Abstract
L’autore stesso dell’opera racconta nell’articolo il lungo percorso temporale che hanno attraversato per giungere alla realizzazione del Museo delle Collezioni Reali, che si estende sul bordo occidentale della città antica monumentale. Da un lato la scelta materico costruttiva, la ripetizione dei portali in cemento bianco, così influenzata dal contesto e dalle sue complesse stratificazioni storiche, e dall’altro la scelta tipologica, strettamente condizionata dalle necessità espositive della contemporaneità, sono declinazioni diverse di un tempo riletto come materiale del progetto.
Quindici anni or sono, il nostro studio di architettura, Mansilla & Tuñón, si imbarcava nell’ambizioso progetto di ricostruzione del Museo delle Collezioni Reali. Oggi il cantiere è ancora aperto e non si prevede il completamento prima di due anni pieni. Nel lungo periodo di elaborazione del progetto sono successe molte cose e, senza dubbio la più importante per noi, è stata la scomparsa due anni or sono dell’architetto Luis Mansilla, amico e compagno.
In questi lunghi anni di lavoro purtroppo abbiamo assistito ad un’incontrollata accelerazione dei tempi dei processi costruttivi, catalizzata da una interpretazione mercantilista dell’architettura. Il disinteresse di alcuni architetti, imprenditori e politici, per il passare del tempo è sempre stato in contrasto con la nostra ferma volontà di trattare il tempo, nella vita e per estensione anche nell’architettura, come un prezioso materiale da costruzione.
Il tempo dell’architettura è lungo e i processi edilizi hanno spesso inizio indietro nel tempo, anni prima del cantiere stesso, con la costruzione del luogo. E così, per capire bene questo intervento occorre riferirsi ad un tempo più lontano, il tempo in cui iniziò a prendere forma il sito dove oggi si trova il museo, quando il re Filippo V, dopo l’incendio del vecchio Alcazar di Madrid, nella notte di Natale del 1734, fece chiamare l’architetto Filippo Juvarra per edificare un nuovo palazzo per la allora recente dinastia dei Borboni.
La morte dello Juvarra, avvenuta due anni dopo la chiamata di Filippo V, fece sì che il suo allievo Giovanni Battista Sacchetti fosse effettivamente l’architetto che avrebbe portato a termine la costruzione del Palazzo Reale di Madrid, sui resti dell’Alcazar degli austriaci. Sacchetti disegnò e costruì uno splendido palazzo di granito e pietra calcarea posto sopra un complesso sistema di rampe che struttura la discesa ai giardini, detti il Campo del Moro, ubicati al livello del fiume Manzanares.
Sacchetti fu anche il primo architetto a proporre l’estensione del Palazzo Reale verso sud, cosa del tutto naturale, con la costruzione di due ali che avrebbero dovuto dare forma al cortile delle armi. Fu però il suo successore, Francesco Sabatini, ad iniziare i lavori di ampliamento del palazzo nel 1722, con l’estensione verso sud; questa andò completandosi durante il XIX secolo, grazie ai successivi interventi degli architetti Pascual Colomer, Segundo de Lema e infine Repullés Segarra, che ultimò il complesso monumentale con la costruzione del grande muro di contenimento che rifiniva il basamento su cui si insediarono il Palazzo Reale e la nuova Cattedrale di Madrid.
In questo complicatissimo contesto, a cui hanno dato forma una moltitudine di architetti e monarchi nel corso di oltre due secoli, il Museo delle Collezioni Reali si trova ad essere l’ultima struttura architettonica della cosiddetta Cornisa di Madrid, riprendendo il carattere formale e costruttivo della sua condizione di muro di contenimento abitato, scolpito sull’esistente, come ampliamento del basamento del Palazzo Reale.
E così, in questo pezzo della città, le tracce archeologiche e le diverse costruzioni hanno stratificato, nel tempo, un complesso palinsesto che ha condizionato, sin dal primo momento della proposta concorsuale, l’ubicazione del museo sul lato occidentale dell’area, concentrando tutto il programma in unico edificio lineare, il cui volume è definito dall’allineamento con i muri di contenimento e i resti archeologici delle mura ispano-mussulmane.
In questo molteplice palinsesto il Museo si inscrive come un ulteriore testo che raccoglie consapevolmente la memoria del sito, lasciando tutto il protagonismo al Palazzo Reale e al complesso sistema di rampe disegnato da Sacchetti. Occupando il sedime che il tempo gli aveva riservato, l’opera stabilisce un dialogo di continuità temporale con la naturale estensione del palazzo verso sud, così come proposto nell’arco della storia dai diversi architetti che hanno costruito in quest’area.
In questo modo il Museo è un nuovo testo che sovrascrive quanto già scritto, con una forte materialità, e leggerezza nello stesso tempo, che si riferisce al tempo trascorso delle pietre invecchiate del Palazzo Reale, attraverso la realizzazione di un edificio semplice e compatto, in cui la massima flessibilità funzionale convive con un rigoroso ordine, imposto dal suo forte carattere strutturale.
Tuttavia, se nell’impianto e nella costruzione si cerca di stabilire un dialogo equilibrato con il contesto, il modello tipologico del Museo delle Collezioni Reali si rifa decisamente alla più contemporanea tipologia del museo con un sviluppo lineare, così adeguata ai musei urbani attuali. Una tipologia che riesce a far convivere con facilità un percorso principale che attraversa tutte le collezioni, con altri percorsi alternativi, che permettono una vista specifica di alcuni pezzi o collezioni, in autonomia.
Conseguentemente il percorso di visita si muove dall’alto verso il basso, su tre livelli di sale d’esposizione che accolgono le diverse collezioni seguendo un ordine discendente, mentre le vestigia archeologiche sono integrate in una nuova grande sala, relazionata al complesso attraverso una grande urna visitabile che contiene, e preserva, un frammento della memoria di Madrid, rendendo visibili i resti di ciò che altri videro in un tempo passato.
Attraverso l’uso del tempo come materiale da costruzione, l’architettura del Museo delle Collezioni Reali si mostra sobria, misurata ed austera, consapevole della responsabilità verso il contesto in cui si inserisce, ma anche coerente con il momento storico in cui è stata costruita. In questo modo la sua qualità spaziale è strettamente legata alla costruzione precisa di ambienti di notevole dimensione strutturale, che restituiscono dignità all’architettura per solidità, funzionalità e scala.
Le grandi altezze richieste dall’esposizione delle collezioni, così come le vaste dimensioni delle diverse aree, impongono inoltre al museo una strategia di composizione strutturale simile a quelle delle grandi infrastrutture contemporanee; questo connota la costruzione di un realismo pragmatico che evita esagerazioni formali dove non sono necessarie.
È per questo motivo che la struttura portante acquista una grande importanza nel definire l’organizzazione degli spazi del museo, che si configura nella ripetizione in serie di portali in cemento bianco, in cui la scansione del ritmo qualifica lo spazio in modo tale che struttura, illuminazione, viste e spazio possano superare i loro limiti e confondersi nelle loro caratteristiche, pretendendo di essere una cosa sola, pensata tutta insieme.
Come conseguenza della struttura interna, la costruzione della facciata del Museo si basa sull’uso ripetuto di grandi elementi di pietra che disegnano bande orizzontali di colonne di granito di grande dimensione. Dall’esterno la costruzione vuole sembrare un grande muro di contenimento quasi massiccio, un basamento per il Palazzo Reale e la Cattedrale, un muro abitato nel tempo, che stabilisce continuità e discontinuità con il contesto, mentre dall’interno, nelle sue vedute trasversali, si definisce come una cornice temporale per vedere i pezzi delle collezioni così come i giardini del Campo del Moro o la Casa del Campo.
Per finire questo breve testo e come illustrazione di quanto fin qui detto, mi piacerebbe ricordare le ultime parole pronunciate da Luis Mansilla ad una conferenza, qualche ora prima di morire a Barcellona nel febbraio 2012, che fanno presente, in un certo modo, una parte delle preoccupazioni condivise durante questi quindici anni di lavoro al Museo delle Collezioni Reali.
In quel momento, parlando in prima persona degli architetti, Luis ha detto: “sospetto che lo spazio, in realtà, non forma parte delle nostre preoccupazioni vitali, ma solo il tempo, che si espande e ci scappa tra le dita mentre cerchiamo di catturarlo…”
Ed è così che sulla Cornisa di Madrid il tempo si è venuto sgranando nei secoli e le costruzioni dell’uomo sono state scolpite dal lento scorrere del tempo in questo luogo intenso, limite urbano e origine della città, dove vissero tante persone, che poterono godere della vita di città così come della natura artificiale dei territori attigui al fiume Manzanares.
Va quindi riconosciuto che, in questo palinsesto urbano, in questa sovrapposizione di testi multipli, esisteva già ciò che era veramente importante, e il nostro lavoro in questo lungo processo è stato solo quello di renderlo visibile.
Emilio Tuñón è Professore Associato alla Escuela Tecnica Superior de Arquitectura di Madrid. E’ stato visiting professor alla GSD di Harvard, a Princeton, a Francoforte ed alla EPFL. Fondatore dello studio Mansilla & Tuñón e della rivista Circo, i suoi scritti, i loro progetti e le opere realizzate hanno ottenuto numerosi premi, riconoscimenti e pubblicazioni.