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Maria Pia Amore

Progetto per un'eredità complessa

L'ex Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli

M.P. Amore, A. Arenga, Tesi di Laurea in Architettura, CdL Arc5UE, Università di Napoli Federico II, a.a. 2012-2013, relatore R. Amirante, correlatore A. Agostino. Gli spazi ipogei di progetto. Disegno della tesi di laurea

M.P. Amore, A. Arenga, Tesi di Laurea in Architettura, CdL Arc5UE, Università di Napoli Federico II, a.a. 2012-2013, relatore R. Amirante, correlatore A. Agostino. Gli spazi ipogei di progetto. Disegno della tesi di laurea

Abstract
Il Leonardo Bianchi è stato occasione per ragionare sul valore e sul peso della memoria di una particolare forma del patrimonio culturale in abbandono all’interno della città contemporanea. La questione del progetto come trasformazione dell’esistente è stata affrontata tentando di preservare, con riferimento alle provocatorie posizioni teoriche di Rem Koolhaas, le caratteristiche architettoniche, tipologiche, costruttive e funzionali del costruito che determinano l’unicità dell’identità di questo patrimonio in abbandono. In una logica processuale, attraverso la proiezione di azioni mirate, si è calibrata una possibile trasformazione in grado di relazionare spazi e allo stesso tempo di preservare i rapporti con la memoria e i caratteri architettonici, innescando dinamiche di modificazione a scale diverse. La posizione ai margini della città, la natura particolarmente invalicabile del recinto, la complessità funzionale della cittadella, il rapporto con la geografia naturale, l’impianto che organizza, il rapporto tra spazi aperti e spazi chiusi, il ritmo/ripetizione degli elementi, le sequenze e le gerarchie interne, costituiscono l’identità di un’eredità a cui la tesi sovrascrive nuovi significati.

Testo
Il lavoro di tesi in progettazione architettonica e urbana 1 sull’ex manicomio provinciale di Napoli si incardina in un lavoro di ricerca più ampio e si avvale di contributi diversi e multidisciplinari. Il singolare caso di studio è stato occasione per ragionare sul valore e sul peso della memoria di una forma del patrimonio culturale in abbandono all’interno della città contemporanea, ritenendolo emblematico rispetto ad una serie di temi in cui si articola, oggi, l’alternanza di permanenza e mutamento. All’interno di uno spazio contraddittorio, tipico del territorio del contemporaneo, che vede di fronteggiarsi due tendenze differenti – da un lato una tendenza che equivoca la dimensione della memoria come dimensione di puro immobilismo conservatore, dall’altro l'assalto indiscriminato alla memoria, la trasformazione che diventa distruzione indifferente del passato urbano – si è delineata una strategia progettuale capace di interpretare in maniera positiva i temi della tutela di un patrimonio per il quale una dimensione di “cambiamento” è inevitabile.
Il Leonardo Bianchi, mastodontico complesso quasi interamente dismesso che sorge su un altopiano a Nord-Est del centro antico di Napoli, nella più vicina periferia, in un’area delimitata dall’Albergo dei Poveri, dalle pendici del parco di Capodimonte e dall’aeroporto internazionale di Capodichino, si configura come un tassello di città concluso, introverso, separato dal tessuto urbano. L’area occupata dall’impianto originario è inscrivibile in un quadrato di 370m di lato; l’ingresso principale è posizionato sul fronte di Calata Capodichino, mentre un ingresso di servizio è collocato sul lato opposto, al livello della strada. Lo schema quadrato dell’impianto, fortemente simmetrico, era distinto in una spina centrale su cui si distribuivano i servizi comuni e due rettangoli laterali che ospitavano i padiglioni di degenza. Simbolicamente, tale schema rappresentava un percorso “rituale”, a partire dal superamento del dislivello da Calata Capodichino, che segnala il confine tra la “città dei sani” e la “città dei folli”, il fuori e il dentro. Due fasi di ampliamento – una prima coerente con i caratteri e l’assetto della struttura originaria e una seconda più massiccia e discordante – e un lungo abbandono, avviato con la legge n°180 del 1978, hanno determinato il desolante stato di fatto. Quasi l’intero complesso è dismesso: l’edificio di testata ospita la biblioteca scientifica e il polo archivistico e il padiglione intitolato a Michele Sciuti, costruito nella seconda fase di ampliamento, sul fronte opposto a Calata Capodichino, ospita alcuni uffici del 118 e, nel cortile, un’area di sosta per le ambulanze.
Nell’impossibilità di definire un progetto di recupero integrale e/o univoco, la logica di intervento ha perseguito l’obiettivo di smembrare il rigido impianto del Bianchi, di destinarlo a funzioni dedicate alla salute intesa in maniera più ampia, proponendo una sequenza di fasi di realizzazione compatibili con tempi e risorse economiche. Con riferimento alle teorie postmoderne elaborate dall’architetto Rem Koolhaas, ci si è posti nel limite superiore dell’intervallo [non intervento; trasformazione], proponendo un cambiamento come strategia di conservazione attiva, in una prospettiva innovativa di “ricostruzione”.
Si sono delineate tre operazioni per attuare questo cambiamento: reinventare il concetto di cura; invertire il rapporto pieno-vuoto; smontare la logica gerarchica dell’impianto.

Reinventare il concetto di cura
Non potendo immaginare per questo complesso una dismissione generica, si è ricercata una dimensione il più vicino possibile all’originaria. Nella scelta di una nuova destinazione d’uso, si è ipotizzato di immettere nuovamente questa struttura nella rete di attrezzature medico-sanitarie: queste si intendono, in un’ottica più ampia, orientate alla ricerca del benessere e della salute psico-fisica, attraverso attività terapeutiche, ricreative e socio-assistenziali. L’intento è di trasformare una struttura manicomiale in una nuova forma di struttura per la sanità: una città della salute che si rivolga ad una serie di “disabilità” diversificate e non più esclusivamente a quella mentale. L’ipotesi è che questa città possa crescere in fasi successive, “costruendosi” compatibilmente alle possibilità economiche di chi ne detiene la proprietà. L’input è stato fornito dall’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 che persegue l’obiettivo di realizzare nel padiglione “Sciuti” una Banca Regionale di Tessuti Umani - struttura sanitaria pubblica che conserva e distribuisce i tessuti che verranno trapiantati, certificandone l’idoneità e la sicurezza. Per convertire gli spazi dello “Sciuti” – realizzato, con caratteri tipologici e tecnologici differenti dai precedenti padiglioni, nella seconda fase di espansione del Bianchi, nell’area esterna al recinto dell’impianto originario – alla nuova specifica funzione di Banca, dedotti i criteri di dimensionamento e di distribuzione degli ambienti dai manuali e dalla normativa di settore, ogni livello è stato suddiviso in un’area prettamente clinica, con due laboratori e le rispettive banche per la conservazione dei tessuti trattati, e un’area destinata all’interazione con il pubblico. Il piano terra dell’edificio, continuando ad ospitare gli uffici del 118, viene destinato all’ attività di ricerca e sensibilizzazione per trapianti e donazioni. L’area di sosta delle ambulanze viene ricollocata a Nord dell’edificio per liberarne la corte interna.

Invertire il rapporto pieno – vuoto
Fotografando uno stato di fatto in cui la vegetazione – un tempo verde dei giardini ordinati che doveva terapeuticamente dominare il disordine delle menti malate – domina l’architettura del Bianchi, si è data priorità agli interventi sugli spazi aperti, depotenziando il ruolo del costruito. Innescato il meccanismo di recupero attraverso la realizzazione della Banca dei Tessuti, l’intero complesso del Bianchi potrebbe essere ripensato attraverso le sue aree esterne da destinare a funzioni quali dal l’agricoltura sociale, i giardini terapeutici, il gioco e lo sport: la promozione – attività di pertinenza di una Azienda Sanitaria – di uno stile di vita sano, che va dall’attività fisica a una sana alimentazione, può incontrare così una dimensione sociale urbana. Recuperare il verde del Bianchi, riconnettendo il complesso a scala urbana con le aree del sistema che comprende il Bosco di Capodimonte, l’Orto Botanico, il Vallone San Rocco del Parco delle Colline, risulta oltretutto un’operazione economicamente meno impegnativa dell’intervento sull’edificato, sebbene la superficie da esso occupata sia superiore a quella occupata dal costruito. Le funzioni per la salute individuate vengono innestate nelle aree del Bianchi in base al tipo di accessibilità e alle condizioni interne di maggiore o minore edificazione.
Conseguenza del recupero degli spazi aperti è la possibilità di recuperare anche parte dell’edificato. Per i percorsi si delineano due modalità di intervento: si intendono “canonicamente restaurati” i camminamenti che si dipartono dall’edificio di testata ospitante l’archivio, a rafforzarne il ruolo di portatore di memoria, mentre i restanti percorsi, messi in sicurezza, vengono lasciati a rudere. Per i padiglioni si è scelto di intervenire in prima istanza solo su quelli appartenenti all’impianto originario. In virtù delle funzioni previste nelle aree verdi, si sono individuate due tipologie di recupero. La prima declina il recupero come “rifunzionalizzazione”, inserendo all’interno delle architetture esistenti funzioni compatibili come quella residenziale. Con tale logica vengono recuperati gli edifici che insistono sull’area prossima al bordo limitato da via Umberto Maddalena, caratterizzata dalla possibilità di godere di un accesso indipendente. La seconda modalità prevede invece operazioni di minimo intervento volte a consentire l’uso di questi spazi in maniera innovativa, sul modello del Matadero di Madrid e del Parco Dora di Torino, interpretando, secondo nuove istanze progettuali, l’esistente come materiale fisicamente disponibile e non vincolato ad un’immagine storica. A titolo esemplificativo, nell’area destinata alla realizzazione degli orti urbani, un padiglione potrebbe essere recuperato per assolvere alla funzione di mercato coperto e deposito: il recupero declinato come “riuso” reinterpreta i padiglioni come estensione dello spazio esterno, lasciandoli disponibili ad usi contemporanei e/o temporanei, “aperti” ma coperti, senza gli infissi, non climatizzati.
Smontare la logica gerarchica dell’impianto
Nel tentativo di alterare la percezione dell’impianto – che nella rigida configurazione originaria impone al visitatore un percorso obbligato, percepito come una sorta di prospetto progressivo – si definisce un nuovo sistema di ingresso, con accesso dal basamento su Calata Capodichino, che consente una più libera percorrenza del complesso e rende più diretto il rapporto con il contesto. Dal nuovo ingresso si accede attraverso due percorsi ipogei al padiglione “Sciuti”, già Banca dei Tessuti, e all’edificio delle cucine, appartenente all’impianto originario, situato al centro del lotto, stravolgendo la logica gerarchica di percorrenza dell’impianti. All’intervento “minimo” dei due percorsi diretti si aggiunge l’ipotesi di realizzare spazi ipogei che articolino e arricchiscano il percorso con una funzione ricreativa e culturale dedicata alla conoscenza del corpo umano da un lato (cucina) e dall’altro con attività dedicate al benessere e a funzioni di svago e di quartiere (“Sciuti”). Queste cavità si configurano come il negativo degli spazi vuoti soprastanti, così che, se da un lato lo spazio ipogeo consente un certo distacco dalla realtà e dunque dalla memoria “inibitoria” del Bianchi, dall’altro questo rapporto formale comune ai due piani ne garantisce la connessione. Alcuni ambienti interrati si configurano come corti sottoposte alla quota di calpestio del Bianchi, offrendo inediti punti di vista del complesso e garantendo condizioni di illuminazione ed areazione altrimenti impossibili. Inoltre, molti padiglioni dell’ex manicomio hanno un piano interrato: non si esclude la possibilità di poter intercettare questi piani e di sfruttarli come punti di risalita.
In sintesi è possibile affermare che il progetto di recupero dell’ex Ospedale Psichiatrico “Leonardo Bianchi” che la tesi delinea persegue un’idea di cambiamento che si trasferisce nel contesto partenopeo attraverso un concetto di porosità. Essa è intesa come: porosità delle funzioni per la cura, attraverso le attività nelle aree verdi e nel padiglione “Sciuti”; porosità del complesso architettonico, intesa in senso fisico, sia nella realizzazione degli spazi ipogei, sia nelle modalità di recupero dell’edificato; porosità degli attori economici e sociali, già coinvolti o da coinvolgere nelle fasi successive del lavoro di ricerca.


1 Il contributo traccia i temi salienti del progetto, redatto con A. Arenga, per la tesi di Laurea in Architettura, CdL Arc5UE, Università di Napoli Federico II, a.a. 2012-2013, relatore R. Amirante. Il lavoro di tesi è stato svolto con la correlazione di A. D’Agostino, curatrice del numero della rivista. Il taglio del testo è tale da poter essere considerato un approfondimento progettuale sulle questioni già trattate da A. D’Agostino nei contributi di questa rivista. Pertanto non si riportano in bibliografia autori e testi condivisi.

Bibliografia
Basaglia F., (1968), L’Istituzione negata, Torino.
Capolongo S., (2006), Edilizia ospedaliera. Approcci metodologici e progettuali, Milano.
Ciorra P., Marini S. (a cura di), (2011), Recycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta, Milano.
Koolhaas R., (2012), Cronocaos, in Dromos. Libro periodico di architettura, Genova.
Li Calzi E., Fontana S., Sandolo A., (2002), Per una storia dell'architettura ospedaliera, Milano.
Magnano Lampugnani V. (a cura di), (1988), Sotto Napoli. Idee per la città sotterranea, Napoli.
Martinazzoli G., (1995), Gli impianti ospedalieri. Guida alla progettazione integrata, Roma.
Verde P., (1984), Manuale di edilizia sanitaria, Roma.


Biografia
Maria Pia è un architetto. Nel 2014 consegue con lode la laurea e dal 2015 è dottoranda in progettazione Architettonica e Urbana presso il Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II" con una ricerca che indaga la relazione tra gli ex ospedali psichiatrici e la città contemporanea. Ad integrazione dell'attività di ricerca, è tutor di Laboratori di Progettazione architettonica e urbana. Ha partecipato a numerose ricerce accademiche, workshops di progettazione e conferenze.

Concept delle modalità di intervento per i percorsi coperti e i padiglioni. Disegno della tesi di laurea - ZOOM

Concept delle modalità di intervento per i percorsi coperti e i padiglioni. Disegno della tesi di laurea