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Editoriale
Dieci anni di Festival dell'Architettura 2004-2014
Cari amici del Festival dell’Architettura,
sono ormai passati dieci anni dalla prima edizione di una manifestazione che è nata per gettare un ponte tra l’ambito universitario della ricerca di architettura e il mondo delle professioni, dell’impresa, degli amministratori pubblici ma soprattutto delle tante persone che semplicemente vivono nell’architettura e nella città.
In questi dieci anni di vita il Festival ha coinvolto, oltre che migliaia di partecipanti, centinaia di docenti e ricercatori italiani e stranieri nonché numerosi attori impegnati nella trasformazione della città attraverso l’architettura, dove città e architettura ci appaiono quali categorie inscindibili, a maggior ragione quando si parla di progetto, cioè del divenire delle cose.
Nell’itineranza tematica e di raccolta dei contributi scientifici da presentare al pubblico vasto ci siamo sempre tenuti a distanza dalla seduzione delle espressioni della moda, dagli apprendisti stregoni dell’immaginario della comunicazione ormai dimentichi del corpo reale dell’architettura e nel 2004, come ben sapete, non era cosa da tutti, soprattutto se si parlava attraverso lo strumento “festival”. Una scelta difficile rispetto alla ricerca di un facile consenso di pubblico, ma credo che tale atteggiamento, semplicemente di onestà intellettuale, ci abbia nel tempo largamente ripagato.
Non credo che si possa a consuntivo parlare di una linea culturale in senso stretto del Festival dell’Architettura, ma sicuramente le cose prodotte in questi anni costituiscono un profilo che enuncia l’espressione di una continuità culturale con la ricerca e i protagonisti della stagione italiana della seconda metà del 900 in particolare tra Milano e Venezia, la volontà di una ricerca continua attraverso l’eteronomia di un’architettura che non può tradire il mandato di una responsabilità finale sulla forma, un atteggiamento aperto ma non di meno critico rispetto alla fenomenologia urbana in continuo divenire, superando ogni provincialismo e ogni uso modellistico del pensare e del fare l’architettura.
Moltissimi allievi delle scuole non solo di architettura ma anche di altri settori scientifici dell’Università di Parma, nonché giovani collaboratori della rete universitaria italiana ed europea sono passati attraverso le esperienze del Festival, spero ricavandone valore aggiunto formativo, spunti di ricerca, nuovi orientamenti. Per altri versi le città, bisogna dirlo lungimiranti, innanzitutto di Parma, poi nel tempo anche di Reggio Emilia e Modena - così sperimentando la dimensione urbana territoriale di “Cittaemilia” a noi cara per gli studi svolti a riguardo - con coinvolgimenti in quel di Bologna e Forlì, e la Regione Emilia Romagna, realtà ospitanti le manifestazioni di un Festival “territorializzato”, hanno ricevuto informazioni, stimoli, incentivi all’autoriflessione sui temi della città e viceversa il Festival inteso come laboratorio di ricerca ha tratto spunto dalle peculiarità delle tradizioni insediative di questi stessi contesti acquisiti quali luoghi di applicazione, sperimentazione, verifica delle metodologie progettuali.
Tra le cose realizzate - mostre, incontri, presentazioni spesso immaginate attraverso formule di assoluta originalità situazionale a cui ha dato supporto una segreteria organizzativa tanto volontaria quanto produttiva – mi piace sottolineare lo sforzo editoriale, che vuol dire porsi il problema della trasmissibilità dei contenuti, e quindi la nascita, già nel 2006, di Festival Architettura Edizioni che ha prodotto sino ad oggi decine di volumi restituenti in forma di catalogo tematico le ricerche portate al Festival. Il sito web è stato un altro punto di forza del Festival per come la rete può essere pienamente coinvolta in una strategia di questo tipo ed in particolare la nascita di Festival Architettura Magazine, una rivista web sui temi del progetto architettonico che oggi raccoglie una vasta rete di collaborazioni, in particolare nel circuito dei dottorati e dei giovani ricercatori.
Non so quanto il Festival debba alla Facoltà di Architettura di Parma o viceversa, sicuramente le due cose sono cresciute in parallelo. Certamente l’occasione del Festival dimostra alla scuola che l’esperienza formativa dello studente-architetto non può essere intesa solo nel chiuso delle aule e nella trasmissione delle tecniche, ma anche nel campo aperto della contaminazione degli apporti, della conoscenza dei circuiti culturali, dei confronto con l’esterno, innanzitutto europeo, tra scuole e protagonisti animati dalla comune passione per il rischio della ricerca, dell’avanzamento metodologico, dell’innovazione consapevole.
Il mio recente incarico istituzionale a servizio dell’Università di Parma, incarico che vorrei svolgere anche quale occasione di ricerca disciplinare, non mi consente di proseguire nell’avventura del Festival. Ma il rinunciare può acquisire un senso positivo, direi quasi necessario, se pensiamo che il Festival esige l’energia di una componente generazionale rinnovata, per propria natura vocata ad affrontare la ricerca più esplorativa. Lascio quindi il testimone del Festival dell’Architettura ad un gruppo di più giovani colleghi con l’auspicio che molto di ciò che è stato fatto sia valorizzato e portato avanti ma molto altro ancora, di inedito quanto di atteso, possa ancora scaturire da questo stimolante laboratorio delle idee sull’architettura e la città.
Carlo Quintelli