Editoriale
La spettacolarizzazione della dismissione
Dismissione / “Condizione che segue all’abbandono, con perdita di funzione. In architettura la dismissione è connessa anzitutto all’evoluzione del processo industriale delle città. (…) La dismissione non è legata semplicemente alla cessazione o al trasferimento di alcune attività produttive, ma anche all’adeguamento di servizi (ospedali, macelli, caserme) e di infrastrutture (…).”
Il paesaggio della dismissione è oggi una componente fondamentale del tutto urbano. Rappresenta una risorsa preziosissima dall’alto potenziale di trasformazione al fine di una rigenerazione totale della città contemporanea.
Il dibattito che fino agli anni ’80 era concentrato sulla dismissione dei centri storici, oggi si è spostato sulla periferia, realtà fisica preponderante sull’intera Città, caratterizzata da vuoti urbani un tempo luoghi della produzione industriale attorno a cui ruotavano intere comunità operaie.
La ex “Mauser & Cia Ltda” di San Paolo del Brasile rappresenta ancora oggi l’archetipo di archeologia industriale dimostrativo di quanto il fenomeno della dismissione declassi, spesso, il luogo a un non-luogo interno all'indistinto periferico. Come sostenuto da varie pubblicazioni in merito, l'identità della comunità abitante il quartiere operaio si è sempre rispecchiata nella realtà della ex industria di fusti metallici, la cui chiusura ha causato una ferita sociale e urbana risolta dall’intervento esemplare di Lina Bo Bardi. Ne è scaturito l’attrattore sociale conosciuto oggi come SESC Pompeia, voluto dal cosiddetto “Serviçio Social do Commercio”, ente no-profit promotore di progetti rigenerativi basati sulla realizzazione di strutture atte a garantire attività sportive e culturali per gli abitanti meno abbienti.
Alla dismissione industriale corrisponde una conseguente matematica lacerazione del tessuto, sia urbano che sociale, da ricucire attraverso interventi puntuali, subordinati a strategie di rigenerazione delle periferie più estreme, senza tuttavia trascurare, - pensando all'ingente patrimonio in disuso composto da ex macelli, scali ferroviari, ospedali ottocenteschi, ex padiglioni psichiatrici, ex carceri ed ex caserme - i nuclei antichi e gli anelli urbani storici, aderenti alla città compatta.
In una contingenza economica in cui le grandi opere rispondenti al mantra "consumo di suolo 0" faticano ad attuarsi nonostante l'invenzione di nuove forme e figure giuridiche come le Società di Trasformazioni Urbane, questi contenitori rappresentano sicuramente i principali attrattori di interesse pubblico e privato, anche di carattere speculativo, su cui sperimentare il "costruire il costruito" secondo la tecnica della densificazione.Rispetto a questa filosofia, dipendentemente dalla forte discriminante rappresentata dalla localizzazione rispetto al tutto urbano, le aree dismesse si possono prestare al semplice completamento di tessuto attraverso la funzione prevalente del Social Housing o, supportati dal ruolo spesso presente delle preesistenze storiche da conservare e ripensare, possono ambire a trasformarsi in centralità urbane intese come condensatori sociali.
Una delle invarianti che accomuna i super-luoghi di centralità nati da questo tipo di strategie rigenerative, è quella componente di spettacolarizzazione garantita dalle funzioni insediative prescelte che, in maniera direttamente proporzionale, si riflette nelle sembianze estetiche dei contenitori per certi versi definibili “papere parlanti”. Sia che si tratti di interventi basati sulla conservazione spinta, come nel caso di monumenti alla memoria enfatizzanti paesaggi apparentemente morti, che inneggiano alla decrescita felice (Parco Dora a Torino sulle orme della Ruhr), piuttosto che di interventi rigenerativi basati sulla polifunzionalità avente un ruolo urbano ed extra-urbano, l’obiettivo è comunque la fondazione di luoghi del “loisir”, diretti al tempo libero e all’intrattenimento psico-fisico della persona, in cui osare essere pigri nell’accezione del pensiero di Barthes.
Ne derivano “torri d’oro per periferie dorate” (R. Koolhaas, 2015) in cui va in scena lo spettacolo dei contenuti tra un vernissage o un qualsiasi genere di intrattenimento conviviale e l’altro. La ricercata spettacolarizzazione della dismissione la si può intuire dall’interdisciplinarietà del team di progettazione della trasformazione urbana, spesso composto da figure eterogenee: architetti, registi, coreografi, musicisti, luminari della scienza, chiamati a creare “total theaters” dal forte sapore onirico i cui protagonisti sono le arti figurative, il meltingpot culturale, le tradizioni locali (centri culturali e museali polifunzionali), la musica (auditorium polifunzionali), l’eno-gastronomia (“vetrine” a forma di decanter), la ricerca e la formazione (centri di ricerca e poli tecnologici ricavati in ex manifatture o in paraboloidi).
La nuova architettura derivata dall’attività di riqualificazione approda nel paesaggio della dismissione, come il circo del film “Il cielo sopra Berlino”, diretto da Wim Wenders.
Esso interpreta il ruolo di un’architettura effimera che si insedia prepotentemente e con sorprendente ironia, in una zona decadente della città divisa dal muro, accogliendo al suo interno una dimensione ludica in cui si svolge una sorta di “second life” rispetto alla realtà esterna. Il circo diventa l’icona di una metamorfosi temporanea trasformata in elemento architettonico-decorativo, per citare un esempio di trasformazione urbana recente, da Smiljan Radic nel suo NAVE-Arts Hall in Santiago del Cile, centro creativo-residenziale ricavato dalla riqualifica di un isolato urbano periferico dismesso. Alla maniera del film citato, il "circo sul tetto" del NAVE appare allo spettatore, perso nell’indistinta periferia, come un catalizzatore di sguardi improvvisamente sorridenti, in grado di animare la scena urbana.
La spettacolarizzazione della dismissione, uscendo dalla scala architettonica e passando a quella urbana, diventa un fenomeno diffuso e sistematico, convertibile in un vero e proprio itinerario per un tipo di turismo specializzato interessato a trascorrere una Domenica di Pasqua milanese tra una Fondazione Prada e il Mudec oppure, perché no, al romano Maxxi, ancora immerso nella dismissione.
Questo è il quadro critico in cui i contributi selezionati si inseriscono. Il numero si caratterizza per l’eterogeneità dei profili disciplinari degli autori: qualità, quest'ultima, che ha permesso di indagare il tema espresso dal titolo secondo chiavi di lettura diversificate, proprie di alcune delle discipline coinvolte nell’azione integrata della rigenerazione urbana.
Olindo Caso, Assistent Professor presso il Dipartimento di Architettura dell'Università TU Delft, Olanda, indaga l’attuale tendenza dilagante consistente nella rigenerazione di ex aree industriali dismesse secondo una ricercata “mixitè” caratteriale fatta di cultura, temporaneità, effimero, flessibilità. La mappatura preliminare di fenomeni in atto nella trasformazione della città in crisi, tra Amsterdam, Rotterdam e Copenaghen, fa emergere il ruolo della comunità locale nell'innescare un processo di valore nella vacanza istituzionale del planning che non è più in grado di promuoverlo e di gestirlo.
Francesco Gastaldi, professore associato di urbanistica presso l’Università IUAV di Venezia, insieme a Federico Camerin, affrontano il titolo del numero attraverso i non-luoghi delle grandi aree ex demaniali come le aree ex militari. Un patrimonio, questo, oggetto di una “spettacolarizzazione istituzionale” fatta di proclami politici in merito ad una loro riconversione mai attuata e ferma sui tavoli della politica.
Vittorio Longheu, docente a contratto in Composizione Architettonica e Urbana presso il Politecnico di Milano sede territoriale di Mantova, nonché architetto attento alla forma e al dettaglio, porta come esempio il centro NAVE-Arts Hall, in Santiago del Cile, di Smijlian Radic, soffermando l’attenzione su quel “circo sul tetto” che caratterizza lo spazio pubblico di una grande "macchina" della creatività che rigenera tessuto urbano e sociale.
Gabriele Manella, professore associato di sociologia presso l’Università di Bologna, analizza la forma di spettacolarizzazione adottata dalle strategie di marketing per la comunicazione dell’immagine desiderata, ipoteticamente derivante dalle trasformazioni di parte del quartiere Bolognina a Bologna. Come emerso da rilevazioni sul campo, tale operazione non si è mai tramutata in immagine ne reale ne tanto meno percepita dal tessuto sociale, costituendo, così, un caso di “prova di riqualificazione” per certi aspetti fallimentare.
Nicola Marzot, professore associato del Dipartimento di Architettura presso l’Università di Ferrara e professionista operante nella rigenerazione urbana, ripartendo dalla critica a “La società dello spettacolo” di Guy Debord, analizza il fenomeno inverso ed emergente dello “spettacolo della società” basato su attività di rivendicazione del paesaggio della dismissione per sperimentare strategie di rigenerazione urbana anche di natura temporanea, in assenza di condizioni finanziarie favorevoli per veri e propri piani strutturali.
In ultimo, il mio articolo che osserva e descrive la nuova Fondazione Prada, progettata dall'archistar Rem Koolhaas, partendo dal “cast” stellare che ha collaborato alla realizzazione di un “colossal architettonico” sotto l’egida di grandi capitali privati, incipit di una futuribile rigenerazione di parte della periferia sud di Milano.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura, compagna di un sereno Natale e preludio di un Felice Anno Nuovo.
Paolo Strina
Bibliografia
De Poli A. (2008) Architettura. Enciclopedia dell’architettura. Skira, Milano.
Strina P. Ph.D Thesis, Tesi di dottorato (2015) Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di tipo metropolitano, Parma.
Venturi R, Brown D. S. (1977) Learning from Las Vegas. MitPress, Cambridge.
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Prandi E., Amistadi L. (2011) European city architecure. Project, Structure, Image. FAedizioni, Parma.
Strina P. (2016) "Il potenziale delle aree dismesse. Il caso della ex Bormioli a Parma in Urbanistica". Informazione, 269-270, 92-96.
Scarabottolo G. (2010) Elogio della pigrizia. Cremona, Tapirulan
Debord G. (1967) La società dello spettacolo. Gallimard, Parigi.