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Rapporto sullo stato degli ex Ospedali psichiatrici in Italia

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Editoriale
Voci dagli ex Manicomi

di Angela D'Agostino

Dal momento in cui si oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale … viene immesso, cioè in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. (Basaglia 1964)

Il numero monografico dedicato agli ex manicomi restituisce, attraverso l’intreccio tra sguardi, realtà territoriali e destini diversi, uno spaccato su ciò che resta di una delle più importanti istituzioni foucaultiane in Italia e non solo.
Parlare di ciò che resta allude all’idea che non prevalga l’oblio.
Probabilmente, per ciò che gli ex ospedali psichiatrici sono stati, ciò che più conta è avere la consapevolezza che tante storie di uomini, tante vite trascorse, non vengano dimenticate.
La memoria in questo caso, assume il ruolo di monito: è importante ricordare perché non accada più che si costruiscano architetture per l’esclusione.
In realtà, una volta dismessi i manicomi, è proprio al ricordo degli uomini che ci si è dedicati; al recuperare traccia di chi inizialmente si era voluto dimenticare, escludere, recludere.
Il patrimonio da recuperare e preservare è stato in primo luogo quello cartaceo, quello delle cartelle cliniche, e più in generale quello documentario.
Ma l’eredità con cui ci confrontiamo è complessa e molteplice.
Con l’applicazione della legge Basaglia del 1980, in Italia sono stati progressivamente dismessi gli ospedali psichiatrici disseminati in piccole e grandi città, ai margini dei territori abitati, presenti a sud come al centro e al nord. Oltre al patrimonio documentario, dunque, resta quello architettonico. Vere e proprie cittadelle recintate, i complessi manicomiali comprendenti padiglioni di degenza, servizi, ambulatori, spazi per il lavoro, percorsi, giardini, cortili, si sono resi potenzialmente disponibili all’apertura alla città e al riuso.
Il numero monografico racconta di questo, di cosa è accaduto ai grandi complessi ospedalieri una volta dismessi dall’essere manicomi. Si scopre come si presentano oggi sei ex ospedali italiani e tre europei scelti perché diversi e tutti emblematici sotto diversi aspetti.
Sebbene tutti riconoscibili come ex ospedali psichiatrici per la struttura dell’impianto urbano e per la tipologia di architetture e spazi aperti, gli ex manicomi costituiscono un patrimonio che in ogni contesto presenta caratteri di peculiarità. Diversi sono anche i destini recenti dei grandi complessi ospedalieri per i quali si assiste a operazioni di riconversione relativamente veloce soprattutto in esperienze non italiane, a operazioni di parziale (raramente totale) riuso secondo pratiche di ‘riscatto’ a volte già avviate prima della dismissione (in rari episodi Italiani) ma, nella maggior parte dei casi, si assiste al persistere dell’abbandono.
Come i matti venivano dimenticati dentro le città per loro edificate, così quelle città sono state spesso oggetto di una damnatio memoriae.
Trieste è decisamente un caso esemplare in Italia, come sottolinea la voce di Peppe Dell’Acqua, psichiatra che ha accompagnato prima Franco Basaglia e poi Franco Rotelli nel processo di legittimazione legislativa della necessità di chiudere i manicomi, e che oggi opera fuori e dentro il complesso di San Giovanni fermamente convinto della necessità di una nuova dimensione anche urbana dei luoghi per ‘l’accoglienza dei malati’. A Trieste ha avuto inizio la sperimentazione di una modalità diversa di ‘vivere’ il manicomio, sperimentazione che ha costituito l’elemento di ‘continuità’ tra il prima e il dopo la chiusura, sono nati cooperative e laboratori ad oggi ancora attivi, si sono sperimentate nuove forme di organizzazione degli spazi e dei tempi. E mentre tutto questo continua, negli ex padiglioni hanno trovato posto strutture universitarie, comunali, museali, assistenziali, formative, e l’intera area è nota come parco culturale di San Giovanni con il suo immenso patrimonio verde anch’esso di varia natura, dalle coltivazioni biologiche al magnifico roseto di recente impianto. Il parco è aperto alla città e attraversato da una linea di trasporto pubblico; secondo Dell’Acqua “non è, come si potrebbe immaginare, un luogo della memoria e men che meno di una memoria monumentale, è una quotidiana provocazione a immaginare il futuro, a gioire della concreta assenza di muri, di una reale condizione di convivenza”. A Trieste si è puntato sulla conservazione dell’identità storica dei luoghi e sulla modificazione dei modi di viverli e di abitarli.
Anche al Paolo Pini di Milano, intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, erano iniziate una serie di attività e c’era stata una serie di trasformazioni e inclusioni di nuovi usi, si era avviata una sorta di ‘rifunzionalizzazione spontanea’, come la definisce Pierfranco Galliani, già prima dell’applicazione della legge Basaglia e della chiusura dei manicomi. Ma la peculiarità del caso milanese è la presenza del museo d’arte Paolo Pini. Opere di artisti e pazienti sono esposte anche negli spazi aperti e gli stessi padiglioni sono diventati supporto per grandi murales. L’arte ha segnato la storia recente dell’ex ospedale secondo un’idea di museo attivo più che commemorativo. Galliani, che sul Paolo Pini ha lavorato nell’ambito della ricerca PRIN I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento dichiara che “è da questo nucleo, dove ‘l’arte è servizio sociale’, che può prendere avvio, anche fisicamente, la ricerca di una centralità sempre negata nel vecchio ospedale psichiatrico”.
Diverso è stato il destino dell’ex ospedale psichiatrico di Gorizia dove Basaglia era stato direttore prima che a Trieste e dove ha iniziato la sua rivoluzione. Ma paradossalmente, come sottolinea Scavuzzo, proprio la forte voce delle denunce basagliane ha favorito la damnatio memoriae per un luogo segnato oltre che dall’essere manicomio, dall’essere confine italo-jugoslavo: doppio confine, doppio limite invalicabile quello dell’ospedale di Gorizia dove di recente si è iniziato a lavorare per il riscatto. Al nuovo centro di salute mentale e ad una serie di servizi per cittadini italiani e stranieri nel parco recuperato si ipotizza possano affiancarsi un percorso informativo e un archivio “che raccolga e valorizzi il materiale presente nell’ex ospedale, di interesse non solo psichiatrico, ma anche di valore storico rispetto a una delle poche rivoluzioni, se non l’unica, che in Italia abbia avuto un compimento”. La voce di Gorizia diviene voce degli studenti che attraverso esperienze didattiche hanno affrontato l’arduo compito di “dare forma alla restituzione di un’identità al Parco come alla sua memoria” con l’intento di non ridurre l’ex manicomio a ‘memoriale del dolore’.
Al tema della memoria si dedica la voce romana dei responsabili del Servizio Educativo Museo Laboratorio della Mente, Asl Roma 1. Vera Fusco, Francesca Gollo e Marco Salustri raccontano del padiglione del Santa Maria della Pietà destinato a museo di narrazione, così come definito da Studio Azzurro che ne ha curato la progettazione. In un ex ospedale psichiatrico dove coesistono strutture sanitarie, comunali, residenziali insieme ad attività di associazioni e all’abbandono ancora presente in alcune parti, il Museo Laboratorio è divenuto simbolo della trasformazione insieme al grande parco aperto alla città. Il Museo Laboratorio, inserito nella rete dei musei della regione Lazio è divenuto centro di documentazione e informazione con un considerevole afflusso di visitatori, in particolare scolaresche.
Una diversa declinazione del tema della memoria è quella proposta da Luciana Macaluso per l’ex manicomio di Palermo. “La memoria dell’ex manicomio di Palermo ha un futuro”, così esordisce Macaluso che, attraverso un’esplorazione progettuale elaborata nell’ambito della ricerca PRIN sopra citata, racconta di quanto è ‘rinchiuso’ nell’ex ospedale siciliano abbandonato, non solo storie di vite, ma monumenti, architetture ipogee e non, spazi verdi, percorsi che se aperti potrebbero ‘cambiare’ la struttura urbana di una parte di Palermo.
Nell’ultimo caso studio italiano, affrontato da chi scrive, la memoria viene richiamata come necessità in relazione alla complessa eredità dell’ex ospedale psichiatrico di Napoli. L’ex Leonardo Bianchi è completamente abbandonato, fermo al tempo della chiusura con oggetti, arredi, attrezzature mediche che sembrerebbero essere stati lasciati ieri se non fosse per il degrado e i segni del tempo. In questo caso, il vantaggio del ritardo potrebbe condurre a formulare ipotesi di trasformazione, recupero, riuso, che non ‘vincolate’ a qualcosa di già accaduto nel tempo della chiusura, potrebbero completamente stravolgere architetture, spazi, significati. Si sottolinea invece che il passaggio dalla città per la cura alla cura per la città deve tenere al centro l’idea degli ex ospedali psichiatrici come eredità complessa e molteplice. Nel caso degli ex manicomi ormai fantasmi urbani, grandi buchi neri nel continuum urbano contemporaneo, pur cogliendo la positiva occasione di potersi confrontare più liberamente con le condizioni della contemporaneità, non si può cedere all’oblio, né a quello dell’abbandono né a quello della cancellazione. Le riflessioni generali sull’ex manicomio di Napoli sono affiancate da un’altra voce, quella di Maria Pia Amore che racconta di un progetto di tesi in progettazione architettonica che si è confrontato con i temi del patrimonio e della memoria ipotizzando nuove relazioni tra il Bianchi e la città.
In conclusione, di particolare interesse è il confronto dei destini degli ex manicomi italiani con quelli di alcune istituzioni europee. I primi, sia pur nelle diversità di impianti architettonici e urbani, luoghi di fondazione e tempi della trasformazione, sono ancora tutti fortemente segnati e riconoscibili fin nelle singole pietre. Per i secondi, Cettina Lenza, storica dell’architettura responsabile scientifico del PRIN sopra citato, racconta degli ex ospedali di Oxford, Illenau e Lione. Impianti e destini diversi anche per questi: Lione ha mantenuto una destinazione legata alla cura delle malattie mentaIi, Oxford è stato trasformato in complesso residenziale e Illenau ospita una molteplicità di funzioni da quelle pubbliche a quelle residenziali e a quelle ludiche, tanto da aver assunto la struttura di un vero quartiere urbano. La memoria immateriale è attentamente preservata, tutti i documenti sono conservati in archivi. L’architettura è riconoscibile nella sua origine tipologica ma oggi pienamente inserita nella contemporaneità. I ‘segni’ del passato si rintracciano in elementi e frammenti come targhe degli ex padiglioni, portali rimontati negli spazi aperti e perfino gadgets, che volutamente sono rimontati e/o riposizionati per ricordare.


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