-culturali, quindi di rapporto con il territorio, sia in termini di sostenibilità. La relazione con la natura e con l’ecosistema è un aspetto già esplorato in ambito pedagogico (Frabboni 1990, Bertacci 2002, Persi 2003, Birbes 2008) e sta diventando sempre più importante nei processi della formazione umana. La scuola, come struttura complessa che accoglie gli individui in crescita per gran parte del loro tempo, può riconfigurarsi come un sistema che ragiona e opera in rapporto con l’ambiente in ordine ai principi dell’ecologia e della sostenibilità. Molte scuole innovative si orientano a una didattica che include nei propri ambienti orti e giardini, stalle e campi, per ritrovare quel contatto tra cultura e natura che nel tempo è andato perduto.
Costruire pedagogie
Ragionare oggi sulla concretezza e sulla materialità della scuola sta diventando una necessità. Non solo perché l’urgenza degli interventi di edilizia scolastica è impellente e perché ciò comporta un investimento economico imponente, ma soprattutto perché l’urgenza più manifesta è quella di una scuola che così com’è non funziona più, non ha più appeal e non trova più le sue corrispondenze con la vita di ogni giorno di bambini, ragazzi e adulti.
In questo momento la forza che ancora manca alla pedagogia per parlare alla scuola può trovare alcune risposte nell’architettura, che ragiona a tutto tondo sulla costruzione dei suoi edifici. La pedagogia da materia astratta, inaccessibile, in dialogo con l’architettura colma la distanza tra scuola e vita con le sue risposte concrete.
Le strategie che qualificano a livello internazionale la realizzazione di scuole buone o, forse meglio sane scuole, giocano sugli elementi della presenza, della qualità degli spazi dedicati ai docenti, come coloro che reggono la scuola; valorizzano la scuola come sistema di spazi interconessi e le donano carattere, in sintonia con pensieri e didattiche. Gli esempi internazionali più conosciuti di architetture scolastiche identificano la scuola come un centro di metabolizzazione culturale aperto alla cittadinanza e scardinano il baricentro della scuola verso centri più ampi e condivisi, come gli spazi comuni e lo spazio esterno. Si occupano inoltre di porre attenzione alla musicalità della scuola, tra acustica e sonorità e di metterla in relazione con la natura, attuando progetti di sostenibilità per relazionale meglio la scuola tra natura e cultura.
Costruire pedagogie (Attia, Weyland 2013), dunque, non significa solo pensare alla “materia” come insieme di contenuti, ma include un discorso più ampio sul “contenitore” che le accoglie. Al giorno d’oggi il contatto tra la disciplina scolastica e quella architettonica è ancora poco valorizzato. La discrepanza tra le attenzioni dell’una e dell’altra parte può essere superata proprio facendo tesoro di quanto indicato dai grandi pedagogisti e dai grandi architetti, che hanno sempre messo in dialogo la materia visibile e invisibile del farsi dell’uomo.
È noto il rapporto stretto che intercorre tra il pensiero montessoriano e le opere di Herman Hertzberger, come anche tra il pensiero di Rudolf Steiner e l’architettura organica (Hille 2012): ogni azione avviene in un luogo e acquisisce la sua forma specifica in relazione ad esso. Non solo gli studi pedagogici confermano la necessità di riconoscere lo spazio come dimensione esistenziale e vissuta (Iori 1999), tale da diventare un punto di riferimento identitario della esperienza umana (Hillmann 2004), ma addirittura gli studi psicologici sulla prossemica confermano la forte influenza dello spazio sul comportamento delle persone (Costa 2009).
Si rivela sempre più necessario porre attenzione ai rapporti tra cose e persone. L’edificazione di una scuola, consente di costruire un sistema di relazioni in cui lo spazio diventa uno strumento prezioso nella definizione e organizzazione della relazione educativa.
La pedagogia della scuola oggi si sta orientando sempre di più all’azione. Sempre di più si allontana dall’approccio astratto al sapere, per avvicinarsi ad un apprendimento personalizzato e multiprospettico. L’architettura diventa il suo primo interlocutore e complice offrendo spazi non più neutri, ma sorprendentemente diversificati ed identitari.
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Beate Weyland è Professoressa di Didattica presso la facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano. Dal 2010 le sue ricerche si incentrano sul rapporto tra pedagogia e architettura e sull’innovazione della didattica in ambito scolastico. Nel 2012 fonda la rete istituzionale Spazio e Apprendimento altoatesina con un convegno sul tema. Dal 2015 è membro del gruppo internazionale PULS che promuove percorsi sulla moderazione di processi per la neocostruzione e ristrutturazione delle scuole. È consulente di diverse scuole per la definizione del piano organizzativo a indirizzo pedagogico da sottoporre ai percorsi di progettazione. Tra le pubblicazioni inerenti il tema compaiono: Media e spazi della scuola (Brescia 2013); Costruire pedagogie (con Sandy Attia, a cura di), Turris Babel nr.97 (Bolzano 2013). Per Guerini ha pubblicato Fare scuola. Un corpo da reinventare (2014) e insieme a Sandy Attia Progettare scuole tra pedagogia e architettura (2015).
Sandy Attia, architetto, dopo il conseguimento del master alla Harvard University fonda con Matteo Scagnol lo studio MoDus Architects a Bressanone. Lo studio ha ottenuto importanti riconoscimenti tra i quali il Premio speciale della giuria del premio Architetti Italiani 2013, il primo premio all’International 2013 Piranesi Award, il German Design Award 2014, e il Best architects 14. Tra i progetti più significativi di edifici scolastici ricordiamo il Polo scolastico Firmian a Bolzano (asilo nido, scuola materna, centro famiglia, scuola elementare e biblioteca di quartiere) e la ristrutturazione e ampliamento della scuola primaria di Ora (BZ).