Dispositio autem est rerum apta conlocatio elegansque compositionibus effectus operis cum qualitate. Species dispositionis, quae graece dicuntur ideae, sunt hae: ichnographia, orthographia, scaenographia.
(Vitruvio, I libro, I.II)
Ancora un numero di FAMagazine [1] sulla
dipositio, ancora a partire da Vitruvio, ancora una riflessione su alcuni termini e procedure centrali della composizione architettonica qui sondati nella relazione tra la diposizione, il carattere e l’identità dell’opera. Nella voce “dipositio” dell’Enciclopedia dell’Arte Antica Treccani l’archeologo e storico dell’arte Silvio Ferri [2] ha ricondotto il termine – oltre alle note corrispondenze con le parole greche:
diatöposis,
diatagè,
diàthesis,
oikonomìa –
a divisio e al greco
diamèrismos, o
partitio oratoria, anche come sinonimo di
dispensatio connettendolo anche alla
dispositio,
inventio,
elocutio quali “
tre momenti dell'arte del comporre e del dire secondo Quintiliano (III, 9, 2)”. Ferri, inoltre segnala come le tre figure della
dispositio (
quod significant)
ichnographia,
orthographia,
scaenographia “
richiedono – per inverarsi con qualità nell’opera – cogitatio
e inventio
(ragione progettante e invenzione); la prima consiste nella cura di conseguir l'effetto proposto con risultati piacevoli alla vista; la inventio
è la risoluzione di problemi insoliti e l'impostazione, con un tratto di genio, di un fatto nuovo.”
Come è stato lucidamente osservato recentemente da Massimo Fagioli [3] assieme alla eurytmia - “il commisurato aspetto dei membri nella composizione” – la dispositio costituisce una coppia dialogica indicante “le categorie sintattico-progettuali, quelle che definiscono il metodo compositivo". Il trattato di Vitruvio è denso di sinonimie, di coppie e di diacrisi al punto che per alcuni il suo De Architectura è una continua ripetizione del già noto. Innanzitutto Adriano Prandi [4] ma anche il Ferri su richiamato “hanno visto nei due binomi ordinatio-symmetria e dispositio-eurythmia caratteri corrispondenti ma non perfettamente coincidenti, in quanto mentre i due termini ordinatio-dispositio si riferirebbero preferibilmente all’artista, gli altri due symmetria-eurythmia si riferirebbero prevalentemente all’opera”.
Infatti, per Prandi “l’ordinatio si riferisce al modo in cui l’artista predispone gli elementi dell’opera facendo sì che le loro misure (quantitas) siano proporzionali rispetto ad un’unità di misura data arbitrariamente, mentre la dispositio si riferisce al momento in cui gli elementi vengono disposti in modo che scaturisca la qualità dell’opera nel suo complesso” [5]. In tal senso l’ordinatio-symmetria si riferirebbe all’effetto dell’opera ideata, in fieri, mentre la symmetria-eurythmia riguarderebbe l’aspetto dell’opera compiuta. In ogni caso si ribadisce, sulla scia di Vitruvio, come l’architettura costituisca un “modo dell’ordine”, una ricerca dell’ordine ottenuto attraverso modi e procedure diverse siano esse legate al momento ideativo-tematico sia a quello sintattico espressivo manifestato “in astanza” nell’opera mediante il carattere e le forme convenienti selezionate, dis-poste e cum-poste per esprimerlo e renderlo intellegibile con affordance [6]. Ancora una volta nella tensione tra la logica, la razionalità e l’invenzione, la ricerca di una identità figurabile – ogni volta rinnovata e ritrovata “nella cosa” – che l’opera deve poter mettere in scena.
La disposizione, la collocatio delle parti e delle forme deve essere rispondente alla finalità generale dell’opera per determinare quel carattere o decoro appropriato in grado di conferire una riconoscibile facies al manufatto che lo faccia riconoscere come espressione di valori e significati che sono prima e dopo il momento ideativo per poi essere riconosciuta da una collettività consapevole. Questo difficile equilibrio tra il senso, la finalità generale – o come piace dire ad Antonio Monestiroli [7] “la ragione degli edifici” – e i modi della sua espressione sintetica, tra le forme e il loro apparire, nel pensiero classico e razionale, è ogni volta stabilito con chiarezza. In tal senso il lavoro teorico e la correlata ricerca progettuale [8] di Monestiroli appaiono esemplari e paradigmatici di un modo della dispositio rinvenibile in una raffinata selezione degli elementi (ad esempio nella serrata dialettica tra muro e telaio) e nella loro controllata e euritmica ripetizione e variazione in vista della definizione del decoro eloquente da conferire al manufatto.
Di contro nell’afflittiva condizione attuale il legame tra significati o ragioni e modi della loro rappresentazione sovente si polarizza e si disarticola in una prevalente ricerca di immagini accattivanti e seduttive prive di ogni legame con la costituzione tematica dei manufatti producendo oggetti fortemente espressivi dove è sempre molto arduo – se non impossibile – rinvenire parti, elementi modi della loro disposizione conveniente ma solo programmate, obnubilanti e in-formi [9] aggressioni ai sensi. In tale deriva autoriale si smarriscono non solo l’intellegibilità e la capacità di realizzare una “ricezione generalizzata” [10] del senso sotteso all’opera ma vieppiù ogni forma visibile di dispositio come ordinata posizione, collocazione degli elementi e delle parti – responsabili del carattere definitivo dell’opera – e degli stessi manufatti nella città.
Gli elementi da ordinare sono innanzitutto quelli della costruzione i quali legittimano se stessi e la loro apparizione solo nella loro costituzione formale divenendo elementi architettonici – parti e figure – responsabili, in una continua tensione tra ideale e reale, della realizzazione e manifestazione del carattere e dell’identità del manufatto intesa come “eguaglianza di un oggetto rispetto a se stesso, al suo significato” (ταὐτότης), della propria essenza, della verità che sottende come “adequatio rei et intellectus”, premessa e obiettivo di ogni espressione appropriata. Oggi sembra esserci un prevalente ed esclusivo interesse alla differenza, allo scarto, allo slittamento di senso, allo spostamento verso aspetti comunicativi sospinti da un’incessante reductio ad imaginem dove la disposizione diviene e si riduce a “dispositivo”, macchina desiderante, evento, performance. Sarebbe invece ancora necessario proporre riflessioni e avanzamenti in grado di chiarire e rinnovare il rapporto consistente tra le procedure di controllo e di auto commisurazione della posizione e dell’ordinamento degli elementi e le espressività delle forme della costruzione in vista del conferimento del carattere adeguato e che “evochi visivamente l’adeguatezza”, l’appropriatezza, riconoscendo come il tema dell’identità delle forme sia intimamente connesso ai modi della loro composizione, montaggio, disposizione.
Gli scritti contenuti in questo numero affrontano da varie angolazioni questo spettro di articolazioni del trinomio consistente dispositio-carattere-identità con interessanti aperture ed insolite ricorrenze. Se Tilemachos Andrianopoulos e Lorenzo Margiotta si focalizzano sull’analisi specifica della ricerca di due ben noti autori – i due Pritzker Prize Jan Despo e Frank O. Gehry – e delle loro opere progettate o costruite (il Centro culturale ad Atene e la DZ Bank a Berlino) e lo fanno puntando, il primo, al chiarimento dei caratteri costruttivi e sintattici e, il secondo, alle valenze espressive e ironico-simboliche pur rintracciandovi inedite procedure compositive comunque rivolte alla “appropriata collocazione delle cose” e la “scelta dell’effetto dell’opera”, di converso, Viola Bertini estrae ed enuclea, dalle opere di Hassan Fathy, riconoscibili procedure compositive – analogie, trasposizioni, montaggi – con forti legami con la lezione della storia, le tradizioni costruttive, figurative e identitarie dei luoghi in cui si collocano in vista della ricerca di una nova sed antiqua venustas. Diverso il taglio del contributo di Gilda Giancipoli che, se pur incentrato su un autore altrettanto noto – Oswald Mathias Ungers – ne indaga prevalentemente il contributo teorico compositivo sul tema dell'abitare domestico nella stringente relazione tra corpo-spazio-vita. Il tema della analogia ritorna nei contributi di Pierpaolo Gallucci e Federica Visconti, questa volta come rimando a forme e assetti urbani per la costruzione del carattere identitario dei luoghi ottenuto per evocazioni, metonimie e migrazioni di forme autorevoli desunte da altri luoghi e dalla tradizione eccellente dell’architettura e della città. In particolare il saggio di Visconti, che chiude questo numero a mo’ di postfazione, indaga i caratteri specifici della scuola Italiana attraverso i suoi riconosciuti capiscuola, Rogers, Samonà, Quaroni e poi Rossi, che con la loro ricerca sulla finitezza delle forme hanno chiarito la necessità dell’indissolubile rapporto tra architettura, storia e città anche mediante la tecnica dell’analogia come possibilità potente di fare avanzare la ricerca sulle forme.
Note
[1] La città ordinata. Dispositio e forma urbis / The orderly city. dispositio and forma Urbis, a cura di L. Amistadi, “FAMagazine”, a.VI n.32, apr-mag-giu 2015.
[2] S. Ferri, voce “Dispositio”, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Treccani, Roma 1960.
[3] M. Fagioli, Ricordare Vitruvio. Riflessioni intorno all’arte del costruire, testo della lezione tenuta al Dipartimento di Architettura dell'Università di Napoli “Federico II”, 15 maggio 2014.
[4] A. Prandi, Lezioni del prof. Adriano Prandi su “I trattati d'architettura da Vitruvio al sec. XVIII”, Ferri, Roma 1945.
[5] M. Fagioli, op. cit.
[6] Cfr. J.J. Gibson, The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston 1979.
[7] A. Monestiroli, La ragione degli edifici. La scuola di Milano e oltre, Marinotti, Milano 2010.
[8] Da qui anche la scelta di usare, nella copertina di questo numero, uno dei suoi recenti lavori. Sul suo contributo teorico si veda tra i numerosi e noti testi il recente: A. Monestiroli, voce “Teoria” in M. Biraghi, A. Ferlenga (a cura di), Architettura del Novecento. Teorie, scuole, eventi, Einaudi, Torino 2012. Sui suoi progetti molti con Tomaso Monestiroli (Monestiroli architetti associati), si veda il recentissimo: A. Monestiroli, Una pagina su…Trentasei progetti di Architettura, LetteraVentidue, Siracusa 2016.
[9] R. Capozzi, Forme vs informi, in “Bloom”, n.24, 2015.
[10] W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 2000, (1^ ed. 1966).
Renato Capozzi