Editoriale
Il numero 34 di FAmagazine è dedicato al tema del “campus universitario”, tipologia che rientra indubbiamente tra quelle che si sono contraddistinte nella storia moderna del progetto architettonico e nei processi fondativi della città.
Strumento “poleogenetico continuamente sperimentato nel corso storico della città e forse oggi, per molteplici aspetti, caricato di ulteriori responsabilità”, il campus universitario è considerato, negli articoli che seguono, nella relazione Università-Città dove, come sostiene Carlo Quintelli, la componente universitaria diventa elemento “strategicamente indispensabile nello sviluppo di un’economia della conoscenza, quella dove la ricerca è alla base di ogni laboratorio produttivo caratterizzato dall’innovazione”. Questo approccio, riscontrabile nel progetto Mastercampus promosso dall’Università di Parma muove a partire da questi presupposti ricavandone due linee di indirizzo, descritte da Quintelli nel suo articolo, in cui in una prima, si considera una strategia “di insediamento universitario applicata all’intera articolazione urbana, tra nucleo storico, prima periferia ed area suburbana” e in una seconda si instaura un “rapporto critico con la città sul piano dimostrativo di fronte a certe sue criticità, presupponendone un effetto di indotto positivo per il contesto”.
La descrizione del progetto Mastercampus in maniera dettagliata viene affrontata in seguito anche da Andrea Matta nel suo articolo in cui viene descritta l’esperienza svolta al suo interno e di come essa stimoli il ragionamento rispetto ad alcuni elementi chiave per comprendere questo “tipo insediativo” e la relazione che stabilisce con la città di riferimento, Parma, alla luce di nuove esigenze ed opportunità europee.
Paolo Strina restituisce un’attenta descrizione di alcuni casi studio americani di modelli di campus compiendo un’analisi attraverso l’individuazione di alcune invarianti morfo-tipologiche come la polarità, la residenzialità, l’aggregazione, lo stesso impianto compositivo-architettonico sostenendo come il campus, secondo l’ideale americano, “rappresenta oggi una parte di città di per sé finita che vuole impressionare lo spettatore - studente, abitante della città o visitatore che sia - accentuandone gli effetti emotivi mediante la sua capacità di introiettare il complesso programma funzionale dell’intero insediamento urbano” ed esprimerlo per mezzo di figure che Strina definisce “teatranti”.
Francesco Zuddas propone una discussione di due interpretazioni della metafora “città=università” che, seppur nate da un comune sostrato ideologico, come lui stesso afferma, declinano in maniera distinta il modo in cui l’architettura “possa fare propria”, operativamente, tale metafora. Soffermandosi sulle esperienze condotte tra gli anni 60’ e gli anni 70’ caratterizzate da un ripensamento di una nuova idea di università, Zuddas mette a confronto il lavoro condotto dall’architetto americano Shadrach Woods, con il pensiero di Giancarlo De Carlo. Un confronto quindi basato sulla possibilità di un diagramma interno organizzato in un grande edificio capace di fondere città e università (il caso di Woods) con il secondo modello, proposto da Giancarlo De Carlo, che suggerisce che solo nel campo urbano più vasto, e senza una configurazione definita una volta per tutte, possa aver luogo una tale fusione.
Infine Rafael Lopez-Toribio indaga le questioni dell’insegnamento universitario nell’attualità, in un momento storico in cui si sta affrontando un radicale cambiamento verso nuovi modelli del sapere. Cambiamento come lui stesso afferma caratterizzato da una fase di passaggio da una società industriale ad una società dell’informazione. Per questo la necessità dei luoghi deputati all’insegnamento di “ridefinire la propria funzione, non solo come luoghi di educazione formale, ma attraendo e promuovendo sinergie che facilitino nuovi modi di educare ed imparare”.
Tommaso Brighenti