Abstract
Il testo indaga le relazioni tra procedure compositive e modalità costruttive, in particolare ambisce a ribadire il potenziale espressivo della costruzione, riaffermando la tettonica come principio interno all’architettura stessa, in antitesi alla tendenza contemporanea di derivare la legittimità dell’opera da discorsi estranei ad essa.
Negli ultimi decenni l’architettura è stata ridotta a un campo meramente artistico: questa tendenza, da parte delle firme più illustri del panorama internazionale, può essere motivata certamente dal privilegio dell’arte di prescindere dai limiti pratici della costruzione nonché da quelli funzionali, tecnici ed economici. Nella introduzione alla versione italiana di Studies in tectonic culture di Kenneth Frampton, Vittorio Gregotti esprime un punto di vista chiaro sul ruolo dell’opera e sul conflitto tra arte e tecnica che oggi domina la nostra disciplina «L’unità greca della tekné si è scissa in una relazione conflittuale fra tecnica e arte, tra espressione e oggettività, mentre il compito dell’opera è restituire per mezzo dell’arte l’unità» (1).
In tal senso, per indagare la relazione tra i due poli dell’espressione e dell’oggettività, può essere utile una riflessione sul ruolo della costruzione all’interno dell’architettura contemporanea, partendo dalla natura del termine tettonica, chiarendo le relative declinazioni e il rapporto con il termine stereotomia, nonché le connessioni che tengono insieme le modalità di costruzione dell’architettura e le relative procedure compositive: quella sintattica, per elementi distinti, e quella paratattica additiva o ipotattica che lavora per masse giustapposte.
Il termine tettonica deriva del greco tekton e sta a indicare il carpentiere, il costruttore, il falegname e in particolare è legato all’attività pratica di comporre elementi lignei. Fra il 1844 e il 1852 Karl Bötticher pubblica La tettonica dei Greci (2) volume nel quale vi è il tentativo di usare il termine con un significato più ampio che contempla la composizione dell’intero sistema del tempio greco, che si fa testimone attraverso il decoro della memoria costruttiva in legno del tempio stesso e facendo un’importante differenza tra la forma nucleo, Kernform, e la forma rappresentativa, Kunstform.
Nello stesso periodo, Gottfried Semper pubblica I quattro elementi dell’Architettura (3) in cui elenca gli elementi “fondamentali” - il focolare, il tetto, il recinto e il terrapieno - e classifica l’arte del costruire secondo due processi fondamentali: la tettonica, che corrisponde, nella capanna caraibica reale, all’intelaiatura che ne racchiude la matrice spaziale e la stereotomia, corrispondente al basamento costituito di elementi pesanti. «Attorno al focolare si raccoglievano i primi gruppi, si strinsero le prime alleanze, le primitive concezioni religiose si codificarono in consuetudini culturali. In tutte le fasi dello sviluppo della società esso costituisce il centro sacro, attorno al quale tutto si ordina e si configura. È il primo e principale, l’elemento morale dell’architettura. Attorno a esso si concentrano altri tre elementi, in un certo qual modo le negazioni difensive, i protettori dai tre elementi naturali ostili alla fiamma del focolare: il tetto, il recinto e il terrapieno» (4).
Il termine stereo-tomia è un composto derivante dall’unione di stereos, che significa solido e tomia che indica l’azione del tagliare: dunque definisce l’atto della sezione di un elemento non ancora di forma compiuta.
Le due tecniche costruttive lasciano intendere, in maniera chiara, la diretta relazione con altrettante procedure compositive. Nel caso della tettonica, la composizione avviene per sintassi di elementi definiti per forma, materiale, dimensione, messi in relazione attraverso la ripetizione, la variazione, la gerarchia, al fine di rendere evidente il sistema di sforzi orizzontali e verticali. Nella composizione stereotomica, il problema compositivo consta della combinazione di volumi autonomi ma non ancora definiti attraverso l’accostamento, il contrasto o la compenetrazione, in cui l’organismo architettonico si fa testimone di un diverso sistema di sforzi, relativi esclusivamente alla compressione. Il tema dell’identità degli elementi e quello delle masse e dei volumi puri sono al centro del progetto stilistico dell’Architettura Moderna (5) e in particolare del lavoro di alcuni architetti come Louis Kahn o Mies van der Rohe. In Tettonica e Architettura, Kenneth Frampton afferma che il costruito è frutto di tre elementi convergenti: topos, typos e tettonico. Il tipo si fa portatore della forma e interpreta così il luogo, alla tettonica viene affidato il compito di rappresentare quella forma e in questo modo, come ricorda Antonio Monestiroli, «La costruzione mette in opera un concetto esterno a essa, rivela un senso che appartiene al tipo e che tramite essa risulta evidente» (6).
La costruzione in quanto principio ontologico dell’architettura concorre dunque, assieme al tipo che realizza il tema e attraverso la composizione, a determinare il carattere degli edifici. È di facile intuizione, però, che non tutti gli elementi e le forme sono idonei a rappresentare l’identità e l’individualità dei manufatti. La scelta delle forme necessarie, la grammatica e la loro disposizione, la sintassi, rappresentano il punto di partenza da cui muovere alla ricerca di «nuove sintesi estetiche adeguate alle nuove esigenze e pulsioni contemporanee, non per registrarle semplicemente, ma per ricondurle a un ordine possibile oltre che auspicabile» (7). La volontà non è certo quella di ridurre l’edificio a mero atto costruttivo «ma chiarire i legami tra gli elementi architettonici, le soluzioni statico costruttive che tali edifici esigono e l’idea architettonica che li sottende nel tentativo di segnalare e approfondire le svolte rispetto al problema della costruzione e delle tecniche che queste architetture fanno intravedere» (8). La dispositio, intesa come “appropriata collocazione delle cose” evidenzia un aspetto importante della composizione in termini geometrico-topologici. Il dimensionamento di una trave, a titolo esemplificativo, non dipende esclusivamente dalla sua luce, ma soprattutto dalla sua frequenza nell’ordito e quindi dalla frequenza degli appoggi, oltre che dal materiale con il quale è costituita.
Una riflessione, anche se breve, va fatta sul ruolo degli elementi dell’architettura, a partire dalle differenze proposte dalla teoria di Semper nell’individuare determinate parti, riconoscibili, dell’edificio. In particolare il basamento, che contiene l’atto di fondazione dell’architettura e riconduce alla logica della stereotomia, il muro che può avere funzione strutturale o solo conformativa, i sostegni che attraverso l’orditura delle travi sorreggono il tetto e quest’ultimo che «rappresenta l’elemento che certamente concorre più degli altri a stabilire il luogo dello stare» (9).
Una sintesi importante del concetto che proviamo qui ad esprimere è sintetizzato in maniera efficace nella nota definizione di architettura di Mies van der Rohe: «Chiarezza costruttiva portata alla sua espressione esatta. Questo è ciò che io chiamo Architettura» (10). La prima parte sta a sottolineare l’aspetto razionale della costruzione in cui ogni elemento trova il giusto posto, la seconda invece è quella che riguarda in maniera specifica l’architettura: l’espressione esatta di cui parla Mies è ciò che porta la costruzione a diventare Architettura.
La produzione architettonica contemporanea, o almeno una fetta consistente di questa, sembra aver perso completamente il suo fondamento primo, la costruzione, sottostando a logiche del tutto diverse da quelle interne all’architettura, come il mercato, la pubblicità o il design. Il fine comune è diventato la seduzione, la stravaganza, l’eccentricità; la produzione di immagini dell’architettura ha reso concreta l’idea che Rem Koolhaas illustrava, ormai quasi 20 anni fa, della bigness (11): l’architettura si smaterializza a favore di un tecnicismo esasperato che controlla il nucleo dell’edificio, completamente slegato dall’involucro che offre alla città l’apparenza di un oggetto. Quanto è lecito oggi parlare di forme espressive legittime, ma soprattutto ha ancora valore operare una distinzione, quella che Bötticher fa tra Kernform e Kunstform, tra forme ontologiche e forme rappresentative?
Secondo Frampton, il ritorno alla tettonica, come aspetto fondamentale della pratica dell’architettura, rappresenta un potenziale arricchimento che non solo resta aperto a un ampia gamma espressiva ma ha anche la capacità di essere strumento critico «per resistere all’onnipresente tendenza a ridurre l’architettura a un prodotto commerciale più spettacolare di altri per essere travestito da opera d’arte» (12).
Note
1. V. Gregotti, “Introduzione”, in K. Frampton, Tettonica e Architettura, SKIRA, Milano, 1999, ed. orig. Studies in Tectnoic Culture: The Poetics of Construction in Nineteenth and Twentieth Century Architecture, MIT press, Cambridge, 1995.
2. K. Bötticher, Die Tektonik der Hellenen, Postdam 1844-1852, trad. parziale in F. Dal Co (a cura di), Teorie del moderno, Laterza, Roma-Bari, 1985.
3. G. Semper, Die vier Elemente der Baukunst, Braunschweig, 1851 trad. ital. in, H. Quitzsch, La visione estetica di Semper, Milano, Jaca Book, 1991.
4. Ibidem.
5. R. Capozzi, “Tettonica vs stereotomica? Del discreto e del continuo tra costruzione e composizione", in C. D’Amato (a cura di), Il progetto di Architettura fra didattica e ricerca. Vol. 4. La costruzione, Polibapress, Bari, 2011, p. 1879.
6. A. Monestiroli, “Il tetto e il recinto”, in Id., La metopa e il triglifo, Laterza, Bari, 2002.
7. S. Bisogni, Introduzione alla ricerca Murst, Funzione e Senso, 2003, cit. in R. Capozzi, Le architetture ad Aula: il paradigma Mies van der Rohe, CLEAN, Napoli, 2011.
8. Ibidem.
9. R. Capozzi, L’idea di riparo, CLEAN, Napoli, 2012.
10. W. Blaser, Mies van der Rohe. Lehre und Schule, Birkhäuser, Basilea, 1977, cit. in A. Monestiroli, La metopa e il triglifo, Laterza, Bari, 2002.
11. R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, Macerata, 2006.
12. K. Frampton, Costruzioni pesanti e leggere. Riflessioni sul futuro della forma architettonica, in Lotus n° 99, 1998.
Mirko Russo è Dottorando in Architettura, area tematica: Il progetto di Architettura per la città, il paesaggio e l'ambiente, presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Si laurea con lode nel 2013, con una tesi in Progettazione architettonica dal titolo “Metodologie e riferimenti per la costruzione di un’ipotesi urbana a Ling Gang new city”, relatore prof. Franco Mariniello, correlatori Renato Capozzi e Federica Visconti. Collabora ai corsi di “Composizione architettonica e urbana” tenuti dai proff. Renato Capozzi e Federica Visconti.