Abstract
Nel 1959, l'architetto greco Jan Despo (1903-1992) fu insignito del primo premio nella competizione per il Centro culturale di Atene, rimasto irrealizzato eccezion fatta per il Conservatorio di Atene. La sala circolare per concerti, danza e conferenze era l'edificio nodale di una ambiziosa composizione urbana: la sbalorditiva forma geometrica della sala, la funzione tipicamente composita e l'ingegnosa conformazione strutturale furono integralmente concepite all'interno di una "diathesis spaziale".
Articolo
diathesis: in greco, disposizione, condizione, da diatithenai, disporre: dia-+tithenai, disporre, collocare, sistemare.
«L'esistenza di uno spazio con una tale disposizione degli spettatori, è ciò che crea la consapevolezza che la città possieda un teatro»[1].
Architetto greco, teorico e professore, Jan Despo (1903-1992) ha prodotto un'opera estesa ma relativamente poco conosciuta[2]. Numerosi progetti di piani e disegni urbani in Grecia e Svezia — dove ha vissuto per un periodo di quindici anni — attestano la centralità della condizione urbana nella sua visione. Nel suo libro Die Ideologische Struktur der Städte (1966), l'architettura della città è esaminata come l'impronta materiale ideologica dell'attività sociale umana, mentre il ruolo dell'”Agorà” come centro economico e culturale della città è estesamente presentato in concisi casi studio. Alla fine degli anni '50 del XX secolo Jan Despo operò sia in Svezia che Grecia, dove, nella prima nazione[3], costruì una serie di centri culturali che determinarono il terreno di base per la sua unica corrispondente composizione in Grecia, la cui prima versione venne concepita nel 1959 come iscrizione al concorso per il Centro culturale di Atene. Il progetto di Despo ricevette il primo premio ma in definitiva non venne mai costruito, tranne l'edificio per il Conservatorio. Secondo le modifiche del 1966, il progetto per il Centro culturale di Atene includeva una sala per concerti, ballo e conferenze, una sala per rappresentazioni liriche e di prosa, un teatro all'aperto, una libreria, dei musei, e il Conservatorio di Atene. Una sala, come spazio racchiuso per incontri civili, costituisce l'elemento articolativo simbolico e strutturale di tutte le composizioni urbane di Despo — sia in Svezia che in Grecia. Reagendo duramente all'aspetto spettacolare della consueta sala ricreativa — a favore di un “Aktives Theater”, nel quale “la diathesis della messa in scena, insieme alla disposizione spaziale degli spettatori”, sono ugualmente riconosciute come componenti dell'evento teatrale — Despo esplora instancabilmente il modo in cui lo spazio teatrale può sostenere la loro mutua interazione. In due studi di progetto tra loro correlati per le città di Luleå e Atene, la sbalorditiva forma geometrica, la funzione composta in modo distinto e l'ingegnosa conformazione strutturale dei rispettivi edifici teatrali sono stati concepiti simultaneamente fin dall'inizio. Forma, funzione e struttura sono inseparabili: un cambiamento in ciascuno di questi tre aspetti comprometterebbe gli altri due. Attraverso un'attenta considerazione del teatro di Atene, si rivela una predisposizione spaziale comune a tutti questi audaci progetti urbani.
Diathesis formale. Il teatro per concerti, danza e assemblee del Centro culturale di Atene è l'edificio nodale della composizione proposta da Despo: “In primo piano, il disco bilanciato del centro congressi tenta, in bilico sopra la piazza, di sigillare ideologicamente l'intero complesso”[4]. L'edificio è progettato come uno spazio anfiteatrale per prosa e musica — senza le usuali richieste funzionali del palcoscenico di un teatro d'opera. La sua forma è un ritorno al passato all'idea dello spazio circolare teatrale precedentemente progettato per la città di Luleå, sebbene non senza cambiamenti: l'interno del teatro accoglie 3200 persone invece di 1000, mentre il diametro è stato aumentato da 55 a 75 metri. I supporti esterni visibili sui disegni preliminari sono stati subito abbandonati. L'architetto elabora ciò che emergeva nei disegni in prospettiva per Luleå, ma che allora erano strutturalmente irrealizzabili: la creazione di “un disco sollevato sopra una piazza liberata”, un foyer circolare attorno a uno spazio teatrale circolare, il cui cono tronco è “in bilico”. Nell'analizzare la Berliner Philarmonie (1963), Despo esprime una sincera ammirazione[5] per l'interno, ma aggiunge: “Quando qualcuno vede quest'opera dall'esterno, segue il disappunto”[6]. Per di più, “un teatro di 3000 o 5000 posti è problematico di per se”[7]. Uno spazio anfiteatrale di considerevole dimensione la cui unità interiore – che H. Scharoun realizza – dovrebbe essere espressa all'esterno, è “problematico”: ossia è un problema da risolvere. Ampi spazi interni in teatri progettati per un vasto pubblico sono solitamente dominati da ingombranti esterni, chiusi rispetto a ciò che si trova nei dintorni. L'unità intrinseca dello scoperto, antico teatro greco, integrato in una pendenza naturale, era simultaneamente sia interno che esterno. Nel suo progetto per Atene, Jan Despo eleva la cavea teatrale al di sopra del suolo allo scopo di creare uno spazio pubblico di accoglienza al di sotto, mentre la piazza protetta funziona come uno sfondo liberato per la proiezione della forma assoluta, a sbalzo, del teatro: una cavea circolare teatrale coperta. La loro intensa opposizione formale segue una domanda di unità tra l'ambiente preesistente e la costruzione realizzata; non attraverso un cielo libero, come nell'antico teatro scoperto, ma tramite un suolo libero.
Diathesis funzionale. Lo spazio teatrale resta sospeso al di sopra della piazza, al di sotto del quale si trovano cinque livelli di supporto. Sei scale principali – quattro lungo i piloni diametralmente opposti e due liberamente disposte al primo livello del foyer. L'altezza, dalla biglietteria al livello dell'entrata è di 15 metri, mentre il percorso d'ingresso è per la maggior parte all'aperto. Despo stacca il disco da terra, separando vigorosamente i livelli di sostegno dallo spazio teatrale per se. Il tortuoso percorso verticale tra i due è prolungato di proposito e svela gradualmente la plasticità dell'edificio. Lo spazio teatrale stesso consiste di due auditori da 2200 e 1000 posti rispettivamente, che operano anche autonomamente. Essi sono semicircolari, ma di differenti inclinazioni allo scopo di connettersi al livello del foyer circolare. Questi due spazi non sono soltanto spazi complementari per eventi musicali. L'ammirazione di Despo per il piccolo doppio teatro di Sant’Erasmo a Milano (1953-1954), di Carlo de Carli, dove il palcoscenico scompare e l'orchestra diviene dominante, favorisce la sua visione di uno spazio teatrale unificato, dove non è tanto l'azione drammatica a dominare, ma il logos – discorso come tono metrico – risultando in un annullamento dall'interno dell'apparenza spettacolare del teatro.
Diathesis strutturale. L'ingegnosa soluzione strutturale è di per se la soluzione al problema posto dalla dimensione del pubblico. In quanto spazio teatrale da 3200 posti, con l'auspicabile unità scultorea tra la sua conformazione interna ed espressione esterna, il teatro comprende semplicemente una cavea rinforzata di cemento. Due piloni diametralmente opposti, consistenti in sei muri laterali, sono collocati eccentricamente. Il cono tronco è sostenuto da questi muri, e da due ulteriori muri disposti in modo radiale. La disposizione eccentrica dei piloni - che sono connessi da una coppia di travi pretese con una luce di 45 metri - è dettata dalla necessità di controbilanciare il carico del teatro più ampio, mentre il cono del teatro minore lavora sul piano statico come una mensola. I piloni si distendono lungo tutta l'altezza dell'edificio, con le travi che li connettono che mostrano una luce crescente. Iniziando da 15 metri fino al bordo rimanente dei muri, queste travi terminano con un'altezza di 3 metri che definisce il sottopalco. Il tetto è “teso sostenuto da un anello di cemento rinforzato”[8]. Due travi gemelle pretese tra i piloni rappresenta la sua principale struttura di sostegno, mentre sei travi trasversali creano una griglia ottagonale sopra le due orchestre, attraverso cui si estende la distanza verso i bordi semicircolari dei due auditori. Il tetto, necessariamente ampio e teso, è la realtà strutturale di un unificato interno teatrale e della natura intrinseca da del suo esterno sospeso. Il progetto è realizzabile solamente quando lo spazio per l'azione rinuncia ai meccanismi del palcoscenico, quando il predominio del palcoscenico agisce mentre lo spettacolo si placa.
“Ciò che noi chiamiamo una invenzione sono spesso catene auto-imposte.[9]“
Dispositio è il secondo canone della retorica classica, essendo il primo l'inventio. Questi due principi sono essenzialmente interconnessi. Nel 1923, il diciannovenne Despo studiava al Bauhaus di Weimar, unico studente greco della scuola[10]. Visitava spesso l'archivio di Friedrich Nietzsche. In una delle sue prime opere il filosofo tedesco, riferendosi al Teatro e all'antica metrica greca invention come “continue catene auto-imposte”, scrive: ‘‘Danzare in catene: sii duro con te stesso, ma nello stesso tempo dai l'impressione che sia qualcosa di facile, di semplice”[11]. Walter Gropius fu insegnante di Despo al Bauhaus. Esaminando la pianta del teatro di Piscator durante la seconda fase della sua trasformazione, quando il proscenium circolare è già stato rovesciato, si può osservare che il palco-orchestra giace esattamente al centro dell'ellisse. Questa pianta inventiva è sorprendentemente semplice, un doppio anfiteatro ellittico e un'orchestra, senza sedili-cassa. Despo deve averlo visto di prima mano nel 1926[12]. In una lezione del 1963 sul teatro borghese del diciannovesimo secolo, Despo notò che la sua composizione ideologica (espressa tramite la divisione dell'auditorium tra panche e sedili derivata dall’appartenenza di classe) — che rifletteva l'idea delle elites – rappresenta un approccio antiquato, non più appropriato ai tempi: “L'uguaglianza spirituale richiesta dal teatro di avanguardia crea lo spazio unificato”[13]. Despo aggiunge: “La gente non desidera vedere molta altra gente sederle vicino. Io ho perfino sentito degli stranieri meravigliarsi di come fosse possibile che negli antichi teatri greci si riunissero 15.000 persone, guardandosi l'una con l'altra. Questo è esattamente il punto, che noi non possiamo capire questo, questo necessariamente punta alla nostra valle”[14]. Anche nei teatri d'opera e di prosa Despo non fa mai uso di logge, mentre per il teatro antico osserva: “Non è vero che la curvilinearità delle file di spettatori è concepita in modo che essi possano vedere meglio. Si riesce a vedere meglio nel cinema, guardando verso una direzione, guardando le nuche degli altri – ma questo non crea l'interazione, la cooperazione dello spettatore con lo spettacolo”[15].
Per varie ragioni politiche, economiche e sociali, nessuno degli edifici teatrali circolari di Luleå e Atene venne realizzato. Questi progetti rappresentano opere di grande plasticità, contrapposte al loro campo urbano senza alcuna intenzione di adattamento organico: due invenzioni austere, geometricamente autonome. La loro forza emerge solo tramite una consapevolezza della natura della disposizione umana alla quale esse invitano, la sua ritmica diathesis. Solo la natura sociale di questa disposizione, che non teme grande plasticità – un'impressione della quale può essere data dal prolungato, lento movimento avvolgente attorno alle scale a mensola del teatro di Atene – potrebbe avere permesso la loro realizzazione. Come le stesse opere di parola e musica unite con questa disposizione umana nel corso del passato, l'accettazione, l'affermazione della loro realizzazione richiederebbe un tempo diverso dal nostro. Un altro ritmo, principalmente più lento: “Pochi attori, maschere, nessun tratto individuale. Enormi dimensioni, quindi grande plasticità, tempi lenti. Scene senza azione. L'Andante prevale.”[16]
Note
1. Despotopoulos, I. (1963). 5th recorded lecture in School of Architecture, NTUA. Athens: Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum.
2 La sua opera è oggetto di studio attraverso quattro ricerche di dottorato.
3 Per le città di Luleå, Hudiksvall, Strömsnäsbruk, Hällefors, Viskafors and Ludvika.
4 Despotopoulos, I. (1996). Η Ιδεολογική Δομή των Πόλεων, Athens: NTUA Press. p.197.
5 Despotopoulos, I. (1963). 4th recorded lecture in School of Architecture, NTUA. Athens: Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum.
6 Op.cit.
7 Op.cit.
8 Despotopoulos, I. (1962). «Το Πνευματικό Κέντρο της Αθήνας». Νέες Μορφές, 1/1962 p. 9.
9 Nietzsche, F. Διόνυσος κατά Εσταυρωμένου, (2009) Athens: Katarti, p.359. L'estratto proviene dalle note sul teatro greco antico.
10 Jan Despo proseguì i suoi studi presso la Technische Universität Hannover (1924-28).
11 Op.cit. p.359.
12 Despotopoulos, I. (1996) Η Ιδεολογική Δομή των Πόλεων, Athens: NTUA Press. p.190
13 Despotopoulos, I. (1963). 5th recorded lecture in School of Architecture, NTUA. Athens: Neohellenic Architecture Archives, Benaki Museum.
14 Op.cit.
15 Op.cit.
16 Nietzsche, F., Op.cit. p.171.
Tilemachos Andrianopoulos. Nato ad Atene (1974), Diploma in Architettura presso l'Università tecnica nazionale di Atene (2001), Metropolis Msc in Architettura e Cultura urbana, CCCB - Universitat Politècnica de Catalunya (2006). Co-fondatore di Tense Architecture Network_TAN (2004), una rete di collaboratori e opere di architettura. La pratica professionale comprende proposte premiate tra le quali diversi progetti di residenze: l'abitazione a Megara è stata nominata per il premio Mies van der Rohe (2015) e l'abitazione a Sikamino è stata inclusa nelle candidature (2013). Membro del gruppo multidisciplinare Greenproject (2010), membro del Do.co.mo.mo (2015), candidato Ph.D., NTUA (2012). Docente nella Scuola di Architettura, NTUA (2013).