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Martina Landsberger
Monestiroli AA, Progetto urbano a Pioltello (Milano), 1998-2009
Era il 2001 quando, a chiusura della tesi dottorato, incorsi nella necessità di doverne individuare un titolo. Ricordo che, in quell’occasione, non trovando alcuna soluzione, pensai che Antonio Monestiroli avrebbe potuto aiutarmi. Mi rivolsi a lui che, in quattro e quattr’otto riuscì, con semplicità e naturalezza, a tirarmi fuori dai guai.
Ho sempre pensato che nei titoli sia contenuto il senso di quanto si intende esprimere, che la loro efficacia si raggiunga attraverso un processo di sintesi, di astrazione, e che questo sia possibile solamente grazie a un pensiero coerente e profondamente fondato. Il titolo, secondo questa accezione, diviene ragione dello scritto, del film o della composizione in senso lato. Ciò è quanto accade con evidenza alle diverse pubblicazioni di Monestiroli, in particolar modo al suo ultimo libro: “La ragione degli edifici. La Scuola di Milano e oltre”.
Si tratta, in questo caso, di un titolo composto, diviso in due parti. La prima frase, di carattere generale, chiarisce la modalità attraverso cui verrà condotta l’argomentazione: la ragione come fondamento del pensiero e per traslato del progetto. Il sottotitolo, invece, assume il compito di circoscrivere il campo di indagine, di ricondurre l’attenzione a un particolare ambito dell’architettura, contraddistinto da alcune caratteristiche, alcuni principi, tanto da poter essere individuato con il termine di Scuola. Scorrendo l’indice, e quindi la composizione del volume, appare chiara la determinazione a declinare l’argomento affiancando, all’approccio razionale che contraddistingue i capitoli specificatamente teorici, una esemplificazione del modus operandi di alcuni maestri che, per precisa scelta dell’autore, vengono ritrovati e riconosciuti in un unico e determinato ambito culturale.
Seguendo la strada già percorsa dai trattatisti della tradizione classica nel libro la teoria viene affiancata dalla pratica con l’obiettivo di rendere evidente come, in architettura, sia necessario coniugare pensiero e messa in opera.
Per chi non conosca le opere di Monestiroli, per chi non abbia lavorato con lui o frequentato le sue lezioni in università sono convinta che l’ultimo capitolo – Il tetto e il recinto II. Descrizione di alcuni progetti recenti – rappresenti la chiave per comprendere il senso generale sia del libro che del suo lavoro: il suo pensiero e il metodo progettuale.
Qui, attraverso la descrizione di alcuni dei suoi ultimi progetti, Monestiroli introduce il lettore all’interno del suo studio permettendogli di ripercorrere tutto l’iter della progettazione, facendogli scoprire come in architettura ogni scelta non possa che essere il risultato di un profondo processo conoscitivo, nell’ottica di una messa a punto sempre più puntuale e coerente, dell’idea fondativa del progetto. Non si tratta, in questo caso, di un modo di procedere per così dire “nuovo”, al contrario, è proprio questo atteggiamento nei confronti della realtà a contraddistinguere gli architetti della Scuola di Milano.
Scuola, aveva spiegato Luciano Semerani durante una lezione, si definisce come la “tendenza di un pensiero”. È proprio a partire da questa accezione che Monestiroli accomuna personalità differenti come Albini, Gardella, Libera, Rogers, Asnago e Vender, Rossi e Grassi rendendoli partecipi di un medesimo ambito culturale cui, proprio in virtù di quell’atteggiamento razionale individuato nel titolo e di una precisa volontà di interpretazione del reale, è possibile ricondurre opere le cui “forme” appaiono, in alcuni casi, anche molto distanti le une dalle altre.
Il libro e i progetti di Antonio Monestiroli, come del resto molti di quelli degli architetti della Scuola di Milano, rappresentano un invito a conoscere le cose, ad andare in profondità, a pensare all’architettura come all’arte che ambisce a rappresentare “il sorprendente della realtà”: la vita.
Martina Landsberger, ricercatore di Composizione architettonica e urbana alla Scuola di Architettura Civile del Politecnico di Milano.