Madrid è una grande capitale europea. Pensare di coglierne la complessità con pochi, brevi, articoli sarebbe un tentativo inutile: ci interessava in realtà seguire una nostra traccia, una passione personale che possa facilmente diventare, dato il carattere ampio dei temi, una piccola lezione di architettura urbana. A Madrid è infatti possibile individuare, attraverso la scelta di alcune opere esemplari, un fil rouge che tiene insieme diverse anime, da quella rappresentativa dei luoghi del potere, fino a quella domestica dell’abitare in città, attraverso una riflessione sugli aspetti costruttivi.
Sul tetto del Círculo de Bellas Artes
La città capitale, come è noto, nasce come volontà del potere politico: è una capitale voluta e costruita a tavolino, alla metà del cinquecento, dai re di Spagna che la scelsero per la sua centralità. Tutta la sua storia è segnata dunque da questo rapporto con le istituzioni, e percorrere il Paseo della Castellana, che si snocciola attraverso stazioni, musei, banche e palazzi istituzionali è sembrato il primo gesto da compiere. Su questo boulevard e negli immediati dintorni, hanno costruito molti architetti della prima generazione del moderno spagnolo: Fisac, Sáenz de Oíza, Alejandro de la Sota e, addirittura, un catalano, Coderch. Questa coincidenza spazio-temporale è utile a presentare un momento speciale della storia urbana di Madrid, gli anni della presa di coscienza della sua tardiva modernità, un periodo forse meno noto dell’architettura spagnola, rispetto ai successi della loro recente fortuna critica.
Madrid, Veduta aerea del centro
Per motivi prevalentemente politici, la modernità in Spagna si è infatti affinata soprattutto negli anni cinquanta e sessanta, con una lentezza e una consapevolezza rare, adottata da quelle poche figure di cui dicevamo. Abbiamo deciso di raccontare questi architetti, spesso maestri tanto dei più noti architetti della democrazia, quali Moneo o Navarro Baldeweg, tanto di quelli della terza generazione di architetti colti che si trovano ora ad insegnare e a dirigere le principali università americane, penso ad esempio a Iñaki Abalos, a Juan Herreros, a Emilio Tuñón.
Abbiamo scelto architetti e opere per l’attualità dei temi affrontati e il carattere esemplare delle loro scelte progettuali, ma anche per raccontare, in Italia, il senso di un mestiere. La continuità del lavoro dei maestri, il loro rispetto e il ruolo sociale di una professione che è ancora facilmente riconoscibile quando si varca la porta della Scuola Tecnica dell’Università Politecnica, dove gli architetti professori sono un gruppo di amici e gli studenti entrano presto a farne parte, portando avanti questa tradizione del nostro lavoro.
Una modernità tardiva dunque, rispetto ad esempio all’eccezionalità del razionalismo italiano, ma che trova nella sua costruzione lenta anche la forza della sua continuità, come le opere di Moneo e di Tuñón sono qui a rappresentare.
Antonio López, Gran Vía, 1 agosto h. 13.00, 2010
Impossibile non rifarsi a Moneo pensando alla sequenza dei suoi musei che aprono il sistema del Retiro verso il Nord della città, risalendo il tracciato del fiume che la Castellana riprende, con il Prado e il Thyssen Bornemisza, ma impossibile anche non intuire la forza dell’altro nucleo denso che caratterizza la forma urbis di Madrid ad occidente, con la “città della corte” e il Palazzo Reale, dove Mansilla y Tuñón hanno recentemente realizzato il Museo delle Collezioni Reali, completando il nuovo affaccio della città e definendo così i due poli che stringono il centro storico.
Poche città sono così chiaramente rappresentate da una strada come nel caso del Paseo della Castellana a Madrid e il nostro percorso parte proprio dal confronto tra due banche realizzate negli stessi anni Settanta, da allievo e maestro, su questo asse. Due edifici rappresentativi opposti in tutto: dal ruolo urbano, timido l’uno e dignitoso l’altro, dalla evidente diversità tipologica, fino al modo di collocarsi sul o nel suolo o al carattere delle scelte materico costruttive, evocative nel primo e sperimentali nell’altro.
Materiale e costruzione, così come concezione strutturale e spazio sono in realtà i temi che sottendono le scelte dei progetti che in questo numero si presentano. La modernità spagnola corre in parallelo, come spesso accade, ad una contemporanea ricerca in ambito strutturale.
Eduardo Torroja, Fronton Recoletos; Ippodromo della Zarzuela
Nel caso dell’ingegnere catalano Eduardo Torroja, possiamo osservare la coincidenza tra la forma delle sue scelte strutturali e la ricerca su spazio, equilibrio, luce e materia che in diverse fasi caratterizza la ricerca architettonica in Spagna.
La concezione strutturale di Torroja è qui riletta come riferimento per il trattamento di luce e spazio nelle opere civili di Fisac e di de la Sota, come la grande navata del Centro Studi Idrografico e la sezione della palestra del Collegio Maravillas.
La provocazione dell’equilibrio che caratterizza molte opere di Torroja, basti pensare alla copertura dell’ippodromo della Zarzuela, sembra aver suggerito l’azzardo strutturale del Banco de Bilbao a Sáenz de Oíza, che, con la sua gigantesca struttura in cemento su cui si appende la minuta strutturale metallica dei singoli piani non avrebbe avuto il coraggio di realizzare quel piano terra così orgogliosamente staccato dal suolo, a lasciare nuovi spazi urbani entrare nell’edificio.
Dopo Parigi e Londra, Madrid è la terza città per popolazione in Europa e la storia, nell’arco del Novecento, delle scelte urbanistiche e architettoniche per la realizzazione degli insediamenti residenziali meriterebbe una trattazione a sé.
Francisco Javier Sáenz de Oíza, Residenze M-30; Secondino Zuazo, Casa de las Flores, vista aerea
A partire dalla critica della densità degli ensanches ottocenteschi e dalle proposte realizzate da Zuazo, con la Casa de las Flores, o Gutierrez Soto, attraverso l’edilizia economica dei domingeros, quartieri operai realizzati negli anni quaranta dai manovali nelle giornate di riposo, Madrid ha continuato, dagli anni cinquanta fino alla recente bolla immobiliaria, a delineare idee insediative, a realizzare nuovi quartieri, a sperimentare urbanità, densità, tipologie e morfologie diverse arrivando ad essere un atlante del rapporto Casa e Città a cielo aperto. Gli architetti della modernità si sono provati tanto sul quartiere di edilizia sociale, quanto sulla casa per la borghesia ricca, offrendoci da un lato assetti urbani equilibrati ed attenti allo spazio pubblico e dall’altro nuove sperimentazioni costruttive: è in questo ambito che abbiamo scelto le opere di Sáenz de Oíza e di Coderch, architetto catalano che ha saputo declinare con maestria locale la sua più ampia ricerca sulle spazialità dell’abitare.
Abbiamo scelto sei opere, pochi maestri amati e studiati, sperando che possano aprire alla conoscenza di molti altri esempi che potrebbero arricchire questa visita in una città che affronta con la varietà delle declinazioni costruttive, spaziali e rappresentative i temi della grande scala urbana contemporanea.
Orsina Simona Pierini