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Olindo Caso
Nella rigenerazione di aree
industriali dismesse si osserva oggi una tendenza consistente nel promuovere
processi virtuosi di riqualificazione attraverso una ricercata “mixitè”
caratteriale fatta di cultura, temporaneità, effimero, flessibilità. Questa
fenomenologia, osservabile nella trasformazione di aree urbane di cittá quali Amsterdam,
Rotterdam e Copenaghen, fa emergere il ruolo della comunità locale nell'innescare
processi positivi di valorizzazione a cui i pianificatori urbani sembrano
lasciare volentieri spazio. Ne derivano luoghi di/in transizione che ospitano
funzioni a prevalente carattere culturale, promosse da un nuovo tipo di attori
“2.0” come start-up, industrie creative, giovani imprenditori e operatori
culturali. L’area dismessa industriale mira a trasformarsi, quindi, in una
centralità urbana attraverso azioni graduali auto-innescanti, pianificate nel
rispetto di cronoprogrammi a medio lungo termine. Questa politica, sostenuta da
strumenti urbanistici adeguati, contribuisce alla riattivazione del potenziale
latente della risorsa spaziale dismessa, in attesa di progettualità strutturali
traguardanti interventi di rigenerazione permanenti.
A partire dagli anni '90 le strategie di
sviluppo basate sulla cultura come fattore funzionale prevalente sono state
ampiamente applicate soprattutto al fine della rigenerazione di aree urbane degradate
o dismesse (Miles & Paddison, 2005). Queste strategie conferiscono
alla cultura la capacitá di creare valore e spazi urbani significativi,
fungendo da áncora per lo sviluppo della vita delle città. Edifici culturali
come auditorium, teatri, musei, gallerie d'arte, centri creativi e più recentemente
le biblioteche pubbliche (queste ultime in grado di suscitare un maggior
coinvolgimento diretto delle persone) sono progettati di conseguenza come
centralità urbane e punti di interesse collettivo. Allo stesso tempo questi
edifici, spesso, supportano la riqualifica urbana imponendosi come interventi
architettonici di grande impatto, esplicitamente destinati a diventare
catalizzatori di investimenti e di flussi turistici – si pensi al Guggenheim di
Bilbao (effetto "Bilbao") o alla Tate Modern a Londra (Plaza, 2008). In
questo senso essi incarnano strategie di “branding” basate sul sensazionalismo,
bellamente imponendo un nuovo significato esplicito al contesto urbano da
rigenerare. Tuttavia questo tipo di strategie toccano solo alcune corde della
potenzialità della (ri)costruzione culturale dell'identità urbana postmoderna e
delle socio-economie correlate (Plaza, 2008; Evans, 2009),
dimostrandosi spesso sterili: tentativi di replica di strategie alla “Bilbao”
hanno prodotto nel tempo risultati sempre più scadenti (Abrahams, 2016).
Osservando il paesaggio della
dismissione industriale i processi di riqualificazione centrati sulla cultura
sembrano entrare in una nuova fase, in cui la cultura stessa emerge come valore
autonomo ed esperienziale (Pine II e Gilmore, 1999), non più bisognoso del supporto
di interventi fisici iconici. La cultura urbana viene creata “bottom-up”, come
una nuova ondata di cultura popolare generata dall'incontro sociale, dal tempo
libero e dalla programmazione creativa. In questi casi si rivela inutile il
ricorso a raffinate narrative impersonificate da tipologie culturali d’alto
livello. La strategia di “branding” che mira alla creazione di valore aggiunto
attraverso l'iconicità architettonica è completata e spesso sostituita da
strategie basate sulla creazione di valore esperienziale attraverso la messa in
scena del patrimonio industriale così com'è, animato dalla creatività dal basso
verso l'alto. Questo valore esperienziale si articola su molti livelli: la
percezione di luoghi praticamente intatti che espongono brutalmente i segni
delle loro funzioni industriali originali e la loro stratificazione; la
spazialità generosa che offre ai visitatori e agli utenti numerose opportunità esperienziali
in luoghi urbani eccezionali; l'idea di temporaneità che suggerisce l’unicitá
dell’esperienza limitata nel tempo; la flessibilità “ad-hoc” degli strumenti di
pianificazione locale garantita dalle amministrazioni per questo tipo di strategie.
Questo processo di nuda esposizione esperienziale, basato sulla riconfigurazione
dello spazio industriale svincolato da ambizioni architettoniche, rappresenta
la nuova frontiera nella creazione di valore urbano attraverso piani di
riqualificazione che fanno leva sulla cultura come fattore aggregante. Almeno
questo è quanto abbiamo osservato visitando i recenti sviluppi nelle ex aree
industriali di Copenaghen, Amsterdam e Rotterdam. Probabilmente la nostra
osservazione non rappresenta più una novità nel panorama della ricerca
accademica e/o professionale ed il fenomeno analizzato è più diffuso di quanto immaginiamo.
Tuttavia, la casistica rappresentativa del fenomeno, qui di seguito esposta, può
essere utile al fine di stimolare successivi approfondimenti.
A Copenaghen, l'ex cartiera nella
vecchia area portuale è stata trasformata dal 2012 in un mercato coperto dello “street-food”.
I grandi ambienti della ex industria sono popolati da una varietà di bancarelle
che offrono cibo cucinato al momento e proveniente dalle tradizioni culinarie
di tutto il mondo. Situata proprio di fronte all'edificio della Royal Danish Playhouse
del 2008 progettato da Lundgaard & Tranberg, Papirøen Island è oggi uno dei
luoghi più popolari della città che alle specifiche qualitá ambientali (come la
privilegiata posizione al centro del vecchio porto e l’affaccio sull’acqua) unisce la semplice accessibilitá
dell’offerta di intrattenimento gastronomico e di piacevole incontro sociale.
Gli ambienti sono stati mantenuti nello stato originale quali contenitori del
mercato street-food che non richiedeva particolari cambiamenti. La
semplicitá della trasformazione si riflette anche nella logica di
opportunismo seguita nella realizzazione delle bancarelle da parte degli
espositori, ad esempio riusando o riciclando vecchi materiali e componenti, in linea con
l'essenzialismo industriale del padiglione-container oggetto di
rivalorizzazione.
Insieme ad interventi più tradizionali di
riqualificazione nelle vicinanze, alla accessibilità infrastrutturale e ad
altri ambiziosi attrattori culturali presenti nella zona, il mercato del “cibo
di strada” di Papirøen ha chiaramente creato un valore aggiunto nell'ex porto
di Copenaghen, contribuendo ad riportare l’area nella ‘mappa mentale’ degli
abitanti di Copenhagen.
Un processo simile interessa il
cosiddetto Meatpacking District nell'area di Vesterbro a Copenaghen, di fronte
all'Halmtorvet, non lontano dalla stazione centrale lungo il fascio dei binari
degli scali ferroviari. Questa è una posizione cruciale in Copenaghen, essendo un'estensione
naturale del nucleo urbano – per molti anni reclusa nella sua specializzazione
industriale/produttiva. Originariamente Kødbyen ospitava il mercato del bestiame,
i macelli e le industrie connesse, ed é composta da due parti: la più antica
(chiamata the “brown Kodby”) risalente alla fine del XIX secolo e una più
recente (la “white Kodby”) risalente agli anni '30 del secolo scorso. Per la
riqualificazione di questa vasta area è stata scelta una strategia pluriannuale
basata sulla creazione di valore aggiunto mediante la loro graduale
urbanizzazione attraverso investimenti minimi e la
partecipazione/coinvolgimento dal basso di stakeholders e investitori creativi.
Di conseguenza, all’interno degli edifici originari il complesso ospita bar,
ristoranti, gallerie d’arte, studi di architettura e spazi per conferenze. Kødbyen
costituisce oggi una delle principali aree di attrazione della città,
destinazione di un crescente numero di visitatori. È probabile che questa mossa
generi valore aggiunto nell'area, oggi comunque solo in parte riutilizzata. Probabilmente
i prossimi passi nel processo di riqualificazione tenteranno di sfruttare il
valore creato al fine di nuovi investimenti, al momento solo ipotizzabili in quanto
non abbiamo trovato informazioni relative a programmi futuri.(Imm. 5-6-7-8-9)
Anche la crisi del 2008 ha avuto un ruolo importante in questa evoluzione, favorendo una rinnovata consapevolezza su come rapportarsi alle risorse nello sviluppo urbano: non più spreco di risorse, operazioni ‘bottom-up’ ove possibile, diversa concezione temporale, operazioni a scarso budget. Concretamente: gli spazi industriali preesistenti, svuotati dalle loro funzioni originali, sono nonostante tutto essi stessi “oggetti” costruiti che spesso possiedono qualitá "uniche" - sebbene difficilmente rispondano agli standard attuali in materia di clima, energia, sicurezza ecc. L’unicità di tale patrimonio è spesso assunta come valore centrale rispetto alla strategia di sviluppo che si traduce in un piano temporaneo (alcuni anni) basato su una flessibilitá, adattabilitá, temporalitá strutturale e continuata, in cui i protagonisti principali sono start-up, industre creative, giovani imprenditori, operatori culturali che vengono coinvolti giá in una fase preliminare e che contribuiscono pienamente nello sviluppo in cambio di vantaggi imprenditoriali. In queste pratiche, il tradizionale piano generale viene abbandonato a favore di una strategia reattiva composta di piccoli passi successivi; una road map in cui i risultati ottenuti dal passaggio precedente sono alla base delle azioni per il passaggio successivo. In questo senso, tali strategie lavorano sulla resilienza della struttura urbana. Ci siamo imbattuti in due casi di riqualificazione urbana in Amsterdam che concretizzano questa dinamica.
La trasformazione delle rive dell’IJ, il
waterfront di Amsterdam, da ex aree
portuali a nuovo tessuto urbano, ha seguito principalmente la tradizionale strategia
di pianificazione generale, conservando o integrando particolari architetture
industriali come memoria del ruolo urbano che l’area dismessa ha avuto in
passato. Tuttavia, intorno al 2008 questa strategia è stata messa in
discussione in particolare per le aree della riva a nord. Le operazioni di
sviluppo avviate ad Amsterdam Nord per trasformare le vecchie aree industriali
in ambiti urbani ospitanti abitazioni, uffici, attività commerciali e per il
tempo libero, basate prevalentemente sulla prassi della sostituzione edilizia,
non erano più fattibili. Lo sviluppo pensato per la ex area Stork, acquisita da
una società di gestione dell’edilizia abitativa locale per la costruzione di
nuovi edifici residenziali, non poteva essere più attuato visto il
peggioramento delle condizioni del mercato e fu al tempo sospeso. La società ha
dovuto passare ad una strategia di “attivazione della resilienza urbana” per
poter salvare parte degli investimenti effettuati. Di conseguenza i grandi
fabbricati dismessi sono stati adattati per accogliere l’insediamento di
start-up, mercati, micro-incubatori di impresa, spazi per eventi a carattere
culturale (si veda: http://www.deoverkant.com). Un ristorante ha occupato la
parte più attraente dell’area, con vista sul IJ, e sono stati attrezzati spazi
per riunioni ed avvenimenti. La Kromhout Hall offre uno spazio molto attraente
e versatile per avvenimenti, grazie alle sue dimensioni generose. Molti di
questi interventi sono stati effettuati pensando alla loro natura temporanea,
con investimenti e mezzi limitati. Nel frattempo l’area Stork ha acquistato
valore diventando parte del tessuto socio-spaziale dell’area e dei suoi
abitanti. I risultati sono soddisfacenti, oggi la situazione sembra
stabilizzarsi: un grande supermercato ha occupato una parte dell'area
diventando un'áncora locale; uffici, spazi per attivitá commerciali, officine
sono occupati. A breve, vista l’elevata domanda di abitazioni ad Amsterdam ed
il rifiorire dell’economia locale, potrebbero seguire sviluppi ulteriori in
attuazione al programma rigenerativo. Infatti il periodo temporaneo sembra
essere arrivato alla sua conclusione. I piani di sviluppo originari di
trasformazione in un mix di funzioni urbane dovrebbero ricominciare nei
prossimi anni. Tuttavia, rimane il dubbio su quale forma prenderà
effettivamente questo sviluppo urbano. Il successo dell'occupazione temporanea
sin oggi attuata, ha cambiato la percezione dell'area di Stork ad Amsterdam da
parte degli abitanti e per questo è probabile che l’esperienza avviata ed il
valore aggiunto derivato possano trovare posto nel piano di sviluppo futuro.(Imm.
10-11-12-13-14).
Ulteriore esempio di strategia
rigenerativa affine al fenomeno in discussione è la trasformazione dell'area denominata
“Triangolo Parool”, ad Amsterdam Est (Caso e Cavallo, 2013, 2014).
Questo luogo, derivato dalla dismissione di un’area a forma triangolare di
smistamento tra diverse linee ferroviarie è occupato da edifici costruiti dopo
la seconda guerra mondiale, a partire dagli anni '50, frutto del Piano AUP di
Van Eesteren e in pieno stile "moderno" (funzionalismo, Nieuwe Bouwen)
contrastante con i quartieri circostanti risalenti a un secolo prima (Sitte,
Berlage, città dei blocchi). Per lungo tempo questo gruppo di edifici lungo la
Wibautstraat - sedi di testate giornalistiche (Parool e Trouw, progettata da Bakema
Van der Broek e Volkskrant di Kraaijvanger) che condividevano le stesse
strutture per la stampa - è stato considerato dall’opinione pubblica come il
più brutto di Amsterdam (Vermeulen Windsant, 2014). La scuola lecorbusieriana (di
De Geurs & Ingwersen) che fa parte dell'area era un'eccezione, essendo
stata nominata (appena in tempo) monumento della città. Non sorprende che, una
volta dismessa, l’area sia stata acquisita da una società di alloggi, per
sviluppare un nuovo quartiere per abitazioni ed uffici e ben connesso alla
città ed alla regione grazie alle infrastrutture presenti. Il piano generale elaborato
da Busquets prevedeva un'enorme densificazione dell'area. Tuttavia, la crisi del
2008 ha portato ad una nuova visione e ha lasciato alla società un problema
finanziario. A questo punto, gli edifici preesistenti sull’area sono stati
destinati ad ospitare incubatori per imprese culturali, attività per il tempo
libero e start-up, a fronte di investimenti minimi. Questa nuova programmazione
temporanea ha completamente cambiato la percezione di quest’area di Amsterdam:
la parte una volta più brutta è diventata uno dei punti nodali della città,
luogo ambito da imprese innovative, studenti, attivitá per il tempo libero e
culturali. L'edificio del Trouw ospita un centro d'arte con musica dal vivo e
ristorante; il Parool è adatto ad alloggi per studenti e imprese creative; la
scuola è stata restaurata; il Volkskrant ospita un incubatore di impresa, un
hotel, il club Canvas e una terrazza-sauna sul tetto. A causa di questo
sviluppo, l'area si è stabilizzata e ha acquisito molto valore mantenendo gli
edifici originali. Una parte delle attività temporanee può ora essere considerata
permanente. Probabilmente, i nuovi investimenti sono ora possibili grazie alla
strategia di creazione del valore seguita nei tempi di crisi.(Imm.15-16-17-18)
Questa strategia di riqualificazione attraverso
la creazione di valore esperienziale era già stata testata negli anni '90 a
Rotterdam per il Willheminapier. Questo molo fa parte dell'area di Kop van
Zuid, sul lato opposto del fiume Maas rispetto al centro della città, ed
ospitava servizi per il vecchio porto (dismesso) (Bakker
et al., 1999), per il cui sviluppo urbano è stato predisposto un masterplan negli
anni ‘80. Già prima dell'inaugurazione (1996) dell’Erasmusbrug di Ben van
Berkel, l'Hotel New York (aperto nel 1993) situato all'estremità superiore del
molo é stata un'operazione di branding esperienziale e colonizzazione culturale di un contesto
industriale obsoleto e altrimenti inospitale. Il New York era l'edificio di
rappresentanza della compagnia navale Holland-America, operante collegamenti
interoceanici per passeggeri e merci. La sua trasformazione in hotel, proprio
nel vecchio paesaggio portuale di Rotterdam e ancora prima che i necessari
collegamenti fossero approntati, fu il primo passo verso la trasformazione
dell'area e divenne rapidamente un'esperienza "esotica" imperdibile
nel circuito del tempo libero della città. Infatti, l'hotel era raggiungibile al
tempo principalmente da water-taxi oppure attraverso una lunga deviazione tra
le aree industriali per lo più abbandonate di Rotterdam Sud. Il
"ristorante illegale di pesce" che venne aperto per breve tempo
accanto all'hotel e lo stesso hotel con la sua offerta gastronomica e posizione
particolare, divenne in poco tempo una destinazione molto popolare a Rotterdam creando
valore aggiunto sul Willhelminapier e quindi facilitando il percorso per lo
sviluppo successivo di questa parte di Rotterdam. Il Willhelminapier e l'hotel New
York sono anche legati al programma di riqualificazione di Katendrecht oggi in
corso.
L'area di Katendrecht a Rotterdam fa
parte anch’essa delle vecchie strutture portuali lungo la Mosa. Katendrecht é
una penisola che separa le acque della Maashaven da quelle della Rijnhaven. A
partire dagli anni 70 Katendrecht era conosciuto a Rotterdam come un quartiere
abbandonato e difficile, poco attraente. Questa parte del porto ospitava anche
uno dei più grandi magazzini portuali del mondo alla fine del XIX secolo, il
San Francisco (oggi Fenixloods), da cui partivano persone e merci per il Nord
America e collegato dalla compagnia navale Holland-America. Il magazzino fu parzialmente
bombardato durante la seconda guerra mondiale e restaurato una prima volta, e
in seguito distrutto parzialmente da un incendio. Una volta ripristinato, il
grande magazzino assunse la consistenza di due parti distinte che presero il
nome di Fenixloods 1 e 2. Con la riqualifica del vecchio porto in area urbana e
la conseguente riqualificazione del Wilhelminapier, l'area di Katendrecht è
diventata più centrale e strategicamente interessante. Il nuovo ponte per il
traffico lento tra Wilhelminapier (Hotel New York) e Fenixloods, ha aumentato
l'accessibilità all'area che é supportata anche da due fermate della linea ferroviaria
della metropolitana cittadina. Per la riqualifica dell'area è stata attuata una
strategia simile a quella seguita per la Papirøen Island di Copenhagen: una
strategia dal basso per costruire resilienza e favorire uno sviluppo flessibile
nel tempo, guidata da una programmazione creativa e da una nuova imprenditoria
culturale. Questa strategia si basa da un lato sulla creazione di valore urbano
attraverso la trasformazione degli spazi industriali in spazi culturali,
rivitalizzati mediante iniziative “bottom-up”, e al ripristino puntuale di edifici
chiave situati in luoghi strategici – specialmente intorno alla piazza
triangolare di Deliplein, che è delimitata sul waterfront dal Fenixloodsen,
dall’altro. Questa strategia mirava a trattenere nell'area gli attori culturali
ed economici locali (come áncore e continuità sociali), ad attrarre giovani
imprese creative e a favorire operazioni di creazione di valore offrendo spazi
economici nell'ambiente "romantico" del vecchio porto - la cui
atmosfera sta scomparendo da Rotterdam. L'apertura di Katendrecht a Rotterdam e
i valori culturali associati all'operazione hanno portato ad un mercato del
cibo di strada in Fenixloods 2, con un concetto di spazio condiviso come
attrattore principale per il grande pubblico. Gli imprenditori dello street
food fanno parte della Fenix Food Factory che comprende un micro-birrificio
molto popolare a Rotterdam. All'inizio dell'operazione, il Fenixloods 1 ospitava
anche le attività legate alla Biennale di Rotterdam, parte della strategia di
trasformazione dei luoghi industriali in luoghi culturali. Oltre al mercato alimentare,
il Fenixloods 2 ospita anche il café Posse, il circo Arts van Codarts -
strutture educative per giovani circensi di talento (adattamento progettato da Van
Schagen Architecten) e spazi per imprenditori dell’innovazione. Ciò è stato
possibile grazie ad un permesso comunale (2012) per funzioni esplicitamente temporanee
che non aderiscono al Piano Generale. Di conseguenza, le attività temporanee
nei Fenixloods saranno limitate nel tempo, ma allo stesso tempo fungono da
creatori di valore nella zona. Il permesso temporaneo è stato prorogato per
altri due anni, mentre il valore dell'area continua a crescere. Il Fenixloods 1
è attualmente oggetto di sviluppo. Dopo aver ospitato funzioni temporanee, ora
è stato quasi completamente demolito ad eccezione dei piani terra originali che
sono stati sopraelevati da nuove unità immobiliari a destinazione d’uso
terziaria e residenziale (Van Dorsten, 2015). Tale scelta ha riscosso molta
opposizione da parte degli abitanti dell'area, ed é criticabile sia sotto
l’aspetto architettonico che per l’apparente contraddizione rispetto alla linea
adottata nel processo sin qui svolto. Tuttavia, la strategia di sviluppo
attraverso la trasformazione di luoghi industriali in luoghi culturali ha
funzionato. Idealmente, le attività temporanee di Fenixloods 2 potrebbero ora
essere trasferite nel Fenixloods 1 a lavori ultimati (parte della stretegia per
mantenere gli operatori economici nell’area), liberando in Fenixloods 2 per un
simile progetto di sviluppo. La domanda é se l’area dei Fenixloods dopo la
ricostruzione continuerá a conservare la stessa attrattivitá odierna.(Imm. 19-
20-21-22-23-24-25-26-27)
La strategia di sviluppo esperienziale
analizzata è particolarmente interessante per le zone urbane storiche, ma anche
per molte aree dismesse dell'era industriale artefici di un paesaggio
abbandonato fatto di ciminiere, grandi sale, spazi aperti imprevedibili e
infrastrutture arrugginite. L'invenzione, qui, è l'improvvisa trasformazione degli
spazi industriali in spazi culturali. Si tratta di un'invenzione sorprendente
che fa riflettere sull’origine degli spazi stessi, un tempo luoghi di lavoro
(pesante) in condizioni difficili, appartenenti a paesaggi di fatiche e routine
tanto odiati quanto necessari a molte generazioni di lavoratori. Ora che non
possono più nuocere vengono docilmente trasformati in romantici paesaggi di
piacere, con un certa aura di rudezza ma rassicurante e non pericolosa.
Le strategie "tradizionali" di
riqualificazione guidate dalla cultura, basate sul sensazionalismo e sulla creazione
di valore attraverso icone architettoniche, di solito mettono in scena uno
spettacolo che opera attraverso l'interpretazione e/o la trasposizione di
significato, in ultima analisi imponendo una realtà suppostamente superiore –
favorendo, così, esperienze di alienazione. Al contrario, gli sviluppi
descritti sopra mostrano lo spettacolo degli spazi industriali come sono, senza
ambizione di essere architettura. Quello che viene messo in scena sono la
qualità reale del luogo e l'unicità/temporalità dell'esperienza. Questo
spettacolo è costruito attorno a partecipanti, visitatori e stakeholder, ed è
valido solo quando questi partecipanti sono i punti focali dell'esperienza
messa in scena – rendendoli attori. Né la distrazione causata dall’ambizione
architettonica é ammessa, né una più o meno pretenziosa serietà culturale. L'obiettivo
spaziale dello spettacolo essenziale delle mura industriali non trattate é unicamente
la centralità della massa performante di individui. Un vantaggio è tuttavia che
la temporalità della strategia esperienziale permette anche di costruire una
transizione nel tempo da un passato finito (in qualche modo romantico o
poetico) ad una nuova realtà che emerge chiaramente nel tempo dando la
possibilità agli attori (persone, parti interessate, abitanti) di congedarsi
dal passato riconoscendone segni di continuitá col futuro.
Gli strumenti urbanistici tradizionali
di pianificazione basati su visioni generali e sulla creazione di valore attraverso
l'architettura e in generale attraverso la materialità, possono essere
supportati, e in qualche modo meglio diretti, dalla dimensione immateriale esperienziale
e narrativa. Nei casi sopra esposti, la narrativa era abbastanza potente e
affascinante da compensare l'assenza di una qualità architettonica costruita –
in cui prevalgono le qualità contestuali “qui ed ora”. La costruzione di valore
é un obiettivo urbano che dovrebbe essere riconoscibile e significativo per
tutti i partecipanti della scena urbana, come processi di inclusivitá ed equitá.
Il valore creato non può più essere solo di carattere materiale/finanziario. Deve
coinvolgere componenti emotive come minimo comune denominatore tra le persone
che vivono i luoghi.
Questo tipo di operazione è possibile
solo in un contesto di flessibilità e cooperazione tra i partecipanti, dal
governo locale agli investitori e agli utenti. A sua volta, ciò è possibile
solo quando tutte le parti coinvolte possono fidarsi l'una dell'altra, essere affidabili
e rispettare gli accordi presi nello spirito del proprio ruolo. Temporalità
significa che a un certo momento l'esperienza deve concludersi e le opzioni dei
prossimi sviluppi rivalutate e ridiscusse. Per questo è necessaria una
comunicazione chiara e una continuità di intenti in un tempo predeterminato. Le
posizioni ideologiche dovrebbero essere evitate. Nei casi di studio citati,
tutte le operazioni sono state definite e condotte in buon accordo tra tutte le
parti coinvolte. A Copenhagen, Amsterdam e Rotterdam (e probabilmente altrove)
questo è stato possibile. Sarebbe possibile anche a Napoli, a Roma o a Milano?
Olindo Caso (1962, Avellino), architetto,
é Assistent Professor (Docente Universitario) presso la Facoltá di Architettura
e Ambiente Costruito dell’Universitá Tecnologica di Delft, Olanda, dove nel
1999 ha conseguito il dottorato. Dal 1989 svolge la libera professione di
architetto acquisendo esperienza nella progettazione e nella consulenza in
campo di “spazi della mobilità”. È specialista nella ricerca multidisciplinare
e nelle relazioni tra le diverse scale del progetto. L’interesse attuale della
sua ricerca si rivolge allo studio dell’infrastruttura culturale nella cittá
contemporanea, ed in particolare all’evoluzione delle biblioteche, e verso la
crescente quotidianitá dell’esperienza ‘ibrida’ urbana. E’ autore di numerosi articoli
e pubblicazioni internazionali, tra gli altri Architettura contemporanea: Olanda, Motta,
2009.